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martedì 29 marzo 2011

88) D'ALEMA FARNETICA


D'ALEMA: "VOGLIO 30 MILIONI DI STRANIERI IN ITALIA"

di Mattias Mainiero


 
Per la verità, noi qualche sospetto lo avevamo sempre avuto. Guardatelo: capelli neri, ora avviati a diventare bianchi, occhi neri, baffetti, carnagione non propriamente svedese. Sembra un nordafricano, che non è un insulto: constatazione di indiscutibili tratti somatici. Adesso, per sua stessa ammissione, ne abbiamo la conferma: Massimo D’Alema è un immigrato. Viene dalla Tunisia o forse dalla Libia. Non sappiamo di preciso. Potrebbe anche essere algerino. Comunque, chi pensava ad un’origine sovietica, sbagliava: Africa del Nord. Un giorno di tanti anni fa, un suo antenato salì a bordo di una barca, che però non era un comune barcone di disperati. Date le passioni e le tradizioni, doveva essere un’elegante imbarcazione a vela di nome Ikarus comprata in cambio di sette tappeti, tre cammelli e un Veltroni d’epoca. Allora i leasing si facevano così. Oggi Veltroni non lo vuole più nessuno. I D’Alema sbarcarono a Lampedusa, e non finirono in un centro di accoglienza. Risalirono la Penisola, si iscrissero al Pci e fecero carriera. Il resto lo conoscete: Massimo divenne presidente del Consiglio (quello italiano, non tunisino) e oggi è presidente del Copasir. E ieri ha voluto svelare le sue origini: «Sono un immigrato di trentesima generazione». In attesa dell’espulsione, ecco la cronaca della confessione.

Sultano Max ha parlato alla prima Conferenza nazionale del Pd sull’immigrazione. Era vestito all’occidentale, ma non lasciatevi ingannare: il cuore, come sempre, era tutto sull’altra sponda del Mediterraneo, tra i connazionali. Ha detto che alla solidarietà non deve essere posto alcun limite. Tutti gli immigrati che arrivano da noi - ha spiegato - devono essere considerati rifugiati. Non bisogna andare «a vedere da dove vengono. Bisogna accoglierli temporaneamente, poi magari negoziare con gli altri Paesi per un rientro assistito». Sbarcate e noi vi spalancheremo coste e centri di ospitalità. Oggi, e anche domani, perché il nostro futuro è l’Africa. Dice il Sultano, e noi non gli crediamo: «Nei prossimi 15 anni, se l’Europa vorrà mantenere un livello demografico ragionevole e avere un decente sviluppo economico, avrà bisogno di almeno altri trenta milioni di immigrati». Dobbiamo presumere, visti i ragionamenti di D’Alema e la posizione geografica dell’Italia, che i trenta milioni sbarcheranno tutti a Lampedusa con il beneplacito del Pd. Poi, magari, gli altri Paesi, dopo aver opportunamente negoziato, se ne prenderanno due o tre mila. Non siamo certi se ai restanti ventinove e passa milioni penserà direttamente D’Alema o un suo incaricato. Ma non ha importanza. Alì Baffin è convinto. Convinto che il governo Berlusconi abbia sbagliato («la Francia sa quel che vuole, noi no»). Convintissimo che l’intervento militare in Libia abbia già prodotto effetti positivi («l’offensiva di Gheddafi contro il suo popolo è stata fermata»). Ultraconvinto che ciò che sta avvenendo a Lampedusa sia sempre colpa del governo («se li avessimo accolti decentemente, non si sarebbero neanche visti»).

D’Alema, si sa, è uomo dalle grandi e forti convinzioni, anche quando commette grandi errori e anche quando pensa di trasformare Roma e Milano in una succursale di Tunisi e Tripoli. Ma voi non dovete avercela con lui. Alì parla col cuore. Comprendetelo: anche se l’Ikarus non è un barcone, le origini sono quelle.

Ha spiegato D’Alema: «Non esiste il ceppo etnico del popolo italiano. Siamo una mescolanza di razze che si è venuta formando nel corso dei secoli. Basta andare in giro per vedere diverse fisionomie e riconoscere i tratti originari dei nostri concittadini». Loro, per esempio, i D’Alema, non hanno nulla a che fare con normanni e longobardi: «Se noi dovessimo dividerci sulla base del ceppo etnico, io dovrei mettermi con Alim Maruan. Non ci vuole molto a capire che ci sarà voluto qualche secolo prima che il figlio di Alim diventasse D’Alema». La qual cosa, ripetiamo, di per sé non è un male né un bene. È solo l’origine, e può aiutarci a capire certi innamoramenti. Questione di fratellanza. Ne prendiamo atto e giriamo la domanda a voi: ma ad Alim Maruan D’Alema, noi italiani, dobbiamo dare il permesso di soggiorno o rispedirlo a casa?


sabato 19 marzo 2011

87) UNA GIORNATA INDIMENTICABILE

 IL MIO 17 MARZO 2011


In bellezza giunge al termine questa lunghissima parentesi dedicata al Risorgimento e al 150° anniversario dell’Unità d’Italia, parlando di come io abbia vissuto quella giornata speciale, la quale non lo è stata solo per me ma anche per la stragrande maggioranza degli italiani.



L’ITALO RISORGIMENTO


Il sublime concetto d’unità prese parte
alla caduta dell’opprimente aristocrazia:
da oltralpe fu importato dal Bonaparte,
con la libertà e il tricolor dell’Italia mia;
di riscatto dall’oppressor soffiò il vento:
fu l’ITALO RISORGIMENTO!

Risorgi Italia, da straniere oppressioni!
Un sol stato, un re: un sogno s’avverò!
Risorgi, da regionalismi e da divisioni!
E per chi, per te, con il sacrificio pagò!
Risorgi con grande vigore e fermento:
fu l’ITALO RISORGIMENTO!

Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele
artefici furon, e i “Milleun Garibaldi”;
magnificò l’imprese l’imponente stele
che esaltò quei giovin guerrieri baldi:
da tutta la penisola fu un movimento
per l’ITALO RISORGIMENTO!

Al novello stato come degna capitale
scelta fu senza dubbi la Città Eterna:
lode o infamia il Potere Temporale?
Ma d’Italia tornò ad esser la lucerna:
per riviver un’era ed il compimento
dell’ITALO RISORGIMENTO!

Che fu con Trento e Trieste redente;
il nostro intero paese ne fu ‘l nunzio.
Quel “letterato superuomo nascente”,
volando, fu pei Viennesi “d’annunzio”
della fine del nostro assoggettamento
e dell’ITALO RISORGIMENTO!

Parlar di ciò oggi è peccato mortale;
la bandiera d’Italia cadde nell’oblio:
si espose la rossa al corteo sindacale.
Cerca di dissotterrarla, grazie a Dio,
il Presidente, con quel cambiamento
che fu ITALO RISORGIMENTO!

Andrea Lucarelli ??? 2002







Come dicevo un po’ per tutti è stato un giorno indelebile, anche per coloro che, politicamente parlando, non potevano sentir parlar di patria e di roba del genere. A qualcuno alcuni anni fa, incontrandolo in privato (sapete, le persone che si incontrano nelle piazze o nei caffè, dove si discute del più e del meno), non piacquero affatto i versi riportati di sopra, i quali resi di pubblico dominio. Oggi quel qualcuno di allora in veste ufficiale, orgogliosamente ed in tono fastoso magnifica quel periodo di riscatto italiano e riesuma addirittura il cimelio alzabandiera fascista; se l'avesse fatto il suo predecessore...........


Ma naturalmente tutto fa piacere: la bandiera dell’Italia e l’inno nazionale sono delle cose sacre, straordinarie, che ognuno porta dentro il cuore, non sono soltanto emblemi della nazionale di calcio o delle squadre olimpiche, come lo sono stati per lunghissimi anni. Ci si sente assediati e si teme che la nostra Italia ce la portino via o non sarà più come l’abbiamo conosciuta fino ad adesso: tra immigrazione, Lega Nord e Unione Europea. La gente comune ha affollato la messa solenne celebrata appositamente, a Santa Maria degli Angeli a Roma, per la ricorrenza, insieme alle più alte cariche dello stato, anche io sono riuscito ad entrare (ovviamente dopo aver assistito alle cerimonie al monumento dei caduti di Cori), cercando invano di andare il più avanti possibile (non è stato proprio come assistere alla messa dopo la Processione del Soccorso a ridosso delle autorità comunali coresi), però ero sistemato in modo tale da vedermi sfilare da vicino i politici al termine della messa: il Presidente della Repubblica, i ministri, i senatori, i deputati, il sindaco capitolino, il presidente della Provincia di Roma; il Presidente del Consiglio era uscito da un'altra parte, forse perché gli avranno sconsigliato eccessivi contatti con la folla. La messa solenne celebrata in questa prestigiosa occasione, la riconciliazione definitiva tra stato e Chiesa è stata sancita; la gente sapeva pregare e cantare: uno si aspettava i soliti vociferi di coloro che non frequentano molto le messe e in codesta occasione hanno partecipato solo per il gusto di vedere dal vivo i personaggi della televisione. Per un giorno ho visto Roma in spiriti diversi, patri e spirituali,  non è stata quella città di cui la vedevo sotto tutte le vesti, tranne che nei suoi valori legittimi. C’erano tanti tricolori: nelle strade (molte delle più importanti sono state trasformate in isole pedonali), nell’abbigliamento della gente e nelle vetrine. Facendo crepare l’avarizia e per un giorno le restrizioni quaresimali mi son permesso un ricco pranzo per far festa, ma capite si trattava dei 150 dell’Italia unita, il prossimo compleanno solenne ci sarà tra 50 anni e chissà se io……., se io……..ci sarò ancora! (finalmente ho trovato il coraggio). 

Ho visitato il monumento simbolo del Risorgimento, ma si poteva arrivare sino alla Dea Roma e alla tomba del milite ignoto, da Vittorio Emanuele a cavallo e al museo non si poteva andare, poco male, già c’ero stato lo scorso anno. Ebbero una bella idea a realizzare quel colossale monumento nella capitale d’Italia: per noi e per i posteri dei prossimi secoli è e sarà il simbolo d’Italia e delle lotte per l’unione; sempre se……….(stavolta non ho il coraggio di proseguire). A mio personale ricordo di quella giornata non poteva mancare un’istantanea che ovviamente avrà un posto d’onore nel mio personale album degli eventi principali della mia vita e qui sul blog. Di solito sono molto restio nel mettere le mie immagini  personali in internet, ma visto che sono ben camuffato mi identificherà solo chi mi conosce: per il 150° dell’Unità d’Italia faccio un’eccezione, comportandomi, in modo elementare e nella semplicità, come lo scolaretto in gita scolastica e a cui l'insegnante dà il tema sulle cose che ha visto! Nel corso di questo 2011 non mancherà di certo una visita a Torino, la città che ha fatto l'Italia: sarebbe molto bello andarci il prossimo 18 giugno, al raduno nazionale dei bersaglieri, nel giorno dell'anniversario della fondazione del corpo nel 1836.

giovedì 17 marzo 2011

86) L'UNITA' D'ITALIA

 
L’UNITA’ DOPO 1400 ANNI DI DIVISIONI

Il Risorgimento Italiano, ciò quella fase storica e quei processi che portarono l’Italia dopo circa un millennio e mezzo ad essere una nazione unica ed indipendente, prese avvio con la Rivoluzione Francese: senza di essa non ci sarebbe mai stato il riscatto italiano. Quando Napoleone invase l’Italia portò nelle penisola gli ideali di uguaglianza, libertà e fratellanza; gli italiani, senza naturalmente far mancare l’avversione verso l’invasore, li mantennero dentro di loro dopo la fine dell’Impero di Napoleone. Il tricolore italiano, ispirato a quello francese, fu la bandiera della libertà e dell’unità. Ci pensate che gran momento fu? Dopo secoli e secoli di sottomissioni, invasioni, privilegi di pochi, si trovò finalmente il coraggio di porre fine a tutto, ridestarsi e pensare di tornare alla grandezza dell’Italia antica, schiava di Roma, la quale per prima unificò la penisola italiana e la cispadania: “bastone tedesco l’Italia non doma/non crescono al gioco le stirpi di Roma…..la terra dei fiori, dei suoni e dei carmi/ritorni qual era la terra dell’armi…”  Versi tratti da “L’Inno di Garibaldi” La causa della nostra gloria medievale e rinascimentale, nell’arte, nella letteratura e nella musica, è stata un po’ la nostra rovina perché smettemmo di essere guerrieri per immetterci nel campo artistico ed arrivarono coloro più furbi di noi che ci sottomisero, in combutta con i nobili locali. I potentati locali nelle rare occasioni che sbaragliarono gli eserciti stranieri (a Legnano la Lega Lombarda contro Federico Barbarossa, nei Vespri Siciliani e in altre circostanze) hanno sempre rinunciato all’idea di costituire uno stato unito per non perdere gli antichi privilegi, così come la Chiesa, la quale non si sognava minimamente di rinunciare al potere temporale e nessuno si sarebbe mai permesso di andarvi contro, sino all’arrivo degli illuministi. Nel 476 d.c., cioè alla data tradizionale della fine dell’Impero Romano d’Occidente, l’Italia mantenne l’unità entrando a far parte del Regno degli Ostrogoti, fu mantenuta anche con la riconquista bizantina, ma comandavano sempre gli invasori in entrambi i casi. Nel IV secolo l’unità territoriale iniziò a disintegrarsi con l’invasione dei Longobardi, dopo arrivò Carlo Magno che inaugurò il nuovo impero, comprendente tra l’altro l’Italia centrosettentrionale. Nel Centro Nord dopo gli Imperi e le lotte tra guelfi e ghibellini arrivarono i comuni e le signorie; il sud invece si costituì in uno stato unitario, allorquando i normanni sbarcarono in Sicilia cacciando gli arabi, sul continente scacciarono i bizantini, riunendo sotto un unico regno i ducati longobardi con le terre liberate e costituendo il Regno di Sicilia, che poi sarà il Regno di Napoli e infine il Regno delle Due Sicilie.

QUESTIONE E PROBLEMA MERIDIONALE

Fu per secoli uno stato molto arretrato, basato sul latifondo, dominato dalla Spagna e non fu certo quello stato modello, all’avanguardie su cui si basano le teorie degli antirisorgimentali e dei nostalgici (senza peraltro averci mai vissuto o aver conosciuto quella realtà). Adorano un reame in cui se solo chiedevi diritti, pane, costituzioni ecc. venivi incatenato o ti uccidevano. Il centro nord essendo stato diviso in signorie, ducati, principati era più florido per il semplice fatto che ogni sovrano voleva lasciar traccia della propria grandezza attraverso l’arte, l’artigianato, le maestranze. Al momento dell’unificazione del paese il nord aveva il 50% della popolazione analfabeta, quella percentuale al sud toccava addirittura il 90%, le ferrovie al nord erano moltissime, al sud c’era solo la prima realizzata in Italia, la “Napoli – Portici”. I bilanci statali del sud erano in attivo per il semplice fatto che i sovrani non spendevano nulla, comprese le spese per lo sviluppo. Se il Regno delle Due Sicilie fosse stato uno stato così all’avanguardia, efficiente, non si sarebbe certo fatto distruggere da poco più di mille sventurati, a cui si aggiunsero molti locali e in tutte le città liberate i liberatori furono accolti con entusiasmo dalla popolazione. I briganti esistevano da secoli, il fenomeno si ingrossò con l’arrivo dei piemontesi, perché erano manovrati dai Borbone in esilio: tutti parlano delle stragi compiute dai piemontesi ma non rammentano gli eccidi compiuti dai briganti sui soldati e sulla popolazione. Oggi qualcuno del sud elogia il regio esercito che pose fine al fenomeno del brigantaggio. Però è vero che i “redentori” non fecero nulla per lo sviluppo del sud, per la sua arretratezza, per l’estrema povertà e per porre fine alle disuguaglianze sociali: questa fu l’unica nota stonata del Risorgimento. Si vorrebbe trasformare un riscatto millenario in una sconfitta, allora che dire della Rivoluzione Francese, di cui la moderna società ne è figlia? Anche in quel caso ci furono migliaia di morti e di massacri: sarebbe stato meglio senza, così ancora oggi ci sarebbero le monarchie assolute, i privilegi dei nobili, del clero e la miseria per il resto della popolazione? Nel 1946 il sud, al referendum istituzionale, votò compatto per la monarchia: significa che non vi era più traccia degli avvenimenti successivi all’unità. Negli altri stati preunitari la situazione non era migliore: vi sarebbe piaciuto vivere nella Roma papalina dove venivano tagliate le teste agli oppositori politici?

IL RUOLO DELLA CHIESA E DEL PIEMONTE

L’elezione del pontefice Pio IX fu salutata con entusiasmo dai liberali italiani, in lui riponevano molte aspettative, alcuni addirittura auspicavano una confederazioni di stati sotto la sua guida. Il Pontefice in un primo momento aderì alle lotte: inviò addirittura un corpo di volontari nella I Guerra di Indipendenza, nominò dei ministri laici nel suo governo, concesse riforme; successivamente non se la sentì più di mettersi contro una nazione cattolica come l’Austria, per le sommosse dovette fuggire a Gaeta e così a Roma venne proclamata la Repubblica Romana, con l’intento di unirvi tutta Italia. L’esperimento fallì per le potenze straniere che intervennero e repressero nel sangue i tentativi di resistenza dei volontari giunti da tutta Italia. I ducati e i granducati nell’Italia settentrionale erano degli stati fantocci in mano all’Austria - Ungheria, il Lombardo - Veneto era parte integrante di quell’impero, solo il Piemonte godeva di una certa autonomia, per cui era visto da tutti come l’unico in grado di muoversi contro il principale ostacolo all’unione dei popoli italici. Il sovrano del Regno, Carlo Alberto di Savoia, per via della sue indecisioni e dei suoi ripensamenti era detto il Re Tentenna, tuttavia fu il primo in Italia a concedere la costituzione, così da porre fine alla monarchia assoluta ed entrando in netto contrasto con gli altri membri di Casa Savoia già nel 1821, quando da reggente anticipò lo Statuto Albertino del 1848, che fu soppresso al ritorno del legittimo sovrano Carlo Felice. Le speranze dei liberali italiani erano riposte tutte in Carlo Alberto, il quale nel 1848 intraprese la campagna militare contro l’Austria con l’apporto dei volontari giunti da tutta Italia: il piccolo Piemonte cosa poteva mai fare contro un grande impero? Alla sua sconfitta Carlo Alberto, da uomo d’altri tempi, cercò invano la morte in battaglia e rifiutò di obbedire agli ordini di Radetzky, il quale imponeva di abrogare lo statuto (“Mai!” – esclamò l’abdicante sovrano- “la nostra stirpe conosce la strada dell’esilio, non quella del disonore!”). Alla salita al trono di Vittorio Emanuele II, si capì che da soli non si poteva far nulla, allora il nuovo capo del governo, Camillo Benso Conte di Cavour, intraprese la strada della diplomazia per garantirsi l’appoggio delle potenze europee. Ciò avvenne con la partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea e lo stato si avvicinò alla Francia: ebbe un ruolo decisivo nelle mediazioni la Contessa di Castiglione, la quale fu inviata da Cavour a “trattare” con Napoleone III. Quest’ultimo più che ad aiutare l’Italia pensava a sostituire l’egemonia austriaca con quella francese e il prezzo dell’aiuto sarebbero state Nizza e Savoia, terre di Garibaldi e della casa regnante. “La mia anima è in lutto! Se il re si rassegna a perdere la sua terra, io non mi rassegno a perdere la mia!” - esclamò il generale. Per Cavour Nizza era una pretesa assurda. A Solferino e a San Martino i franco – piemontesi sconfissero gli austriaci, guidati dal loro imperatore in persona, e cedettero la Lombardia; Cavour entrò in collisione col Re, che in combutta con Napoleone III aveva firmato l’armistizio, rinunciando a liberare il Veneto, si dimise, esclamando che egli era il vero re. Ci son volute tre vittorie straniere per fare l’Italia unita: Solferino, Sodowa e Sedan; l’unica impresa (e che impresa!) italiana fu la spedizione dei mille: in quel momento si capì che era possibile realizzare uno stato solo, rinunciando all’idea della confederazione guidata dai Savoia al Nord, dal Papa al Centro e dai Borbone al Sud perché si pensava che fosse un sogno impossibile realizzare una sola Italia. 17 marzo 1861: l’Italia vide la luce senza un quarto di territorio di quella odierna, dieci anni più tardi fu completa con l’annessione del Veneto nel 1866 e del Lazio nel 1870, in entrambi i casi grazie ai Prussiani. I piemontesi e i lombardi furono i principali protagonisti delle lotte per l’indipendenza, erano anche le regioni più avanzate ed istruite di uno stato povero, analfabeta e contadino, dove la lingua italiana era parlata solo dai pochissimi istruiti; la Grande guerra sarà la prima occasione di incontro e la televisione unificherà il linguaggio da nord a sud. A tal proposito ho questo interessante editoriale del primo numero del Corriere della Sera, pubblicato a Milano (città che riassaporava la libertà dopo secoli di dominazioni spagnole prima e austriache dopo) nel febbraio 1876:

1° NUMERO CORRIERE DELLA SERA

"Pubblico, vogliamo parlarci chiaro. In diciassette anni di regime libero tu hai imparato di molte cose. Oramai non ti lasci gabbare dalle frasi. Sai leggere fra le righe e conosci il valore delle gonfie dichiarazioni e delle declamazioni solenni d'altri tempi. La tua educazione politica è matura. L'arguzia, l'esprit ti affascina ancora, ma l'enfasi ti lascia freddo e la violenza ti dà fastidio. Vuoi che si dica pane al pane e non si faccia un trave d'una fessura. Sai che un fatto è un fatto ed una parola non è che una parola, e sai che in politica, più che nelle altre cose di questo mondo, dalla parola al fatto, come dice il proverbio, v'ha un gran tratto. Noi dunque lasciamo da parte la rettorica [sic] e veniamo a parlarti chiaro.
Non siamo conservatori. Un tempo non sarebbe stato politico, per un giornale, principiar così. Il Pungolo non osava confessarsi conservatore. Esprimeva il concetto chiuso in questa parola con una perifrasi. Ora dice apertamente: "Siamo moderati, siamo conservatori". Anche noi siamo conservatori e moderati. Conservatori prima, moderati poi. Vogliamo conservare la Dinastia e lo Statuto; perché hanno dato all'Italia l'indipendenza, l'unità la libertà, l'ordine. In grazia loro si è veduto questo gran fatto: Roma emancipata da' papi che la tennero durante undici secoli. [...]
Siamo moderati, apparteniamo cioè al partito ch'ebbe per suo organizzatore il conte di Cavour e che ha avuto finora le preferenze degli elettori, e - per conseguenza - il potere.[...] L'Italia unificata, il potere temporale de' papi abbattuto, l'esercito riorganizzato, le finanze prossime al pareggio: ecco l'opera del partito moderato.
Siamo moderati, il che non vuol dire che battiamo le mani a tutto ciò che fa il Governo. Signori radicali, venite tra noi, entrate ne' nostri crocchi, ascoltate le nostre conversazioni. Che udite? Assai più censure che lodi. Non c'è occhi più acuti degli occhi degli amici nostri nel discernere i difetti della nostra macchina politica ed amministrativa; non c'è lingue [sic] più aspre, quando ci si mettono, nel deplorarli. [...] Gli è che il partito moderato non è un partito immobile, non è un partito di sazi e dormienti. È un partito di movimento e di progresso.
Sennonché, tenendo l'occhio alla teoria, non vogliamo perdere di vista la pratica e non vogliamo pascerci di parole, e sdegniamo i pregiudizii liberaleschi. E però ci accade di non voler decretare l'istruzione obbligatoria quando mancano le scuole ed i maestri; di non voler proscrivere l'insegnamento religioso se tale abolizione deve spopolare le scuole governative; di non voler il suffragio universale, se l'estensione del suffragio deve porci in balia delle plebi fanatiche delle campagne o delle plebi voltabili [sic] e nervose delle città. [...]
[Conclusione] A' giornali dello scandalo e della calunnia sostituiamo i giornali della discussione pacata ed arguta, della verità fedelmente esposta, degli studi geniali, delle grazie decenti, rialziamo i cuori e le menti, non ci accasciamo in un'inerte sonnolenza, manteniamoci svegli col pungolo dell'emulazione, e non ne dubitiamo, il Corriere della sera potrà farsi posto senza che della sua nascita abbiano a dolersi altri che gli avversari comuni".

MORTE DEI PROTAGONISTI AD UNIONE COMPIUTA

La corrente politica di Cavour, la Destra Storica, fu la protagonista dell’unificazione, proprio in quegli anni (quandò uscì il Corriere), a causa della tassa sul macinato, cedette il potere alla Sinistra Storica di Agostino Depretis. La città più rappresentativa venne fatta capitale per rivivere il mito e la grandezza di un tempo (In Piazza del Quirinale arrivano di corsa i reggimenti, i bersaglieri, la cavalleria. Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta tra i soldati plaudendo” Edmondo De Amicis). Cavour in punto di morte nel 1861 confessandosi esclamò: “padre, padre, libera chiesa, in libero stato!” Negli ultimi mesi di vita in stato di sofferenza pensò appunto a Roma, al Veneto, al Tirolo, alla Dalmazia, ma riteneva che già era stato fatto moltissimo e al seguito ci avrebbe pensato un’altra generazione (l’unione completa ci sarà appunto nel 1918). Garibaldi rinunziò alle faraoniche offerte del Re, fu solo eletto senatore, una volta annesse Venezia e Roma, le sue fisse, le sue ossessioni, che lo avevano fatto entrare in guerra addirittura con i soldati piemontesi, si ritirò a Caprera, dove l’eroe dei due mondi visse serenamente gli suoi ultimi anni di vita in pace, e soddisfatto, prima di spegnersi nel 1882. Giuseppe Mazzini morì nel 1872, anche egli dopo aver visto nascere un’Italia che non gli piaceva in quanto l’avrebbe preferita repubblicana. Vittorio Emanuele II, il Re Galantuomo, il Padre della Patria, se ne andò nel 1878; esclamò all’annessione di Roma: “l’Italia è libera e una: ora non dipende che da noi che farla grande e felice!” 



LE TAPPE DELL’UNITA’ D’ITALIA

1797– a Reggio Emilia, con l’arrivo di Napoleone Bonaparte e l’istituzione della Repubblica Cisalpina, nacque la futura bandiera italiana, di colore verde, bianco e rosso, ispirata alla bandiera rivoluzionaria francese.
1815–  Congresso di Vienna e Restaurazione delle monarchie assolute in tutta Europa e in un Italia, frammentata e dominata direttamente o indirettamente dall’Austria. Nacque la società segreta della Carboneria, il cui motto era “liberare la foresta dai lupi”.
1821 -  concessione delle costituzioni nel Regno di Napoli e in Piemonte, a seguito di sommosse popolari, ma dopo un po’ vennero ritirate per l’opposizione della Santa Alleanza Europea, repressioni terribili delle potenze straniere, specialmente nella Sicilia separatista, impiccagioni di Silvati e Morelli, arresto di Silvio Pellico. Guglielmo Pepe e Santore di Santarosa si salvarono con la fuga.
1830– fallita sommossa di Ciro Menotti nel Ducato di Modena e condanna a morte.
1831– l’esule Giuseppe Mazzini fondò l’associazione Giovine Italia a Marsiglia. L’aderante Jacopo Ruffini, arrestato a Genova, si suicidò per non far nomi.
1834– fallita insurrezione di Ramorino, su ordine di Mazzini, in Savoia; per la disgregazione della Giovine Italia Mazzini fondò a Berna la Giovane Europa.
1842– il compositore e musicista Giuseppe Verdi compose il Nabucco, in cui si denunciava di nascosto la situazione italiana. Stessa cosa aveva fatto anni prima Alessandro Manzoni con il libro I Promessi Sposi.
1844– i fratelli Bandiera, sperando nell’aiuto della popolazione, si introdussero in Calabria per provocare sommosse, ma vennero traditi, catturati e fucilati.
1846– elezione di Pio IX al soglio pontificio: sovrano illuminato e liberale concesse riforme e nominò ministri laici per poi ripensare a tutto. Nello stesso periodo il sacerdote, filosofo e politico piemontese Vincenzo Gioberti nella sua opera “Primato Civile e Morale degli Italiani” auspicava la creazione di una confederazioni di stati italiani sotto la guida del Sommo Pontefice.
1847– Goffredo Mameli compose il Canto degli Italiani, futuro inno nazionale italiano, il quale fu musicato da Michele Novaro.
1848– rivolta di Palermo guidata da Ruggero Settimo, anche Napoli insorse e Ferdinando II fu costretto a concedere la costituzione. In Piemonte a furor di popolo fu osannato il sovrano illuminato Carlo Alberto, che concesse lo statuto, che diverrà la legge fondante del futuro Regno d’Italia, e la libertà di stampa. Rivolta di Milano (le cinque giornate), rivolta di Venezia, guidata da  Daniele Manin, che si proclamò indipendente dall’Austria, fuga di Pio IX a Gaeta.
1848 – 49 – Prima Guerra d’Indipendenza: Carlo Alberto, Re di Sardegna (e Piemonte), dichiarò guerra all’Austria, approfittando delle rivolte e mettendosi a capo dei liberali italiani, per la prima volta gli eserciti adottarono la bandiera italiana con lo stemma dei Savoia. 50.000 soldati, di cui 7.000 forniti da Pio IX, 16.000 dal Re di Napoli e molti studenti toscani, vinsero a Pastrengo e raggiunsero Verona, controffensiva austriaca comandata da Radetzky, che presidiava il quadrilatero (Peschiera, Mantova, Legnano, Verona), eccidio degli studenti toscani a Curtatone e a Montanara. Vittoria piemontese a Goito e sconfitta decisiva a Custoza. Ritorno all’Austria di Milano e Venezia, fuga di Garibaldi e di altri volontari (in futuro saranno i cosiddetti “Cacciatori delle Alpi” dalle suggestive camice rosse) in Svizzera. Dopo 7 mesi i Piemontesi ci riprovarono e furono sconfitti a Novara, Ramorino (quello di Mazzini) venne fucilato per tradimento. Brescia si ribellò e fu denominata “la leonessa d’Italia”, reazione austriaca che massacrò più di 1.000 persone. Carlo Alberto abdicò in favore di suo figlio Vittorio Emanuele II e andò in esilio ad Oporto, dove morì poco dopo.
1849– a seguito della fuga di Pio IX a Roma venne proclamata la Repubblica Romana, con a capo il triunvirato Mazzini- Saffi-Armellini. Reazione francese in soccorso del papa e furiosi combattimenti a Villa Spada, al Gianicolo e al Vascello: accorsero in difesa della repubblica Garibaldi, Manara, Mameli, gli ultimi 2 persero la vita. Fuga di Garibaldi e degli altri esuli a Venezia per difenderla e morte di Anita Garibaldi, moglie del generale, durante il viaggio. Fucilazione a Cesenatico di Ciceruacchio (con i suoi 2 figli), Livraghi e Ugo Bassi, esuli della repubblica.
1852– a Valletta di Belfiore vennero impiccati alcuni mazziniani: Carlo Poma, Bernardo Canal, Giovanni Zambelli, Angelo Scarsellini, Tito Speri e Pier Fortunato Calvi; erano guidati dal sacerdote Enrico Tazzoli.
1854– il giovane Presidente del Consiglio, Camillo Benso Conte di Cavour, inviò un contingente di bersaglieri, comandati da Alfonso Lamarmora, in Crimea, affiancando Inghilterra e Francia, e sconfissero il nemico russo presso Sebastopoli. Al Congresso di Parigi il piccolo Piemonte mise sotto accusa l’Austria e suscitò simpatie.
1857– Carlo Pisacane penetrò in nave a Sapri, con 300 persone, per tentare una sommossa, la popolazione si schierò dalle parte dei Borbone e li massacrò con l’appogio dei soldati, quando tutto era perduto Pisacane si suicidò (“eran trecento, eran giovani e forti e sono morti” La Spigolatrice di Sapri)
1858– Felice Orsini, ultimo difensore della Repubblica Romana e mazziniano, organizzò un attentato a Parigi contro Napoleone III che fallì e fu condannato a morte. Incontro a Plombières tra Cavour e Napoleone III, in cui si decise la guerra contro l’Austria – Ungheria.
1859 – Seconda Guerra d’Indipendenza: alleanza del Regno di Sardegna con la Francia e dichiarazione di guerra all’Austria – Ungheria, vittorie decisive dei franco – piemontesi, forti di 180.000 soldati, a Palestro, Magenta, Solferino, San Martino e ingresso trionfale dei sovrani Vittorio Emanuele II e Napoleone III a Milano; annessione della sola Lombardia al Regno di Sardegna.
1860– a Torino si inaugurò la VII legislatura con i rappresentanti della nuove regioni: Lombardia, Toscana ed Emilia; queste ultime 2 regioni si sollevarono contro i loro sovrani, i quali vennero cacciati, e con dei plebisciti chiesero di entrar a far parte del Regno, per contropartita a tutto ciò bisognò cedere Nizza e Savoia alla Francia. In maggio partenza da Quarto di 1072 volontari, i quali si imbarcarono, guidati da Garibaldi, per liberare il Regno delle Due Sicilie, certi dell’appoggio della popolazione: sbarco a Marsala in Sicilia, primo scontro vittorioso contro le truppe borboniche a Catalafini, con un tranello si aggirarono i nemici e si arrivò in una Palermo sguarnita, apporto dei picciotti siciliani, che si unirono ai mille, e si liberò il resto della Sicilia. Garibaldi si proclamò dittatore in nome di Vittorio Emanuele, passò lo Stretto di Messina e sul continente batté ripetutamente i borbonici, entrando trionfalmente in una Napoli festante. Vittoria decisiva dei garibaldini sul fiume Volturno, riscattando una precedente sconfitta, fuga del Re delle Due Sicilie Francesco II a Gaeta; frattanto i piemontesi scesero dal nord, sconfissero le truppe pontificie, occupando Marche e Umbria. Incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II presso Teano, consegna del defunto regno borbonico al sovrano e assalto finale alla roccaforte di Gaeta. Garibaldi, consigliato dal re, rinunciò alla presa di Roma perché era sotto protettorato francese e si ritirò momentaneamente a Caprera, senza volere gli ori e gli allori che avrebbe voluto concedergli il sovrano. Nello stesso periodo ci furono violente repressioni in Sicilia: contadini uccidevano i proprietari terrieri, per sedare le sommosse Garibaldi inviò Crispi, il quale non fu certo tenero con i rivoltosi.
1861– 17 marzo: il parlamento a Torino, all’inizio dell’VIII legislatura e con i rappresentanti delle regioni liberate, proclamò solennemente il Regno d’Italia, re venne proclamato Vittorio Emanuele II; il paese aveva 22 milioni di abitanti e una superficie di 260.000 m2, restavano fuori il Lazio e le Venezie. Pochi mesi dopo a Torino morì Cavour, che fu tra l’altro il primo Presidente del Consiglio d’Italia.
1862 – Garibaldi, intenzionato a prendere Roma, con alcuni volontari sbarcò in Calabria per proseguire verso la città eterna, ma fu fermato da una guarnigione piemontese in Aspromonte e rimase ferito. Il governo italiano non poteva mettersi contro la Francia, per cui in quel momento aveva rinunciato alla liberazione di Roma per farla capitale.
1861 – 1865– fenomeno del brigantaggio nell’Italia meridionale: i briganti, spronati dal governo borbonico in esilio, si diedero alla guerriglia assaltando e compiendo massacri sui soldati piemontesi, i quali risposero molto duramente sino a reprimere completamente il fenomeno. Ci furono vittime tra i civili.
1865 – trasferimento della capitale d’Italia da Torino a Firenze, proteste da parte dei torinesi che auspicavano di perdere il primato di prima città d’Italia solo in favore di Roma.
1866Terza Guerra d’Indipendenza: alleanza tra Italia e Prussia, quest’ultima era intenzionata ad unificare la Germania, e guerra contro l’Austria per l’appropriazione del Veneto e del Trentino. Sconfitte italiane a Custoza in terra e a Lissa in mare, solo Garibaldi in Trentino salvò l’onore dell’Italia a Bezzeca, ma puntando su Trento con un telegramma gli fu ordinato di fermarsi per l’armistizio: infatti i prussiani avevano rifilato una sonora batosta agli austriaci a Sodowa. Il Veneto entrò a far parte del Regno d’Italia.
1867– Garibaldi non si rassegnò alla presa di Roma, il governo italiano lo fece arrestare per

prevenzione; a Villa Gori i fratelli Cairoli vennero sconfitti dopo aver risalito il Tevere. Garibaldi fuggendo riuscì a penetrare nel Lazio con alcuni volontari, ma venne sconfitto a Mentana dai francesi.
1869– Concilio Ecumenico (Concilio Vaticano I) indetto da Pio IX: stabilì l’infallibilità del papa in materia di fede. Sommosse contadine nella Romagna e nelle Marche represse sanguinosamente.
1870– sconfitta francese a Sedan per mano prussiana, caduta di Napoleone III e ritiro della guarnigione a difesa di Roma; gli italiani, approfittando, entrarono trionfali a Roma, aprendo una breccia a Porta Pia. Il papa non accettò le offerte “degli usurpatori” (Leggi delle Guarentigie), lanciando scomuniche si chiuse in Vaticano e si considerò prigioniero dello stato italiano. Inaugurazione a Firenze del nuovo parlamento comprendente anche i rappresentanti del Lazio.
1871– Roma divenne capitale del Regno d’Italia.
1872– morte di Mazzini a Pisa.
1878– morte di Vittorio Emanuele II e di Pio IX a Roma.
1882– morte di Garibaldi a Caprera.
1918 – a seguito della vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale il Trentino, il Sud Tirolo e la Venezia Giulia entrarono a far parte dell’Italia.

                                                                                                      
Italia 1920                                                                                Italia oggi

sabato 12 marzo 2011

85) GLI ARTEFICI DELL'UNITA' D'ITALIA


 DAL LIBRO CUORE UN TRIBUTO AI PADRI DELL'ITALIA MODERNA


Vittorio Emanuele II di Savoia (Torino 1820 - Roma 1878)
Camillo Benso Conte di Cavour (Torino 1810 - Torino 1861)
Giuseppe Garibaldi (Nizza 1807 - Caprera 1882)
Giuseppe Mazzini (Genova 1805 - Pisa 1872)



 I funerali di Vittorio Emanuele

17, martedì
Quest’oggi alle due, appena entrato nella classe, il maestro chiamò Derossi, il quale s’andò a mettere accanto al tavolino, in faccia a noi, e cominciò a dire col suo accento vibrante, alzando via-via la voce limpida e colorandosi in viso: - Quattro anni sono, in questo giorno, a quest’ora, giungeva davanti al Pantheon, a Roma, il carro funebre che portava il cadavere di Vittorio Emanuele II, primo Re d’Italia, morto dopo ventinove anni di regno, durante i quali la grande patria italiana, spezzata in sette stati e oppressa da stranieri e da tiranni, era risorta in uno Stato solo, indipendente e libero; dopo un regno di ventinove anni, che egli aveva fatto illustre e benefico col valore, con la lealtà, con l’ardimento nei pericoli, con la saggezza dei trionfi, con la costanza delle sventure. Giungeva il carro funebre, carico di corone, dopo aver percorso Roma sotto una pioggia di fiori, tra il silenzio di una immensa moltitudine addolorata, accorsa da ogni parte d’Italia, preceduto da una legione di generali e da una folla di ministri e di principi, seguito da un corteo di mutilati, da una selva di bandiere, dagli inviati di trecento città, da tutto ciò che rappresenta la potenza e la gloria d’un popolo, giungeva dinanzi al tempio augusto dove l’aspettava la tomba. In questo momento dodici corazzieri levavano il feretro dal carro. In questo momento l’Italia dava l’ultimo addio al suo re morto, al suo vecchio re, che l’aveva tanto amata, l’ultimo addio al suo soldato, al padre suo, ai ventinove anni più fortunati e più benedetti della sua storia. Fu un momento grande e solenne. Lo sguardo, l’anima di tutti trepidava tra il feretro e le bandiere abbrunate degli ottanta reggimenti dell’esercito d’Italia portate da ottanta ufficiali, schierati sul suo passaggio; poiché l’Italia era là, in quegli ottanta segnacoli, che ricordavano le migliaia di morti, i torrenti di sangue, le nostre più sacre glorie, i nostri più santi sacrifizi, i nostri più tremendi dolori. Il feretro, portato dai corazzieri, e allora si chinarono tutte insieme, in atto di saluto le bandiere dei nuovi reggimenti, le vecchie bandiere lacere di Goito, di Pastrengo, di Santa Lucia, di Novara, di Crimea, di Palestro, di San Martino, di Castelfidardo, ottanta veli neri caddero, cento medaglie urtarono contro la cassa, e quello strepito sonoro e confuso, che rimescolò il sangue di tutti, fu come il suono di mille voci umane che dicessero tutte insieme – Addio, buon re, prode re, leale re! Tu vivrai nel cuore del tuo popolo finchè splenderà il sole sopra l’Italia. – dopo di che le bandiere si rialzarono alteramente verso il cielo, e re Vittorio entrò nella gloria immortale della tomba. 



Giuseppe Garibaldi 
 

3, sabato. Domani è la festa nazionale
Oggi è un lutto nazionale. Ieri sera è morto Garibaldi. Sai chi era? È quello che affrancò dieci milioni d’Italiani dalla tirannia dei Borboni. È morto a settantacinque anni. Era nato a Nizza, figliuolo d’un capitano di bastimento. A otto anni salvò la vita a una donna, a tredici, tirò a salvamento una barca piena di compagni che naufragavano, a ventisette, trasse dall’acque di Marsiglia un giovanetto che s’annegava, a quarant’uno scampò un bastimento dall’incendio sull’Oceano. Egli combatté dieci anni in America per la libertà d’un popolo straniero, combatté in tre guerre contro gli Austriaci per la liberazione della Lombardia e del Trentino, difese Roma dai Francesi nel 1849, liberò Palermo e Napoli nel 1860, ricombatté per Roma nel ’67, lottò nel 1870 contro i Tedeschi in difesa della Francia. Egli aveva la fiamma dell’eroismo e il genio della guerra. Combatté in quaranta combattimenti e ne vinse trentasette. Quando non combatté, lavorò per vivere o si chiuse in un’isola solitaria a coltivare la terra. Egli fu maestro marinaio, operaio, negoziante, soldato, generale, dittatore. Era grande, semplice e buono. Odiava tutti gli oppressori; amava tutti i popoli; proteggeva tutti i deboli; non aveva altra aspirazione che il bene, rifiutava gli onori; disprezzava la morte, adorava l’Italia. Quando gettava un grido di guerra, legioni di valorosi accorrevano a lui da ogni parte: signori lasciavano i palazzi; operai le officine, giovanetti le scuole per andar a combattere al sole della sua gloria. In guerra portava una camicia rossa. Era forte, biondo, bello. Sui campi di battaglia era un fulmine, negli affetti un fanciullo, nei dolori un santo. Mille Italiani son morti per la patria, felici morendo di vederlo passar di lontano vittorioso migliaia si sarebbero fatti uccidere per lui; milioni lo benedissero e lo benediranno. È morto. Il mondo intero lo piange. Tu non lo comprendi per ora. Ma leggerai le sue gesta, udrai parlar di lui continuamente nella vita; e via via che crescerai, la sua immagine crescerà pure davanti a te; quando sarai un uomo, lo vedrai gigante, e quando non sarai più al mondo tu, quando non vivranno più i figli dei tuoi figli, e quelli che saran nati da loro, ancora le generazioni vedranno in alto la sua testa luminosa di rendentore di popoli coronata dai nomi delle sue vittorie come da un cerchio di stelle, e ad ogni italiano risplenderà la fronte e l’anima pronunziando il suo nome.

TUO PADRE


Giuseppe Mazzini 

29, sabato
Anche questa mattina Garrone venne alla scuola pallido e con gli occhi gonfi di pianto; e diede appena un’occhiata ai piccoli regali che gli avevamo messi sul banco per consolarlo. Ma il maestro aveva portato una pagina d’un libro, da leggergli, per fargli animo. Prima ci avvertì che andassimo tutti domani al tocco al Municipio a veder dare la medaglia del valor civile a un ragazzo che ha salvato un bambino dal Po, e che lunedì egli ci avrebbe dettato la descrizione della festa, in luogo del racconto mensile. Poi, rivoltosi a Garrone, che stava col capo basso, gli disse: - Garrone, fa uno sforzo, e scrivi anche tu quello che io detto. - Tutti pigliammo la penna. Il maestro dettò.
«Giuseppe Mazzini, nato a Genova nel 1805, morto a Pisa nel 1872, grande anima di patriotta, grande ingegno di scrittore, ispiratore ed apostolo primo della rivoluzione italiana; il quale per amore della patria visse quarant’anni povero, esule, perseguitato, ramingo, eroicamente immobile nei suoi principii e nei suoi propositi; Giuseppe Mazzini che adorava sua madre, e che aveva attinto da lei quanto nella sua anima fortissima e gentile v’era di più alto e di più puro, così scriveva a un suo fedele amico, per consolarlo della più grande delle sventure. Son presso a poco le sue parole: "Amico, tu non vedrai mai più tua madre su questa terra. Questa è la tremenda verità. Io non mi reco a vederti, perché il tuo è uno di quei dolori solenni e santi che bisogna soffrire e vincere da sé soli. Comprendi ciò che voglio dire con queste parole: - Bisogna vincere il dolore? - Vincere quello che il dolore ha di meno santo, di meno purificatore; quello che, invece di migliorare l’anima, la indebolisce e l’abbassa. Ma l’altra parte del dolore, la parte nobile, quella che ingrandisce e innalza l’anima, quella deve rimanere con te, non lasciarti più mai. Quaggiù nulla si sostituisce a una buona madre. Nei dolori, nelle consolazioni che la vita può darti ancora, tu non la dimenticherai mai più. Ma tu devi ricordarla, amarla, rattristarti della sua morte in un modo degno di lei. O amico, ascoltami. La morte non esiste, non è nulla. Non si può nemmeno comprendere. La vita è vita, e segue la legge della vita: il progresso. Tu avevi ieri una madre in terra: oggi hai un angelo altrove. Tutto ciò che è bene sopravvive, cresciuto di potenza, alla vita terrena. Quindi anche l’amore di tua madre. Essa t’ama ora più che mai. E tu sei responsabile delle tue azioni a Lei più di prima. Dipende da te, dalle opere tue d’incontrarla, di rivederla in un’altra esistenza. Tu devi dunque, per amore e riverenza a tua madre, diventar migliore e darle gioia di te. Tu dovrai d’ora innanzi, ad ogni atto tuo, dire a te stesso: - Lo approverebbe mia madre? - La sua trasformazione ha messo per te nel mondo un angelo custode al quale devi riferire ogni cosa tua. Sii forte e buono; resisti al dolore disperato e volgare; abbi la tranquillità dei grandi patimenti nelle grandi anime: è ciò che essa vuole.»
- Garrone! - soggiunse il maestro: - sii forte e tranquillo, è ciò che essa vuole. Intendi? Garrone accennò di sì col capo, e intanto gli cadevan delle lacrime grosse e fitte sulle mani, sul quaderno, sul banco.


Il Conte Cavour

29, mercoledì
È la descrizione del monumento al conte Cavour che tu devi fare. Puoi farla. Ma chi sia stato il conte Cavour non lo puoi capire per ora. Per ora sappi questo soltanto: egli fu per molti anni il primo ministro del Piemonte, è lui che mandò l’esercito piemontese in Crimea a rialzare con la vittoria della Cernaia la nostra gloria militare caduta con la sconfitta di Novara; è lui che fece calare dalle Alpi centocinquantamila Francesi a cacciar gli Austriaci dalla Lombardia, è lui che governò l’Italia nel periodo più solenne della nostra rivoluzione, che diede in quegli anni il più potente impulso alla santa impresa dell’unificazione della patria, lui con l’ingegno luminoso, con la costanza invincibile, con l’operosità più che umana. Molti generali passarono ore terribili sul campo di battaglia; ma egli ne passò di più terribili nel suo gabinetto quando l’enorme opera sua poteva rovinare di momento in momento come un fragile edifizio a un crollo di terremoto, ore, notti di lotta e d’angoscia passò, da uscirne con la ragione stravolta o con la morte nel cuore. E fu questo gigantesco e tempestoso lavoro che gli accorciò di vent’anni la vita. Eppure, divorato dalla febbre che lo doveva gettar nella fossa, egli lottava ancora disperatamente con la malattia, per far qualche cosa per il suo paese. - È strano, diceva con dolore dal suo letto di morte, - non so più leggere, non posso più leggere. - Mentre gli cavavan sangue e la febbre aumentava, pensava alla sua patria, diceva imperiosamente: - Guaritemi, la mia mente s’oscura, ho bisogno di tutte le mie facoltà per trattare dei gravi affari. - Quando era già ridotto agli estremi, e tutta la città s’agitava, e il Re stava al suo capezzale, egli diceva con affanno. - Ho molte cose da dirvi, Sire, molte cose da farvi vedere; ma son malato, non posso, non posso; - e si desolava. E sempre il suo pensiero febbrile rivolava allo Stato, alle nuove provincie italiane che s’erano unite a noi; alle tante cose che rimanevan da farsi. Quando lo prese il delirio. - Educate l’infanzia, - esclamava fra gli aneliti, - educate l’infanzia e la gioventù... governate con la libertà. - Il delirio cresceva, la morte gli era sopra, ed egli invocava con parole ardenti il generale Garibaldi, col quale aveva avuto dei dissensi, e Venezia e Roma che non erano ancor libere, aveva delle vaste visioni dell’avvenire d’Italia e d’Europa, sognava un’invasione straniera, domandava dove fossero i corpi dell’esercito e i generali, trepidava ancora per noi, per il suo popolo. Il suo grande dolore, capisci, non era di sentirsi mancare la vita, era di vedersi sfuggire la patria, che aveva ancora bisogno di lui, e per la quale aveva logorato in pochi anni le forze smisurate del suo miracoloso organismo. Morì col grido della battaglia nella gola, e la sua morte fu grande come la sua vita. Ora pensa un poco, Enrico, che cosa è il nostro lavoro, che pure ci pesa tanto, che cosa sono i nostri dolori, la nostra morte stessa, a confronto delle fatiche, degli affanni formidabili, delle agonie tremende di quegli uomini; a cui pesa un mondo sul cuore! Pensa a questo, figliuolo, quando passi davanti a quell’immagine di marmo, e dille: - Gloria! - in cuor tuo.
TUO PADRE

venerdì 4 marzo 2011

84) CENTOCINQUANTA ANNI D'ITALIA


 ITALIA, 17 MARZO 1861 – 17 MARZO 2011


 
BANDIERA ITALIANA

Evoluzione della bandiera italiana in tutti i vari governi: partendo dalla Repubblica Cisalpina sino ad arrivare alla Repubblica Italiana

 
Arrivò con la Rivoluzione Francese, allorquando Napoleone Bonaparte conquistò l’Italia e il tricolore italiano fu adottato dalla Repubblica Cisalpina prima e dal Regno d’Italia (1805 – 1814) poi; fu presentato per la prima volta a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797. E’ ispirato alla bandiera francese, si sostituisce solo il colore blu con il verde: Il bianco e il rosso venivano dallo stemma comunale di Milano (come il blu e il rosso della bandiera francese erano i colori simbolo di Parigi), mentre il verde era il colore della guardia civica milanese. Dopo la Restaurazione del 1815 quella stessa bandiera, la bandiera della libertà, venne adottata dai patrioti italiani nelle loro rivolte e divenne l’emblema di qualche governo rivoluzionario che verrà soppresso: come quello della Repubblica Romana del 1849 ad esempio. Carlo Alberto di Savoia, quando il suo stato venne visto da tutti come l’unico in grado di risolvere la causa italiana, dopo aver concesso lo Statuto adottò il tricolore italiano come bandiera ufficiale, marchiandolo al centro con il simbolo della Dinastia Savoia. Quindi nel 1861 quella bandiera divenne la bandiera ufficiale d’Italia. Nel 1946 con la proclamazione della Repubblica mediante referendum popolare, la bandiera senza più lo stemma sabaudo fu scelta anche dalla Repubblica italiana come uno degli emblemi, ciò lo proclama ufficialmente l’articolo 14 della Costituzione. 


INNI NAZIONALI


INNO NAZIONALE ITALIANO 1861 – 1946
MARCIA REALE ITALIANA (Testo e musica Giuseppe Gabetti, 1831)
Dal 1922 al 1943 alla marcia Reale fu aggiunto Giovinezza, inno Del Pnf, ed entrambi furono gli inni ufficiali italiani.






Evviva il Re! Evviva il Re! Evviva il Re!/Chinate o Reggimenti le Bandiere al nostro Re /La gloria e la fortuna dell'Italia con Lui è/Bei Fanti di Savoia gridate evviva il Re!/Chinate o Reggimenti le Bandiere al nostro Re!/Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re!/Le trombe liete squillano/Viva il Re!/Viva il Re!Viva il Re!/Con esso i canti echeggiano/Rullano i tamburi le trombe squillano squillano/Cantici di gloria eleviamo con fervor/Viva l'Italia, l'Italia evviva! Evviva il Re!/Viva L'Italia, evviva li Re! Evviva il Re!!!/Viva l'Italia! Viva il Re! Viva il Re!/Tutta l'Italia spera in Te, crede in Te,/gloria di nostra stirpe, segnal di libertà,/di libertà, di libertà, di libertà.

Quando i nemici agognino/i nostri campi floridi/dove gli eroi pugnarono/nelle trascorse età,/Quando i nemici agognino/i nostri campi floridi/dove gli eroi pugnarono/nelle trascorse età,/finché duri/l'amor di patria fervido,/finché regni la nostra civiltà.

L'Alpe d'Italia libera,/dal bel parlare angelico,/piede d'odiato barbaro/giammai calpesterà/finché duri l'amor di patria fervido,/finche regni la nostra civiltà./Come falange unanime/i figli della Patria/si copriran di gloria/gridando libertà.

INNO NAZIONALE ITALIANO 1946 – OGGI
INNO DI MAMELI O CANTO DEGLI ITALIANI (Testo: Goffredo Mameli. Musica: Michele Novaro) Il testo fu composto dal patriota e poeta Goffredo Mameli nel 1847: di idee mazziniane fu molto attivo nelle sommosse e nelle ribellioni. Aderì con entusiasmo alla causa della Repubblica Romana nel 1849 e perì a sua difesa. 





Fratelli d'Italia/L'Italia s'è desta,/Dell'elmo di Scipio/S'è cinta la testa./Dov'è la Vittoria?/Le porga la chioma,/Ché schiava di Roma/Iddio la creò./Stringiamoci a coorte/Siam pronti alla morte/L'Italia chiamò.

Noi fummo da secoli/Calpesti, derisi,/Perché non siam popolo,/Perché siam divisi./Raccolgaci un'unica/Bandiera, una speme:/Di fonderci insieme/Già l'ora suonò./Stringiamoci a coorte/Siam pronti alla morte/L'Italia chiamò.
Uniamoci, amiamoci,/l'Unione, e l'amore/Rivelano ai Popoli/Le vie del Signore;/Giuriamo far libero/Il suolo natìo:/Uniti per Dio/Chi vincer ci può?/Stringiamoci a coorte/Siam pronti alla morte/L'Italia chiamò. 

Dall'Alpi a Sicilia/Dovunque è Legnano,/Ogn'uom di Ferruccio/Ha il core, ha la mano,/I bimbi d'Italia/Si chiaman Balilla,/Il suon d'ogni squilla/I Vespri suonò./Stringiamoci a coorte/Siam pronti alla morte/L'Italia chiamò. 

Son giunchi che piegano/Le spade vendute:/Già l'Aquila d'Austria/Le penne ha perdute./Il sangue d'Italia,/Il sangue Polacco,/Bevé, col cosacco,/Ma il cor le bruciò./Stringiamoci a coorte/Siam pronti alla morte/L'Italia chiamò




 IL VITTORIANO (IL SIMBOLO D’ITALIA)

Il nome deriva da Vittorio Emanuele II, il primo re d' Italia. Alla sua morte, nel 1878, fu deciso di innalzare un monumento che celebrasse il Padre della Patria e con lui l'intera stagione risorgimentale. Il Vittoriano doveva essere uno spazio aperto ai cittadini. Il complesso monumentale venne inaugurato da Vittorio Emanuele III il 4 giugno 1911 (50° anniversario dell’Unità d’Italia). Il tema centrale di tutto il monumento è rappresentato dalle due iscrizioni sui propilei: " PATRIAE UNITATI" " CIVIUM LIBERTATI", che significa " All'unità della Patria" " Alla libertà dei cittadini. Una parte di esso è L'Altare della Patria.






CAPITALI 

Nel 1860 Garibaldi proclamò simbolicamente Salemi in Sicilia prima capitale d’Italia. Tra il 1943 e il 1945, anche se la capitale formalmente rimase Roma per i governi che si costituirono, per via degli eventi bellici le sedi governative erano poste a Brindisi prima e a Salerno poi per il Regno del Sud e a Salò sul Garda per La Repubblica Sociale Italiana.

TORINO 1861 – 1865
FIRENZE 1865 – 1871
ROMA 1871 – OGGI


POPOLAZIONE

Nei primi decenni si considerano i confini dell’Italia odierna, negli ultimi sono inclusi gli stranieri residenti e sono esclusi gli italiani residenti all’estero (ca. 4 milioni).

1861: 26.328.000
1871: 28.151.000
1881: 29.791.000
1901: 33.778.000
1911: 36.921.000
1921: 37.856.000
1931: 41.043.000
1936: 42.399.000
1951: 47.516.000
1961: 50.624.000
1971: 54.137.000
1981: 56.556.000
1991: 56.778.000
2001: 57.600.000
2010: 60.387.000


CAPI DI STATO

RE D’ITALIA:
VITTORIO EMANUELE II DI SAVOIA (1861 – 1878)
UMBERTO I DI SAVOIA (1878 – 1900)
VITTORIO EMANUELE III DI SAVOIA (1900 – 1946)
UMBERTO II DI SAVOIA (1946)

PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA ITALIANA
ENRICO DE NICOLA (1946 – 1948)
LUIGI EINAUDI (1948 – 1955)
GIOVANNI GRONCHI (1955 – 1962)
ANTONIO SEGNI (1962 – 1964)
GIUSEPPE SARAGAT (1964 – 1971)
GIOVANNI LEONE (1971 – 1978)
SANDRO PERTINI (1978 – 1985)
FRANCESCO COSSIGA (1985 – 1992)
OSCAR L. SCALFARO (1992 – 1999)
CARLO A. CIAMPI (1999 – 2006)
GIORGIO NAPOLITANO (2006 – OGGI)

 


LEGISLATURE E PRESIDENTI DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Potrete notare che la legislatura che diede avvio al Regno d’Italia nel 1861 fu la numero VIII e che il Governo Cavour è il 4°, perché il conteggio iniziò nel 1848, anno in cui Carlo Alberto di Savoia concesse lo Statuto Albertino nel Regno di Sardegna, che prevedeva le elezioni e i governi, trasformando lo stato da assolutistico a semicostituzionale. Quello stesso Statuto fu adottato dal Regno d’Italia sino alla proclamazione della Repubblica nel 1946. Con la nuova Costituzione Italiana del 1948 le legislature ripartirono da 0. All’inizio il corpo elettorale fu molto esiguo: per la Camera nel 1861 avevano diritto al voto solo 418.695 persone su una popolazione di oltre 22 milioni di abitanti; dipendeva dai contributi e dalle tasse che si versavano. Col passare dei decenni il corpo elettorale si allargò di volta in volta, sino al raggiungimento del suffragio universale maschile nel 1912 e del suffragio universale nel 1946. Durante il Governo Mussolini i componenti della Camera venivano proposti dallo stesso e venivano approvati con un si o rifiutati con un no dagli elettori.


REGNO D’ITALIA
VIII LEGISLATURA

Camillo Benso di Cavour 1861 (Gov. Cavour IV: Destra Storica)
Bettino Ricasoli 1861-1862 (Gov. Ricasoli I: Destra Storica)
Urbano Rattazzi 1862 (Gov. Rattazzi I: Sinistra Storica)
Luigi Carlo Farini 1862-1863 (Gov. Farini: Destra Storica)

IX LEGISLATURA

Marco Minghetti 1863-1864 (Gov. Minghetti I: Destra Storica)
Alfonso Lamarmor
a 1864-1865 (Gov. Lamarmora II: Destra Storica)
Alfonso Lamarmora 1865-1866 (Gov. Lamarmora III: Destra Storica)
Bettino Ricasoli 1866-1867 (Gov. Ricasoli II: Destra Storica)
Urbano Rattazzi 1867 (Gov. Rattazzi II: Sinistra Storica)
Luigi F. Menabrea 1867-1868 (Gov. Menabrea I: Destra Storica)

Luigi F. Menabrea 1868-1869 (Gov. Menabrea II:Destra Storica)
Luigi F. Menabrea 1869 (Gov. Menabrea III: Destra Storica)
X E XI LEGISLATURA
Giovanni Lanza 1869-1873 (Gov. Lanza: Destra Storica)
XI E XII LEGISLATURA
Marco Minghetti 1873-1876 (Gov. Minghetti II: Destra Storica)
XII E XIII LEGISLATURA
Agostino Depretis 1876-1877 (Gov. Depretis I: Sinistra Storica)

Agostino Depretis 1877-1878 (Gov. Depretis II: Sinistra Storica)
Benedetto Cairoli 1878 (Gov. Cairoli I: Sinistra Storica)
Agostino Depretis 1878-1879 (Gov. Depretis III: Sinistra Storica)

Benedetto Cairoli 1879 (Gov. Cairoli II: Sinistra Storica)
XIII E XIV LEGISLATURA
Benedetto Cairoli 1879-1881 (Gov. Cairoli III: Sinistra Storica)
XIV E XV LEGISLATURA
Agostino Depretis 1881-1883 (Gov. Depretis IV: Sinistra Storica)
Agostino Depretis 1883-1884 (Gov. Depretis V: Sinistra Storica)
Agostino Depretis 1884-1885 (Gov. Depretis VI: Sinistra Storica)
Agostino Depretis 1885-1886 (Gov. Depretis VII: Sinistra Storica)
Agostino Depretis 1886-1887 (Gov. Depretis VIII: Sinistra Storica)
XVI LEGISLATURA

Agostino Depretis 1887 (Gov. Depretis IX: Sinistra Storica)
Francesco Crispi 1887-1889 (Gov. Crispi I: Sinistra Storica)

Francesco Crispi 1889-1891 (Gov. Crispi II: Sinistra Storica)
XVII LEGISLATURA
Antonio di Rudinì 1891-1892 (Gov. Rudinì I: Destra Storica)
XVII E XVIII LEGISLATURA
Giovanni Giolitti 1892-1893 (Gov. Giolitti I: Sinistra Storica)
XVIII E XIX LEGISLATURA
Francesco Crispi 1893-1896 (Gov. Crispi III: Sinistra Storica)
Antonio di Rudinì 1896 (Gov. Rudinì II: Destra Storica)
XIX E XX LEGISLATURA
Antonio di Rudinì 1896-1897 (Gov. Rudinì III: Destra Storica)
Antonio di Rudinì 1897-1898 (Gov. Rudinì IV: Destra Storica)
Antonio di Rudinì 1898 (Gov. Rudinì V: Destra Storica)
Luigi Pelloux 1898-1899 (Gov. Pelloux I: Destra Storica)
Luigi Pelloux 1899-1900 (Gov. Pelloux II: Destra Storica)
XXI LEGISLATURA

Giuseppe Saracco 1900-1901 (Gov. Saracco: Sinistra Storica)
Giuseppe Zanardelli 1901-1903 (Gov. Zanardelli: Sinistra Storica)

XXII LEGISLATURA
Giovanni Giolitti 1903-1905 (Gov. Giolitti II: Sinistra Storica)

Tommaso Tittoni 1905 (Gov. Tittoni: Destra Storica)
Alessandro Fortis 1905 (Gov. Fortis I: Sinistra Storica)

Alessandro Fortis 1905-1906 (Gov. Fortis II: Sinistra Storica)
Sidney Sonnino 1906 (Gov. Sonnino I: Destra Storica)

XXII E XXIII LEGISLATURA
Giovanni Giolitti 1906-1909 (Gov. Giolitti III: Sinistra Storica)

Sidney Sonnino 1909-1910 (Gov. Sonnino II: Destra Storica)
Luigi Luzzatti 1910-1911 (Gov. Luzzatti: Destra Storica)

XXIII E XXIV LEGISLATURA
Giovanni Giolitti 1911-1914 (Gov. Giolitti IV: Sinistra Storica)

Antonio Salandra 1914 (Gov. Salandra I: Destra Storica)
Antonio Salandra 1914-1916 (Gov. Salandra II: Destra Storica)
Paolo Boselli 1916-1917 (Gov. Boselli: Destra Storica)
Vittorio E. Orlando 1917-1919 (Gov. Orlando: Sinistra Storica)

XXV LEGISLATURA
Francesco S. Nitti 1919-1920 (Gov. Nitti I: Sinistra Storica)

Francesco S. Nitti 1920 (Gov. Nitti II: Sinistra Storica)
Giovanni Giolitti 1920-1921 (Gov. Giolitti V: Sinistra Storica)

XXVI LEGISLATURA

Ivanoe Bonomi 1921-1922 (Gov. Bonomi I: Psri/Ppi/Giolittiani)
Luigi Facta 1922 (Gov. Facta I: Sinistra Storica)

Luigi Facta 1922 (Gov. Facta II: Sinistra Storica)
XXVI, XXVII, XXVIII, XXIX E XXX LEGISLATURA
Benito Mussolini 1922-1943 (Gov. Mussolini: Pnf)
PERIODO COSTITUZIONALE TRANSITORIO
XXX LEGISLATURA (SOLO SENATO DEL REGNO)
Pietro Badoglio 1943-1944 (Gov. Badoglio I: militare)

Pietro Badoglio 1944 (Gov. Badoglio II: mil./Dc/Pci/Psiup/Pli/Pda)
LUOGOTENENZA DEL PRINCIPE DI PIEMONTE

Ivanoe Bonomi 1944-1945 (Gov. Bonomi II: Pdl*/Dc/Pci/Psiup/Pli/Pda)

Ivanoe Bonomi 1945 (Gov. Bonomi III: Pdl/Dc/Pci/Psiup/Pli/Pda)
Ferruccio Parri 1945 (Gov Parri: Pda/Pdl/Dc/Pci/Psiup/Pli)
Alcide De Gasperi 1945-1946 (Gov. De Gasperi I: Dc/Pci/Psiup/Pli/Pda/Pdl)

* Pdl: Partito Democratico del Lavoro


REPUBBLICA ITALIANA
N.B.: il primo partito indicato nelle coalizioni di governo è il partito del Presidente del Consiglio
ASSEMBLEA COSITUENTE
Alcide De Gasperi 1946-1947 (Gov. De Gasperi II: Dc/Pci/Psi/Pli)
Alcide De Gasperi 1947 (Gov. De Gasperi III: Dc/Pci/Psi)
Alcide De Gasperi 1947-1948 (Gov. De Gasperi IV: Dc/Pri/Psdi/Pli)
I LEGISLATURA
Alcide De Gasperi 1948-1950 (Gov. De Gasperi V: Dc/Pri/Psdi/Pli)
Alcide De Gasperi 1950-1951 (Gov. De Gasperi VI: Dc/Pri/Psdi)
Alcide De Gasperi 1951-1953 (Gov. De Gasperi VII: Dc/Pri)
II LEGISLATURA

Alcide De Gasperi 1953 (Gov. De Gasperi VIII: Dc)
Giuseppe Pella 1953-1954 (Gov. Pella: Dc)
Amintore Fanfani 1954 (Gov. Fanfani I: Dc)
Mario Scelba 1954-1955 (Gov. Scelba: Dc/Psdi/Pli)
Antonio Segni 1955-1957 (Gov. Segni I. Dc/Psdi/Pli)
Adone Zoli 1957-1958 (Gov. Zoli: Dc)

III LEGISLATURA

Amintore Fanfani 1958-1959 (Gov. Fanfani II: Dc/Psdi)
Antonio Segni 1959-1960 (Gov. Segni II: Dc)
Ferdinando Tambroni 1960 (Gov. Tambroni: Dc)
Amintore Fanfani 1960-1962 (Gov. Fanfani III: Dc)
Amintore Fanfani 1962-1963 (Gov. Fanfani IV: Dc/Psdi/Pri)

IV LEGISLATURA

Giovanni Leone 1963 (Gov. Leone I: Dc)
Aldo Moro 1963-1964 (Gov. Moro I: Dc/Psi/Psdi/Pri)
Aldo Moro 1964-1966 (Gov. Moro II: Dc/Psi/Psdi/Pri)
Aldo Moro 1966-1968 (Gov. Moro III: Dc/Psi/Psdi/Pri)

V LEGISLATURA

Giovanni Leone 1968 (Gov. Leone II: Dc)
Mariano Rumor 1968-1969 (Gov. Rumor I: Dc/Psi/Psdi/Pri)
Mariano Rumor 1969-1970 (Gov. Rumor II: Dc)
Mariano Rumor 1970 (Gov. Rumor III: Dc/Psi/Psdi/Pri)
Emilio Colombo 1970-1972 (Gov. Colombo: Dc/Psi/Psdi/Pri)
Giulio Andreotti 1972 (Gov. Andreotti I: Dc)

VI LEGISLATURA

Giulio Andreotti 1972-1973 (Gov. Andreotti II: Dc/Psdi/Pli)
Mariano Rumor 1973-1974 (Gov. Rumor IV: Dc/Psi/Psdi/Pri)
Mariano Rumor 1974-1974 (Gov. Rumor V: Dc/Psi/Psdi)
Aldo Moro 1974-1975 (Gov. Moro IV: Dc/Pri)
Aldo Moro 1975-1976 (Gov. Moro V: Dc)

VII LEGISLATURA

Giulio Andreotti 1976-1978 (Gov. Andreotti III: Dc)
Giulio Andreotti 1978-1979 (Gov. Andreotti IV: Dc)
Giulio Andreotti 1979 (Gov. Andreotti V: Dc/Psdi/Pri)

VIII LEGISLATURA

Francesco Cossiga 1979-1980 (Gov. Cossiga I: Dc/Psdi/Pli)
Francesco Cossiga 1980 (Gov. Cossiga II: Dc/Psi/Pri)
Arnaldo Forlani 1980-1981 (Gov. Forlani: Dc/Psi/Psdi/Pri)
Giovanni Spadolini 1981-1982 (Gov. Spadolini I: Pri/Dc/Psi/Psdi/Pli)
Giovanni Spadolini 1982 (Gov. Spadolini II: Pri/Dc/Psi/Psdi/Pli)
Amintore Fanfani 1982-1983 (Gov. Fanfani V: Dc/Psi/Psdi/Pli)

IX LEGISLATURA

Bettino Craxi 1983-1986 (Gov. Craxi I: Psi/Dc/Pri/Psdi/Pli)
Bettino Craxi 1986-1987 (Gov. Craxi II: Psi/Dc/Pri/Psdi/Pli)
Amintore Fanfani 1987 (Gov. Fanfani VI: Dc/indipendenti)

X LEGISLATURA

Giovanni Goria 1987-1988 (Gov. Goria: Dc/Psi/Psdi/Pri/Pli)
Ciriaco De Mita 1988-1989 (Gov. De Mita: Dc/Psi/Psdi/Pri/Pli)
Giulio Andreotti 1989-1991 (Gov. Andreotti VI: Dc/Psi/Psdi/Pri/Pli)
Giulio Andreotti 1991-1992 (Gov. Andreotti VII: Dc/Psi/Psdi/Pli)

XI LEGISLATURA

Giuliano Amato 1992-1993 (Gov Amato I: Psi/Dc/Psdi/Pli)
Carlo Azeglio Ciampi 1993-1994 (Gov. Ciampi: Ind./Psi/Dc/Psdi/Pli)

XII LEGISLATURA

Silvio Berlusconi 1994-1995 (Gov. Berlusconi I: Fi/Msi-An/Ln/Ccd)
Lamberto Dini 1995-1996 (Gov. Dini: tecnico)

XIII LEGISLATURA

Romano Prodi 1996-1998 (Gov. Prodi I: Ppi/Pds/Ri/Fv)
Massimo D'Alema 1998-1999 (Gov. D’Alema I: Ds/Ppi/Ri/Fv/Pdci/Sdi/Udr)
Massimo D'Alema 1999-2000 (Gov. D’Alema II: Ds/Ppi/Ri/Fv/Pdci/Sdi/Udeur)
Giuliano Amato 2000-2001 (Gov. Amato II: Ds/Ppi/Ri/Fv/Pdci/Sdi/Udeur)

XIV LEGISLATURA

Silvio Berlusconi 2001-2005 (Gov. Berlusconi II: Fi/An/Ln/Ccd-Cdu)
Silvio Berlusconi 2005-2006 (Gov. Berlusconi III: Fi/An/Ln/Udc)

XV LEGISLATURA
Romano Prodi 2006-2008 (Gov. Prodi II: Dl/Ds/Prc/Rnp/Pdci/Idv/Fv/Udeur)
XVI LEGISLATURA
Silvio Berlusconi 2008-oggi (Gov. Berlusconi IV: Pdl/Ln/Mpa)  



TOTALE GOVERNI 1861 – 2011: 125 (65 Regno d’Italia, 60 Repubblica Italiana)TOTALE PRESIDENTI DEL CONSIGLIO 1861 – 2011: 53* (30 Regno d’Italia, 24 Repubblica Italiana) * la somma regno+repubblica non corrisponde per un numero, per via di Alcide De Gasperi che fu presidente sia nel Regno, sia nella Repubblica.


CHI HA GOVERNATO DI PIU’:
Benito Mussolini 7.572 giorni, 1 governo
Giovanni Giolitti 3.837 giorni, 5 governi
Agostino Depretis 3.189 giorni, 9 governi
Silvio Berlusconi* 3.096 giorni, 4 governi
NELLA REPUBBLICA ITALIANA:
Silvio Berlusconi* 3.096 giorni, 4 governi
Giulio Andreotti 2.679 giorni, 7 governi
Alcide De Gasperi: 2.548 giorni, 7 governi (repubblicani)



GOVERNI PIU’ LONGEVI:
Governo Mussolini, 31 ottobre 1922 – 25 luglio 1943, 7.572 giorni
Governo Berlusconi II, 11 giugno 2001 – 23 aprile 2005, 1.412 giorni
Governo Lanza, 14 dicembre 1869 – 10 luglio 1873, 1.304 giorni
Governo Giolitti III, 29 maggio 1906 – 11 dicembre 1909, 1.292 giorni
GOVERNI PIU’ LONGEVI REPUBBLICANI:
Governo Berlusconi II, 11 giugno 2001 – 23 aprile 2005, 1412 giorni
Governo Craxi I, 4 agosto 1983 – 1 agosto 1986, 1093 giorni
Governo Berlusconi IV*, 8 maggio 2008 – in carica, 1043 giorni
Governo Prodi I, 17 maggio 1996 – 21 ottobre 1998, 887 giorni 


*statistiche aggiornate al giorno del 150° dell’Unità d’Italia