bandiera

bandiera

venerdì 27 aprile 2012

139) FASCISMO E POSTFASCISMO


RICORDO DI AJMONE FINESTRA: L’UOMO CHE NEL 1993 A LATINA, A SORPRESA  (MA NON PIU’ DI TANTO, VISTO LE ORIGINI DELLA CITTADINA), CON IL SOLO MSI (ANCORA NON C’ERANO FI E GLI ALTRI PARTITI DELLE ALLEANZE DI DESTRA) SEGNO’ LA SVOLTA, VENENDO ELETTO SINDACO E ROMPENDO IL CINQUANTENARIO E SCHIACCIANTE DOMINIO DEMOCRISTIANO NELLA CITTA’.


LATINA PERDE AJMONE FINESTRA, FIGURA STORICA DELLA DESTRA ITALIANA

È morto nella notte, all’età di 91 anni, Ajmone Finestra, figura storica della destra italiana, ex sindaco di Latina per due mandati dal 1993 al 2002 ed ex senatore della Repubblica. Finestra era stato, in gioventù, militante della Repubblica di Salò. Il suo impegno politico si è intrecciato con la storia del Msi di Giorgio Almirante, al quale l’ex senatore rimase ancorato senza mai accettare la svolta finiana. Il sindaco di Latina ha annunciato per domani la proclamazione del lutto cittadino e l’allestimento di una camera ardente pubblica.
L’aula del Senato ha tributato un applauso in omaggio a Finestra, già componente di palazzo Madama nell’ottava e nona legislatura. Il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, ha ricordato la figura dell’ex sindaco di Latina, ricordando, fra l’altro, che “inauguro il meccanismo dell’elezione diretta del primo cittadino, quando il suo partito era ancora l’Msi”. “È stato un combattente – ha aggiunto Gasparri – un protagonista della destra italiana”. E in tempi di antipolitica e di processi sommari alle classi dirigenti, la figura di Finestra “è un riferimento di moralità e onestà”.
Nell’esprimere le proprie condoglianze ai familiari, la moglie e i due figli, per la morte di Finestra, il coordinatore nazionale del Pdl, Ignazio La Russa ha sottolineato che “con lui se ne va un riferimento di passione e di coerenza per tutte le generazioni della Destra italiana. Un uomo che ha sempre dedicato il suo impegno politico al servizio delle istituzioni avendo come unico obiettivo l’interesse dei cittadini”.
Il cordoglio per la scomparsa di Finestra è unanime. La presidente della Regione Lazio, Renata Polverini ha espresso “vicinanza alla comunità di Latina a cui Finestra ha dedicato tutto il proprio impegno non solo negli anni che lo hanno visto sindaco del capoluogo pontino”, mentre Giorgia Meloni osserva: “Con Ajmone Finestra se ne va una storia italiana di coerenza e onestà, di passione politica e civile. Giovane e dinamico fino all’ultimo giorno della sua lunga vita. Mancherà molto a me, ma credo anche a coloro che erano distanti dalle sue idee. Accade quando scompare un uomo per bene”.
“La scomparsa del senatore Ajmone Finestra mi ha commosso profondamente, privando la città di uno dei più importanti protagonisti e testimoni della storia e dello sviluppo di Latina. La sua passione, l’attaccamento, l’amore per la terra in cui era cresciuto hanno segnato ogni momento della vita pubblica e privata, politica e professionale di un uomo cui i nostri cittadini, ieri come oggi devono molto”. Questo il ricordo del sindaco di Latina, Giovanni Di Giorgi. “Un segno di riconoscenza, oltre che di affetto, per un uomo il cui impegno al servizio delle istituzioni ha sempre avuto come unico obiettivo l’interesse comune, il bene della città e dei sui cittadini – ha aggiunto – La sua attività pubblica, sempre connotata da rigore morale e profonda onestà, ne ha fatto apprezzare la vocazione di uomo delle istituzioni che egli servì da sindaco di Latina, da parlamentare della Repubblica, da consigliere regionale, provinciale e comunale portando sempre un’impronta innovativa e uno spirito autenticamente riformista con quell’anima di combattente che sempre lo ha contraddistinto dagli anni della Repubblica sociale fino alle battaglie condotte da primo cittadino”.



ALCUNI ASPETTI POSITIVI DEL REGIME FASCISTA, SENZA TRALASCIARE QUELLI NEGATIVI, I QUALI POSERO LE BASI PER I SUCCESSIVI MIRACOLI ECONOMICI DEL DOPOGUERRA.

SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO? UN SERENO CONFRONTO TRA DEMOCRAZIA E FASCISMO


LA DEGENERAZIONE DELLA POLITICA ITALIANA, IN ATTO ORMAI DA UN TRENTENNIO, STA METTENDO IN DISCUSSIONE I FONDAMENTI DELLA REPUBBLICA

Con questo pezzo qualcuno mi bollerà come un nostalgico fascista, o, al limite, uno dei tanti qualunquisti. Il tentativo in questa sede è invece quello di confrontare l’attuale fase decadente della nostra Repubblica - ormai in corso da un trentennio (Berlinguer già nel 1984 parlava di “questione morale”) e fatta di storie di corruzioni, volgarità, scandali vari ed eventuali - con la prima fase del Regime fascista (1922-1936), nel corso della quale furono realizzate importanti riforme legislative (alcune rimaste in vigore fino a pochi anni fa), grandi opere pubbliche e importanti innovazioni culturali.

Molti sono gli stereotipi che portano all’automatica e totale bocciatura del Fascismo, con una conseguente promozione della democrazia divenuta stancamente scontata, al punto che i politici per anni hanno fatto quello che gli pareva e piaceva grazie al nostro totale disinteresse. Facendoci giungere alla situazione drammatica attuale.

Di seguito riporto un elenco di quanto compiuto dal Fascismo prima del mortale abbraccio col Nazismo di Hitler, che portò il Paese prima alla drammatica promulgazione delle Leggi razziali e poi all’ingresso nella Seconda guerra mondiale; alla quale l’Italia non era assolutamente preparata.

LA CORRUZIONE - Di Benito Mussolini e della grandissima maggioranza dei gerarchi Fascisti, (come dimostrò la Commissione sui "profitti del regime" costituita per volere dei vincitori e degli antifascisti,  subito dopo il 25 Aprile ‘45) nessuno può dire che ci si arricchì a scapito degli Italiani, cosa che è ben difficile, se non impossibile da dire dei politicanti di questa turpe e sgangherata  repubblica delle banane nata dalla demoniaca ideologia resistenziale.

LE OPERE PUBBLICHE – Benito Mussolini ed il Fascismo hanno espropriato latifondi, hanno creato poderi fertili laddove erano paludi malsane, hanno rimboscato territori, hanno costruito intere città in due-tre anni, hanno trasformato braccianti "sanculotti" in contadini proprietari. Benito Mussolini ed il Fascismo hanno collegato organicamente l'Italia costruendo autostrade, sviluppando ed elettrificando la rete ferroviaria, ristrutturando porti e dotando l'Italia del primo Codice della Strada. Benito Mussolini ed il Fascismo hanno costruito immensi acquedotti portando l'acqua in territori che per secoli erano stati aridi, trasformando un'agricoltura di sussistenza in agricoltura fertile e redditizia.
Benito Mussolini ed il Fascismo hanno organizzato la crescita organica ed ordinata dei centri abitati dotando l'Italia della sua prima Legge Urbanistica ed imponendo i Piani regolatori e di sviluppo sia a livello comunale che Regionale.
Oggi sappiamo quanti anni passano per la conclusione di un tratto stradale, di una ferrovia, o di una qualsivoglia opera pubblica. Il tutto col dovuto magna magna di politici e addetti ai lavori.

LE RIFORME LEGISLATIVE E IL WELFARE - Benito Mussolini ed il Fascismo hanno fatto le prime riforme che hanno ammodernato e rimesso ordine nei campi della Giustizia con il Codice Rocco ed in quello della Scuola con la Riforma Gentile.
Benito Mussolini ed il Fascismo hanno dato ai lavoratori, prima sfruttati come bestie da soma, da una borghesia cinica, operante nel vile silenzio di una Chiesa Cattolica inetta; un orario di lavoro umano, l'assicurazione contro le malattie, contro gli infortuni, l'invalidità e l’indennitá di disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, gli assegni famigliari, gli sgravi fiscali per le famiglie numerose, l'istituzione del "Dopolavoro", le colonie marine e montane per i figli del ceto popolare, le scuole obbligatorie, l’apprendistato, l'assistenza alle lavoratrici durante la maternità e molto altro ancora.
Oggi sappiamo quanto il Welfare sia stato gradualmente smantellato e come le riforme in generale siano continuamente annacquate e rinviate.

LO SVILUPPO INDUSTRIALE - Benito Mussolini ed il Fascismo hanno sviluppato organicamente l'industria con la creazione delle aree industriali, primo grande esperimento Italiano di progettazione di tutte le componenti strutturali, logistiche, economiche ed umane del mondo del lavoro.
Ma la cosa più importante di tutte fu la legge sulla Socializzazione delle Imprese, varata poco dopo la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, legge che darà all’operaio una posizione di autorità, oltre che di dignità, ancora oggi  assolutamente sconosciuta ed impensabile ovunque nel mondo. Con tale legge infatti, per la prima volta nella storia delle società umane, gli operai entravano nei Consigli d'Amministrazione delle industrie, diventando “giuridicamente” un elemento sostanziale  della gestione aziendale.
Oggi c’è la fuga delle aziende dall’Italia, anche di quelle italiane stesse.

Voi che bocciate il Fascismo a priori siete in realtà i primi artefici del degrado della Democrazia, perché la difendete senza ormai pretendere più di tanto da essa. E fu proprio questo atteggiamento a spalancare le porte alla dittatura.

 

FONTE: http://lucascialo.blogspot.it/  http://www.ilduce.net/fascismoedemocrazia.htm

mercoledì 25 aprile 2012

138) GLI ECCIDI INSABBIATI


IN OCCASIONE DEL 25 APRILE OCCORRE RICORDARE COLORO CHE VENNERO TRUCIDATI, MA NON SONO MAI STATI MENZIONATI DALLA STORIA, PERCHE' SCONFITTI. E' GIUSTA QUEST'OPERA DI REVISIONE E DI RIVALUTAZIONE DEI MARTIRIZZATI "DELLA PARTE SBAGLIATA", COME E' GIUSTO RICORDARE LE STRAGI NAZIFASCISTE, CHE SONO STATE SEMPRE DESCRITTE SUI LIBRI DI SCUOLA.

(TESTO TRATTO DA VARI SITI)


La strage di Oderzo (Treviso)Negli ultimi giorni di aprile del 1945, esattamente il 28, 126 giovani militi dei Btg. “Bologna” e “Romagna” della GNR e 472 uomini della Scuola Allievi Ufficiali di Oderzo della R.S.I. (450 allievi più 22 ufficiali) si arresero al C.L.N. con la promessa di avere salva la vita. L’accordo fu sottoscritto nello studio del parroco abate mitrato Domenico Visentin, presenti il nuovo sindaco di Oderzo Plinio Fabrizio, Sergio Martin in rappresentanza del C.L.N., il Col, Giovanni Baccarani, comandante della Scuola di Oderzo e il maggiore Amerigo Ansaloni comandante del Btg. Romagna. Ma quando scesero i partigiani della Brigata Garibaldi “Cacciatori della pianura” comandati dal partigiano Bozambo l’accordo fu considerato carta straccia e il 30 aprile cominciarono a uccidere. Molti furono massacrati senza pietà fra il 30 aprile e il 15 maggio. La maggior parte, ben 113, fu uccisa al Ponte della Priula, frazione di Susegana e gettati nel Piave. Pare si trattasse di 50 uomini del “Bologna”, 23 del “Romagna”, 12 della Brigata Nera, 4 della X^ MAS, e gli altri di altri reparti fra cui gli allievi della scuola. Altri furono trucidati sul fiume Monticano.La banda di "Bozambo", "boia di Montaner", al matrimonio tra Adriano Venezian e Vittorina Arioli, entrambi partigiani, al banchetto di addio al celibato di Venezian uno della banda affermò :- Ti auguriamo che tu abbia ad avere dodici figli e perché questo augurio abbia ad essere consacrato domandiamo che siano uccisi, vittime di propiziazione, dodici fascisti -.Fu così che la mattina del 16 maggio scelsero tredici allievi ufficiali della Scuola di Oderzo e li assassinarono nei pressi del Ponte della Priula. (Particolare delle stragi di Oderzo). (Contributo di Francesco Fatica dell’ISSES Napoli)Vedi anche, qui appresso i caduti sulla corriera della morte. In totale le vittime fra gli ufficiali della scuola di Oderzo furono 144.

La corriera della morte
Verso la metà di maggio (esattamente nella notte fra il 14 e il 15) tre camion della Pontificia Opera di Assistenza venivano dal bresciano e trasportavano verso sud reduci della R.S.I. che cercavano di rientrare a casa. Uno veniva da Rezzato, uno da Erbusco e uno da Brescia. Su quest’ultimo c’erano anche 15 o 16 allievi della scuola di Oderzo. A Bondanello, però, la polizia partigiana che aveva sede nella casa del popolo di Moglia, fermò i camion (almeno due). Il primo, proveniente da Brescia trasportava 43 persone. Queste furono consegnate alla polizia partigiana di Concordia che ne rinchiuse 25 (pare) a Villa Medici, ribattezzata “Villa del pianto”. Questi furono depredati di tutto e massacrati il 17 maggio. Gli altri, due notti dopo, vennero caricati su un camion e fatti proseguire per Carpi . Ma giunti a San Possidonio furono scaricati, condotti a gruppi nella campagna circostante, depredati, seviziati e uccisi. Era la notte del 19 maggio. Fra tanto orrore un fatto ancora più orrendo: fra quei poveretti c’era anche una giovane donna con marito e figlio. Questi ultimi finirono massacrati con gli altri. La donna, al sesto mese di gravidanza, fu violentata da nove uomini e poi abbandonata in stato confusionale davanti ad un albergo di Modena. Dalle risultanze processuali pare che gli uccisi fossero, in totale, più di ottanta. Diversi responsabili furono identificati ma, come al solito, pur essendo stati ritenuti colpevoli, beneficiarono dell’amnistia (e del minaccioso sostegno del partito comunista) e rimasero impuniti.

Gli uccisi di Pescarenico (Lecco)
La sera del 26 aprile transitò per Lecco una colonna di 160 uomini del Gruppo Corazzato “Leonessa” e del Btg. “Perugia” che ripiegava su Como. A Pescarenico furono attaccati dai partigiani. Asserragliati in alcune case i militi si difesero per tutta la notte e per tutto il giorno 27. A sera, avendo quasi esaurite le munizioni, fu trattata la resa. Le condizioni erano che i militi dovevano avere la libertà e gli ufficiali la prigionia secondo la Convenzione di Ginevra. Dopo la resa tutti gli uomini furono picchiati e insultati e minacciati tutti di morte. Il giorno 28 i tredici ufficiali e tre vice brigadieri furono uccisi. Prima di morire lasciarono ai religiosi che li assistettero,toccanti lettere per i familiari.

La strage di Monte Manfrei (Savona)
In questo luogo isolato dell’Appennino Ligure, fra Genova e Savona, nei giorni tragici di fine aprile, primi maggio 1945, i partigiani trucidarono i 200 marò del presidio di Sassello della Divisione “San Marco”, quando la guerra si era ormai conclusa. I cadaveri, sepolti sotto poca terra nei dintorni, non sono stati ancora rinvenuti tutti, anche per l’omertà delle popolazioni, minacciate ancora adesso dagli assassini dell’epoca. Una grande croce ricorda ora i caduti e ogni anno, l’8 luglio, numerose persone salgono lassù e li ricordano con una toccante cerimonia.

La strage di Rovetta (Bergamo)
Il 26 aprile 1945 un plotone della 6^ Compagnia della Legione Tagliamento di presidio al Passo della Presolana, al quale si aggiunsero alcuni militi della 5^, sentite le notizie della disfatta tedesca decise, malgrado la contrarietà di alcuni, di arrendersi, sollecitato in tal senso anche dal Franceschetti, proprietario dell’albergo che ospitava i militi e si diresse verso Clusone. Ma, giunti a Rovetta (BG), trattarono la resa col locale C.L.N. che promise un trattamento conforme alle convenzioni internazionali. Erano 46 militi comandati dal giovane S.Ten. Panzanelli di 22 anni. Deposte le armi, furono alloggiati nelle locali scuole elementari. Il prete del luogo, Don Giuseppe Bravi, era anche segretario del C.L.N. locale e garantiva il rispetto degli accordi. Ma una masnada di feroci partigiani, giunti da Lovere su due camion, impose la consegna dei prigionieri e il 28 aprile, dopo feroci maltrattamenti, 43 di loro (uno, Fernando Caciolo, della 5^ Cmp, sedicenne di Anagni, riuscì a fuggire e tre giovanissimi, Chiarotti Cesare, 1931, di Milano, Ausili Enzo, 1928, di Roma e Bricco Sergio, 1929, di Como, vennero risparmiati) vennero condotti presso il cimitero di Rovetta e qui fucilati. Ben 28 di loro avevano meno di 20 anni. L’ultimo ad essere ucciso, dopo aver assistito alla morte di tutti i camerati, fu il Vice brigadiere Giuseppe Mancini, figlio di Edvige Mussolini sorella del Duce.Dopo la guerra alcuni di quei partigiani ritenuti responsabili della strage furono individuati e processati. Ma la sentenza fu di non luogo a procedere in forza del Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 194 del 12 aprile 1945, firmato da Umberto di Savoia, che in un unico articolo dichiarava non punibili le azioni partigiane di qualsiasi tipo perché da considerarsi “azioni di guerra”. Fu, cioè, dalla viltà dei giudici, considerata azione di guerra legittima anche il massacro di prigionieri inermi compiuta, per giunta, quando la guerra era ormai terminata.

La strage di Lovere (Bergamo)
Mercoledì 25 aprile 1945 un piccolo presidio della Legione “Tagliamento”, 26 militi della 4^ Cmp, II Rgt, di stanza nell’edificio delle scuole elementari a Piancamuno in Val Canonica venne sorpreso da un gruppo di partigiani fra i quali erano dei polacchi in divisa tedesca. Malgrado la sorpresa i militi reagiscono, ma le perdite sono gravi : 9 morti fra cui il comandante aiutante maresciallo Ernesto Tartarini e tre feriti. Anche il comandante partigiano, però, tale Luigi Macario, viene ucciso insieme ad altri due, cosicché i partigiani, rimasti senza comandante, cedono al fuoco intenso dei militi superstiti e si ritirano. A questo punto giunge in aiuto una squadra del plotone Guastatori al comando del brigadiere Amerigo De Lupis.Egli si rende conto che i tre feriti che giaccioni all’Ospedale di Darfo non hanno una assistenza adeguata. Uno dei tre, infatti, Sandro Fumagalli, muore la mattina del 26Allora nel pomeriggio il De Lupis, con una piccola scorta, porta i due feriti. ancora vivi all’Ospedale di Lovere, sul lago d’Iseo. Ma egli non sa che i partigiani stanno occupando la città. Al mattino, infatti, il locale presidio del 612° Comando Provinciale della G.N.R. comandato dal Ten. Agostino Ginocchio si è arreso a un gruppo di partigiani e altri partigiani stanno affluendo dalle montagne. Così il De Lupis e i suoi uomini vengono sorpresi all’uscita dall’Ospedale e catturati. Condotti presso la casa canonica (Palazzo Bazzini) che veniva utilizzata come prigione, vennero rinchiusi insieme agli uomini del Ten. Ginocchio. Testimoni dell’epoca affermano che ai prigionieri vennero inflitti pesanti maltrattamenti. Il 30 aprile un legionario, Giorgio Femminini di 20 anni, ottenne di potersi sposare con la sorella di un commilitone, Laura Cordasco, così fu condotto in chiesa col De Lupis e il commilitone Vito Giamporcaro come testimoni. Ma poichè la cerimonia si prolungava i partigiani condussero via tutti gli uomini del De Lupis e li portarono dietro il cimitero dove furono massacrati con raffiche di mitra. Gli uccisi furono sei: Amerigo De Lupis, Aceri Giuseppe, Femminini Giorgio, Mariano Francesco, Giamporcaro Vito, Alletto Antonino. I due legionari: Le Pera Giovanni e De Vecchi Francesco, ricoverati, come si è detto, in ospedale per gravi ferite, furono quasi ogni giorno percossi e maltrattati e, infine, prelevati da partigiani fra il 7 e l’ 8 di Giugno, oltre 40 giorni dopo la fine della guerra, percossi, seviziati e, infine, gettati nel lago e annegati.

I massacrati di Ponte Crenna (Pavia)
Il 12 agosto 1944 quattro giovani militi venivano catturati dai partigiani e barbaramente assassinati a Ponte Crenna nell’Oltrepo Pavese. Fra essi Walter Nannini, medaglia d’Argento alla memoria.

La strage di S.Eufemia e Botticino Sera (Brescia)
Fra il 9 e il 13 maggio 1945 furono prelevati 11 fascisti a Lumezzane e altri a Toscolano Maderno. Orribilmente seviziati, 23 vennero uccisi proprio di fronte alla chiesa di S.Eufemia mentre altri 16 vennero uccisi e gettati in una fossa a Botticino, in una località detta Mulì de l’Ora. I civili erano 16 e 23 i militari di cui 9 erano della Divisione San Marco. I cadaveri furono ritrovati in stato di avanzata decomposizione, con tracce di inaudita violenza e le unghie strappate. Autori dell’eccidio furono i partigiani comandati da tale Tito Tobegia.

L’eccidio dell’Ospedale psichiatrico di Vercelli
Nei giorni dal 23 al 26 aprile 1945 si erano concentrate a Vercelli tutte le forze della R.S.I. della zona, circa 2000 uomini, che andarono a costituire la Colonna Morsero, dal nome del Capo Provincia di Vercelli Michele Morsero. Tale colonna partì da Vercelli alle ore 15 del 26 aprile, dirigendo verso nord per raggiungere la Valtellina. I reparti che costituivano la colonna erano : Il 604° Comando Provinciale GNR Vercelli Comandato dal Colonnello Giovanni Fracassi, la VII^ B.N. “Punzecchi di Vercelli, parte della XXXVI^ B.N. “Mussolini” di Lucca, CXV° Btg “Montebello”, I° Btg granatieri “Ruggine”, I° Btg d’assalto”Ruggine”, I° Btg rocciatori (poi controcarro) “Ruggine”, III° Btg d’assalto “Pontida”. La colonna raggiunse Castellazzo, a Nord di Novara, la mattina del 27 aprile e, dopo trattative, la sera decise, dopo molte incertezze, di arrendersi ai partigiani di Novara dietro promessa di essere trattati da prigionieri di guerra. Il 28 aprile i prigionieri vengono condotti a Novara e rinchiusi in massima parte nello stadio. Subito cominciarono gli insulti e i maltrattamenti e il 30 cominciarono i prelevamenti di gruppi di fascisti dei quali non si ebbe più notizia. Lo stesso accadde nei giorni successivi insieme a feroci pestaggi. Il 2 maggio Morsero viene portato a Vercelli e fucilato. Intanto sono giunti gli americani che tentano di ristabilire un minimo di legalità. Ma il Corriere di Novara dell’8 maggio parla di molti cadaveri di fascisti ripescati nel canale Quintino Sella. Finché il 12 maggio giungono da Vercelli i partigiani della 182^ Brigata Garibaldi di “Gemisto” cioè Francesco Moranino che prelevano circa 140 fascisti elencati in una loro lista. Questi uomini saranno le vittime della più incredibile ferocia. Portati all’Ospedale Psichiatrico di Vercelli saranno, in buona parte massacrati all’interno di questo. Le pareti dei locali dove avvenne l’eccidio erano lorde di sangue fino ad altezza d’uomo. Altri saranno schiacciati in un cortile da un autocarro, altri fucilati nell’orto accanto alla lavanderia, altri, pare tredici, fucilati a Larizzate e altri ancora, infine, portati con due autocarri e una corriera (quindi in numero rilevante) al ponte di Greggio sul canale Cavour e qui, a quattro a quattro, uccisi e gettati nel canale. Nei giorni successivi i cadaveri ritrovati nei canali di irrigazione alimentati dal canale Cavour furono più di sessanta. Solo il giorno 13 maggio, domenica, gli americani prenderanno il controllo dei prigionieri ed eviteranno altri massacri. Era già pronta la lista dei prigionieri da prelevare quello stesso giorno alle ore 18.

Il massacro di Schio (Vicenza)
La notte del 7 luglio 1945 una pattuglia partigiana irruppe nel carcere di Schio dove erano detenute 91 persone presunti fascisti. Di queste, che erano state radunate in uno stanzone e contro cui furono sparate molte raffiche di mitra, ne furono massacrate ben 54 di cui 19 donne, mentre 14 rimasero ferite (11 in modo grave). Il tribunale militare alleato individuò alcuni degli esecutori materiali del crimine ed emise alcune condanne, però mai eseguite. Dai dibattimenti emerse che molte di quelle persone non avevano alcuna colpa e nei loro confronti era già pronto l’ordine di scarcerazione. Il governatore militare alleato ebbe ad affermare che i fatti di Schio “costituiscono una macchia per l’Italia ed hanno avuto una larga pubblicità nei giornali statunitensi, britannici e sudafricani dove vengono considerati senza attenuanti".

Il massacro di Avigliana (Torino)
Qui furono uccisi, a guerra finita, dopo che si erano arresi ed erano stati disarmati, 33 militari della R.S.I..

I morti di Agrate Conturbia (NO)Caduti per la Patria” sta scritto su una croce che fa la guardia a 33 salme di fascisti senza nome, trucidati nel sottostante bosco detto “la Bindellina”.

I feroci massacri del Biellese
A Bocchetta Sessera (Vercelli) una stele ricorda le decine di cadaveri di fascisti, non solo uomini ma anche donne, stuprate e seviziate prima di essere uccise, che si presume ancora si trovino nel bosco sottostante. Fu questa, una delle zone dove la ferocia partigiana toccò livelli inimmaginabili. Qui operava Francesco Moranino detto Gemisto che, ricordiamolo, nel 1955 fu condannato all’ergastolo dalla Corte d’Appello di Firenze per strage di partigiani non comunisti e che fuggì a Praga, da dove rientrò in Italia dopo che il P.C.I. lo ebbe fatto eleggere Senatore.

Gli N.P. trucidati a Valdobbiadene (Treviso)
Qui, dopo che il 9 marzo 1945 il grosso del Btg N.P. della X^ fu trasferito sul fronte del Senio, rimasero a presidio soltanto 45 marò. Essi, che avevano sempre vissuto in buona armonia con la popolazione e, quindi, pensavano di non avere nulla da temere, dopo il 25 aprile, a guerra finita, si consegnarono ai partigiani della Brigata “Mazzini” (Comandante Mostacetti). Ma nella notte fra il 4 e il 5 maggio essi furono divisi in tre gruppi per essere, si disse loro, trasferiti altrove. Il primo gruppo fu condotto in località Saccol di Valdobbiadene, spinto in una galleria e, qui, trucidato a colpi di mitra e di bombe a mano. La galleria, poi, fu fatta saltare per occultare il crimine. Il secondo gruppo fu condotto in località Madean di Combai. Qui ai marò vennero legate le mani dietro la schiena con filo di ferro, indi, dopo essere stati depredati, vennero uccisi e bruciati. Stessa sorte ebbe il terzo gruppo, condotto in località Bosco di Segusino.

L’eccidio del 2° R.A.U.
Gli uomini del 2° R.A.U. ( Reparti Arditi Ufficiali) appartenente al R.A.P (Raggruppamento Anti Partigiano), che operava in Piemonte, si arresero ai partigiani il 27 aprile a Cigliano, a nord di Torino, essendo stato promesso il trattamento dovuto ai prigionieri di guerra e l’onore delle armi. Ma il 29 vengono divisi in due gruppi: nel primo vengono inclusi quasi tutti gli ufficiali, le ausiliarie e due signore mogli di ufficiali, nel secondo gli altri. Il primo gruppo viene condotto a Graglia fra inauditi maltrattamenti, senza cibo ne acqua per tre giorni. Fu negata l’acqua anche alla signora Della Nave, incinta. Il 2 di Maggio 1945 furono divisi in tre gruppi: il primo fu condotto al ruscello che divide il comune di Graglia da quello di Netro, il secondo in località Paiette e il terzo alla Cascina Quara presso il Santuario. E furono tutti trucidati. Oggi tutte le salme riposano in una tomba-ossario nel cimitero di Graglia dove una lapide bronzea recante il gladio della R.S.I. che ne ricorda il sacrificio.

L’eccidio dei fratelli Govoni
Alle ore 23 dell’11 Maggio 1945, venerdì, ad Argelato (Bologna), frazione Casadio, podere Grazia, assieme al altri dieci fascisti prelevati a San Giorgio in Piano, partigiani emiliani trucidavano, dopo averli condotti, legati a 3 a 3, presso una fossa anticarro, i sette fratelli Govoni che erano stati prelevati a Pieve di Cento la mattina alle 6,30 : Dino, 40 anni, falegname, Marino, 34 anni, contadino, Emo, 31 anni, falegname, Giuseppe, 29 anni, contadino, Augusto, 27 anni, contadino, Primo, 22 anni, contadino e Ida, di appena venti anni, sposata ad Argelato e madre di un bambino. Prima della morte tutti furono picchiati a sangue e seviziati in vario modo. Solo Dino e Marino avevano militato nella R.S.I., Marino come brigadiere della G.N.R. e Dino come semplice milite. Nel 1951, quando fu scoperta la fossa dove giacevano i corpi dei 7 fratelli insieme a quelli degli altri dieci fascisti, si scoprì lì vicino un’altra fossa con i resti di 25 cadaveri.

Gli uccisi del XIV Btg Costiero da Fortezza
Il 5 Maggio 1945, a guerra ormai conclusa, 20 militi del battaglione, che aveva valorosamente combattuto a difesa dei confini orientali, si consegnarono ai partigiani, fidando nelle leggi internazionali che tutelano i prigionieri di guerra. Ma i partigiani, totalmente irrispettosi di ogni legge, li condussero, dopo molte marce, a Sella Doll di Montesanto e qui, fattili inginocchiare sul bordo di una trincea della prima guerra mondiale, barbaramente li uccisero con un colpo alla nuca.

La strage di Codevigo (Padova)
Qui nei primi giorni del Maggio 1945 (fra il 3 e il 13) furono seviziate e uccise oltre 365 persone fra cui 17 fascisti (uomini e donne) dello stesso Codevigo (12 maggio). I militari, appartenenti a formazioni R.S.I. della provincia di Ravenna, erano stati catturati negli ultimi giorni di aprile e chiusi in carcere. Ma i partigiani romagnoli di Arrigo Boldrini li prelevarono dicendo che li avrebbero condotti a Ravenna. Li condussero, invece, a Codevigo e qui, dopo averli seviziati, li condussero al ponte sul fiume Brenta e li uccisero a due a due, gettandoli poi nel fiume. Molte salme furono trascinate via dalla corrente. Altre, gettate nei cimiteri dei dintorni, furono recuperate per l’opera instancabile di Rosa Melai che, il 27 maggio 1962 riuscì a inaugurare l’Ossario dove potè radunare le salme ritrovate. Oggi sono 114 i caduti che qui hanno trovato riposo e rispetto.

I trucidati a Ponte di Greggio (VC)
I fatti avvennero nei primi giorni del Maggio 1945.

I massacri dei bersaglieri del “Mussolini”
Come è noto il Btg di bersaglieri volontari “Mussolini” fronteggiò gli slavi del X° Corpus sul fronte orientale fin dal 10/12 ottobre 1943. Il 30 Aprile 1945, dopo la morte di Mussolini e la resa delle truppe italo-tedesche, anche gli uomini del “Mussolini” decisero di arrendersi ai partigiani di Tito, alle condizioni stabilite che prevedevano l’immediato rilascio dei soldati e la trattenuta dei soli ufficiali per accertare eventuali responsabilità. Ma i “titini” si guardarono bene dal rispettare le condizioni concordate e, invece di lasciare liberi i soldati, condussero tutti a Tolmino e li rinchiusero in una caserma. Da qui qualcuno fortunatamente riuscì a fuggire, ma, dopo alcuni giorni, 12 ufficiali e novanta volontari furono prelevati, condotti sul greto dell’Isonzo e, qui, trucidati. Dopo altri giorni altri dodici furono prelevati, condotti a Fiume e uccisi. E ancora il 18 maggio dall’Ospedale Militare di Gorizia furono prelevati 50 degenti e uccisi. Dieci erano bersaglieri. Intanto i sopravvissuti avevano iniziato una marcia allucinante, senza cibo né acqua, picchiati e seviziati, e altri furono uccisi durante la marcia. Finalmente giunsero al tristemente famoso campo di prigionia di Borovnica ove fame, epidemie, sevizie e torture inumane seminano morte fra gli odiatissimi bersaglieri. Alla chiusura di quel campo, nel 1946, i sopravvissuti furono internati in altri campi ove le condizioni non migliorarono assolutamente. Alla fine, il 26 giugno 1947, soltanto 150 bersaglieri, ridotti in condizioni inumane, poterono tornare in Italia. Dei quasi quattrocento caduti del battaglione, ben 220 furono quelli uccisi dopo il 30 aprile 1945.

La strage delle Ausiliarie
Negli ultimi giorni dell’ Aprile e nei primi di Maggio 1945 l’odio bestiale dei partigiani si scatenò con particolare accanimento contro le donne che avevano prestato servizio in qualità di ausiliarie nell’esercito della R.S.I. Esse subirono torture, pestaggi, sovente stupri ripetuti, e si tentò di umiliarle in ogni modo, spesso denudandole ed esponendole così al ludibrio di folle imbestialite.Giorgio Pisanò, nella sua “Storia delle Forze Armate della R.S.I.” (cui si rinvia per approfondimenti) ricorda diecine di casi di ausiliarie, spesso giovanissime, catturate da sole o in piccoli gruppi e, poi, martirizzate e trucidate. L’elenco delle ausiliarie cadute che compare in detta opera è di 200 nominativi, ma si avverte che tale elenco non è completo proprio perché non è mai stato possibile fare luce completa sulla quantità di crimini commessi dai partigiani in quella primavera di sangue a danno di queste giovani donne coraggiose e fedeli fino alla fine. Nella sola Torino ne furono massacrate 18.

L’olocausto della “Monterosa”
Tra il 24 e il 25 Aprile tutte le truppe schierate sul fronte alpino occidentale ricevettero l’ordine di ripiegare sul fondovalle. Così anche gli uomini della Divisione Alpina “Monterosa” iniziarono il ripiegamento. E, a cominciare dal 26 aprile, molti reparti, ad evitare spargimenti di sangue ormai inutili, si arresero al C.L.N. della zona avendo formali promesse di trattamento conforme alle leggi internazionali. Purtroppo tali leggi non furono rispettate e anche qui, come altrove, decine e decine di uomini ormai disarmati, furono trucidati con bestiale ferocia. Non è possibile ricostruire tutti i fatti, molti dei quali, probabilmente, non sono mai stati resi noti. E’ molto noto, invece, il caso degli uomini del Btg “Bassano” che si erano arresi il 26 aprile al C.L.N. di Saluzzo. Come al solito essi avevano avuto ampie garanzie di salvaguardia della loro incolumità. Ma, ancora come il solito, tali promesse non erano state rispettate. E l’Avv. Andrea Mitolo di Bolzano, già ufficiale del “Bassano”, con una circostanziata denuncia alla Procura della Repubblica di Saluzzo, descrive la fine di ventidue uomini, ufficiali e soldati, trucidati dai partigiani di “Gianaldo” (Italo Berardengo) dopo che si erano arresi ed erano stati disarmati.Né, parlando della Monterosa, possiamo non ricordare l’infame attentato alla tradotta che trasportava sul fronte occidentale gli uomini della “Monterosa” che erano stati ritirati dal fronte della Garfagnana. Tra Villafranca e Villanova d’Asti fu minata la linea ferroviaria e l’esplosione, provocata al passaggio della tradotta, travolse due vagoni e uccise 27 alpini ferendone altri 21 anche in modo molto grave. Malgrado l’odiosità del vile attentato non fu attuata alcuna rappresaglia.

I trucidati della Divisione “Littorio”
Negli ultimi giorni di Aprile anche i reparti della “Littorio” che, come è noto, difendevano i confini occidentali, iniziarono il ripiegamento verso il fondo valle. Anche qui, come altrove, i reparti che rimasero in armi fino all’arrivo degli anglo-americani, si consegnarono a questi e furono avviati ai campi di concentramento.Quelli, invece, come il III° Btg del 3° Rgt granatieri, si consegnarono ai partigiani, ebbero sorte diversa. Era stato raggiunto un accordo coi partigiani del capitano Aldo Quaranta per un indisturbato deflusso di tuti i reparti e il III° Btg, giunto il 27 aprile a Borgo San Dalmazzo, si arrese al capo del CLN del luogo, tale Oratino. L’accordo era che i militari sarebbero stati messi gradualmente in libertà forniti di lasciapassare. Fra gli uomini del Btg e i partigiani non c’erano mai stati scontri o altri incidenti, per cui il patto fu accettato dagli uomini della “Littorio” fidando nella parola dell’Oratino. Ma anche questa volta gli uomini del CLN e i partigiani non tennero fede alla parola data e il Maggiore Grisi, comandante del III Btg, il maggiore Montecchi, il Ten. Buccianti, il Cap. Calabrò, i Marescialli Sanvitale e Magni, il Caporal Maggiore Sciaratta ed altri furono uccisi alcuni dopo un processo sommario, altri senza processo e, soprattutto, senza che fossero loro contestate reali colpe.

I morti della Divisione “San Marco
Negli ultimi giorni di Aprile, a guerra conclusa, molti uomini della Divisione “San Marco” furono uccisi dai partigiani. Giorgio Pisanò, nella sua “Storia delle Forze Armate della R.S.I.” ne elenca alcune centinaia fra cui circa 300 ignoti ancora in divisa ma privi di ogni segno di riconoscimento, trucidati a Colle di Cadibona, Monte Manfrei (vedi sopra), Passo del Cavallo, Santa Eufemia e in altri luoghi.Il Deposito Divisionale, ritiratosi a Lumezzane V.T., qui il 27 aprile accettò la resa con l’onore delle armi e un promesso salvacondotto per tutti. Ma una volta deposte le armi i partigiani, fedifraghi come sempre, condussero gli ufficiali a Gardone e, dopo due giorni, li trucidarono a S.Eufemia della Fonte (BS). Fra di essi il Comandante del Deposito Ten. Col. Zingarelli, la cui salma, ritrovata con le altre orrendamente mutilate, potè essere identificata in virtù di un maglione blu che era solito indossare.

I trucidati della 29° Divisione SS italiane
I reparti più atti al combattimento di questa divisione ( Btg “Debica” e Gruppo di combattimento “Binz”) si arresero agli americani nei giorni 29 e 30 aprile. Il resto della divisione, invece, ( Btg Pionieri e Btg dislocati a Mariano Comense e a Cantù) dopo una strenua resistenza condotta fino all’esaurimento delle munizioni, fu catturato dai partigiani. Gli ufficiali furono tutti trucidati. Il Ten. Luigi Ippoliti, ferito, fu prelevato in ospedale il 5 maggio 1945, condotto presso il cimitero di Meda e qui massacrato legato alla barella.

I caduti del 3° Rgt. Bersaglieri volontari
Il I° Btg era schierato a Genova e a levante di Genova. I reparti che erano a levante di Genova si sacrificarono quasi interamente per contrastare l’avanzata del negri della 92^ Div. “Buffalo”. I reparti che si trovavano in città furono attaccati dai partigiani e si difesero fino all’ultima cartuccia. Essendo ormai disarmati, furono catturati e, immediatamente, quasi tutti uccisi. Il II° Btg si trovava, invece, in Liguria in difesa del confine occidentale. Quando giunse l’ordine di ripiegamento, risalì insieme alla 34^ Div. Tedesca fino a Quagliuzzo in Piemonte e qui, il 3 maggio, si arrese al CNL locale previo rilascio di un lasciapassare per tutti gli uomini. Malgrado il lasciapassare, però, il Cap. Francoletti e il Ten. Casolini furono condotti sul greto della Dora e qui massacrati. I corpi non furono mai ritrovati. Questo Btg ebbe anche due giovani mascotte, di quattordici e dodici anni, assassinate dai partigiani.

I caduti dei Guastatori del Genio II° Btg.
Anche questo reparto (che aveva poi assunto il nome di II° Btg Pionieri “Nettuno”) ebbe i suoi caduti dopo la cessazione delle ostilità. Nei giorni successivi al 25 aprile 1945 il Btg fu sciolto a Somma Lombardo (Varese). La popolazione del luogo si adoperò in ogni modo per salvare gli uomini del Btg, favorendo il rientro nelle loro famiglie. Malgrado il generoso intervento, i partigiani catturarono il Capitano Dino Borsani e, dopo due settimane di torture, lo trucidarono insieme a tre militari sulle rive del Ticino. Era il 10 maggio 1945.

Gli uccisi del Btg Volontari Mutilati “Onore e Sacrificio”
Anche questo Battaglione che la Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra aveva voluto costituire (come già accadde durante la campagna etiopica del 1936), ebbe trucidati molti dei suoi appartenenti. Il Btg era stato costituito a Milano e qui era sempre rimasto, a svolgere compiti territoriali. Dopo la resa anche su questi mutilati infierì la ferocia partigiana e, allorché ebbero deposto le armi, molti furono gli assassinati.

L’eccidio di Ozegna
Pur non essendo accaduto dopo il termine della guerra, si ritiene opportuno narrare qui anche questo fatto, per la vigliaccheria con cui venne consumato l’agguato. L’8 di luglio del 1944 un reparto motorizzato del Btg “Barbarigo” della X^ MAS, che dalla metà di giugno si trovava in Piemonte, al ritorno da una missione fece sosta nella piazza di Ozegna. Lo comandava il Capitano di Corvetta Umberto Bardelli, comandante del Battaglione. Sulla stessa piazza si trovavano alcuni partigiani coi quali Bardelli avviò una pacata discussione invitandoli a non combattere contro altri italiani per conto dello straniero invasore. La conversazione fu pacata e i partigiani ammisero che occorreva fare fronte comune contro gli stranieri. Ma l’atteggiamento remissivo e non ostile nascondeva l’agguato. Infatti, mentre essi parlavano in quel modo con Bardelli, un centinaio di partigiani si ammassarono nelle vie che sboccavano nella piazza e, non appena i parlamentari partigiani si allontanarono, un inferno di fuoco si scatenò sugli uomini del “Barbarigo”. Bardelli tentò di organizzare la resistenza, gridando: - Barbarigo non si arrende - , ma cadde quasi subito sotto il fuoco delle armi partigiane della banda di Piero Urati (detto Piero Pieri) insieme a dodici marò. I sopravvissuti, molti dei quali erano feriti, dovettero arrendersi.

Il massacro del Distaccamento “Torino” della X^
Il 26 aprile 1945 le forze del Presidio militare di Torino lasciarono la città agli ordini del comandante regionale militare Gen. Adami-Rossi. Ma il distaccamento “Torino” della Decima Flottiglia MAS non le seguì e si chiuse nella caserma Montegrappa preparandosi ad una resistenza ad oltranza. Disponeva anche di qualche carro armato. La resistenza durò tre giorni ma alla fine, esaurito il carburante per i carri e scarseggiando le munizioni, il 30 aprile cessò. Qualcuno riuscì a mettersi in salvo attraverso certi cunicoli sotterranei, ma sui rimasti si abbattè la ferocia partigiana. Circa 70 uomini furono fucilati nel cortile della caserma, altri furono massacrati dalle varie formazioni partigiane che avevano partecipato all’assalto e alla cattura di prigionieri. Alla fine, dopo che avevano dovuto assistere al martirio dei camerati, vennero fucilate anche tutte le ausiliarie del reparto.

Il sacrificio della Compagnia “Adriatica” della X^ MAS
All’atto dell’abbandono di Ravenna il Ten. Di Vasc. Giannelli costituì, coi marinai presenti, una compagnia di fucilieri. Era il 1° dicembre 1944. Spostatasi a Chioggia, la compagnia si aggregò alla X^ e, nel gennaio 1945, partì per Fiume e, da qui, si portò sull’isola di Cherso. Qui, nel maggio 1945, la compagnia si sacrificò pressoché per intero per la difesa dell’isola.

Il sacrificio della Compagnia “D’Annunzio” della X^ MAS
Costituitasi a Fiume nel maggio 1944, fu l’estremo avamposto della Decima sui confini orientali. Posta alla difesa di Fiume, costituì anche tre distaccamenti: Laurana, Lussimpiccolo e Lussingrande. Il 25 aprile 1945 Laurana venne attaccata dai “titini” e i 130 marinai si difesero strenuamente fino all’arrivo dei soccorsi. Ma ben 90 caddero nello scontro. Gli altri due distaccamenti si difesero eroicamente fino alla totale distruzione. Fiume si difese con uguale valore fino al 1° maggio, nella vana attesa di uno sbarco anglo-americano. E il 2 maggio i superstiti furono catturati dagli iugoslavi. Ben pochi rientrarono dalla prigionia nel 1947.

Il sacrificio della Compagnia “Sauro” della X^ MAS
Costituita a Pola nel settembre 1943 con gli uomini del deposito del Reggimento San Marco rimasti, dopo la visita di Borghese passò alle dipendenze della X^. A fine aprile e fino al 3 maggio combattè strenuamente fino all’ultimo per la difesa della città. Pochi sopravvissero e furono catturati dagli slavi.

I trucidati della base operativa “Est” della X^
La Base “Est” aveva sede a Brioni Maggiore ma, a fine aprile, col precipitare degli eventi, si concentrò presso il Comando di Marina-Pola. Dopo aver partecipato alla difesa della città, quando essa cadde il personale fu catturato dagli slavi. Solo quattro marinai furono risparmiati. Ufficiali, sottufficiali e 50 fra graduati e marinai furono trucidati a Portorose, a Brioni e a Pola.

Il sacrificio della Scuola Sommozzatori della X^
Questa scuola, costituita a Portofino nel gennaio 1944, nell’estate fu trasferita in Istria, sul confine orientale, a Portorose. Una parte del personale, catturata negli ultimi giorni di aprile, fu subito passata per le armi. Altri, caduti prigionieri a Pola ove si erano concentrati, finirono nei terribili campi di concentramento iugoslavi. Pochi i sopravvissuti.

I morti del Btg. “Sagittario” della X^
Il 30 aprile 1945 il Btg., insieme ad altri reparti del II° Gruppo di Combattimento, raggiunse Marostica e qui, secondo gli ordini, si dette in prigionia agli americani. Ma, dopo la resa, il Comandante Ten.Vasc.F.M. Ugo Franchi e numerosi marinai, furono prelevati e assassinati dai partigiani.

L’assassinio del Maggiore Adriano Visconti
Il 29 aprile 1945 a Gallarate il Primo Gruppo Caccia dell’Aeronautica Repubblicana si arrendeva al CLN del luogo previo accordo che garantiva a tutti l’incolumità. Gli ufficiali vennero condotti a Milano nella Caserma del “Savoia Cavalleria” in Via Vincenzo Monti. Qui, contrariamente agli accordi, gli ufficiali, cui era stato concesso di tenere le proprie armi, vennero disarmati. E mentre attraversavano il cortile della caserma, il Maggiore Adriano Visconti, comandante del Gruppo e il S.Ten. Valerio Stefanini, Aiutante Maggiore, vennero vilmente assassinati con raffiche di mitragliatore sparati alle spalle. Furono sepolti nel cortile stesso della caserma.

I massacrati del Btg. “Folgore”
Il 29 aprile 1945 il Btg. “Folgore” del Rgt “Folgore” si stava dirigendo verso Venaria Reale. Contemporaneamente una pattuglia su un autocarro si diresse a Torino per ritirare alcuni autocarri presso il deposito reggimentale e per recuperare i feriti del Btg presso l’O.M. Ma a Porta Susa un blocco partigiano impedì la realizzazione del progetto. Allora il sottufficiale capo-pattuglia parlamentò coi partigiani ed ebbe l’assicurazione che i feriti sarebbero stati rispettati. Purtroppo, invece, tutti i feriti furono massacrati. Il 1° maggio il Btg., giunto a Strambino il giorno prima, si sciolse, e il Capitano Fredda sciolse gli uomini da ogni obbligo. Ma quasi nessuno abbandonò il reparto che il 5 maggio, ad Ivrea, si consegnò in prigionia di guerra agli americani ricevendo l’onore delle armi. L’ausiliaria Portesan e il sergente maggiore Ciardella furono i soli a lasciare il Btg il 2 maggio, ma, appena fuori dalla zona presidiata, furono trucidati dai partigiani.

Le stragi di Genova Fra il 26 e il 27 aprile 1945 cessava la resistenza dei presidi della GNR rimasti in città. Con l’assunzione del potere da parte del CLN iniziarono i massacri che coinvolsero anche gran parte dei familiari dei militi. Massacri che continuarono anche dopo l’arrivo a Genova della 92^ Div. “Buffalo” americana.

Le stragi di Imperia
I partigiani entrarono in Imperia il 25 aprile 1945. Fu subito costituita una “commissione di giustizia” che arrestò 500 fascisti o presunti tali. Si disse che era per salvaguardarne la vita. Ma il 4 maggio una quarantina di loro fu seviziata e uccisa. E anche nella provincia avvennero massacri spaventosi.

Le stragi di Milano
Il 608° Comando Provinciale GNR, fedele alle consegne, non si sbandò il 25 aprile 1945 e, chiusisi i vari distaccamenti nelle caserme, resistè fino all’ultima cartuccia. Dopo di che, malgrado le promesse di rispetto della vita, ci furono i massacri, compiuti prevalentemente dai partigiani dell’Oltrepo pavese. Interi plotoni vennero passati per le armi. E le uccisioni continuarono anche quando i pochi superstiti ritornarono alle loro case dai campi di concentramento.

Le stragi di Varese
Anche qui le forze del 609° Com. Prov. GNR rimaste sul posto, dopo essere state sopraffatte il 26 aprile 1945, subirono le atroci vendette dei partigiani che, dopo aver subito fucilato il Cap. Osvaldo Pieroni con alcuni altri, continuarono fino a tutto maggio le esecuzioni sommarie, abbandonando insepolti i cadaveri, spesso rimasti senza nome.

Le stragi di Como
Nella notte del 27 aprile 1945 il Colonnello Vanini aveva ordinato la resa e lo scioglimento del 610° Com. Prov. GNR. Ciò fu fatto, come dagli altri reparti della R.S.I., per evitare il bombardamento della città che sarebbe stato richiesto dai partigiani. Subito dopo cominciarono, anche qui, le sevizie e le uccisioni di numerosissimi militari, che continuarono per quasi tutto maggio.

Le stragi di Sondrio
Il 25 aprile 1945 a Sondrio comandava i circa 3000 uomini della R.S.I. il generale Onorio Onori che avrebbe dovuto organizzare il famoso ridotto della Valtellina. Altri 1000 uomini al comando del Maggiore Renato Vanna sono a Tirano e cercano di raggiungere Sondrio. Il Maggiore Vanna, con 300 uomini, tenta di forzare gli sbarramenti opposti dai partigiani, ma ecco che il generale Onori e Rodolfo Parmeggiani, federale di Sondrio, gli vanno incontro a Ponte in Valtellina, a 9 Km da Sondrio, gli comunicano di essersi arresi il giorno prima e lo invitano a fare altrettanto. E’ il 29 aprile. Tutti i prigionieri vengono chiusi nel carcere di via Caimi o nell’ex casa del Fascio. E qui, malgrado le solite promesse di trattamento civile e conforme alle convenzioni internazionali, ai primi di maggio ebbero inizio le uccisioni di massa. Il 4 maggio furono prelevati 8 uomini, condotti ad Ardenno, obbligati a scavarsi la fossa e uccisi. Il 6 maggio ne furono prelevati 13, condotti a Buglio in Monte e uccisi. Il 7 maggio fu la volta di altri 15. Condotti vicino a Bagni del Masino, furono mitragliati alle gambe e, poi, bruciati vivi. Si calcola che, in totale, gli uccisi siano stati oltre 200. Secondo alcuni addirittura 500. Fra gli uccisi anche l’ausiliaria Angela Maria Tam, il maggiore Vanna e due Capitani medici. Il S.Ten. Paganella fu gettato da un campanile. Molti uccisi ebbe anche il I° Btg Milizia Francese, dipendente dallo stesso Comando.

Le stragi di Brescia
Gli uomini del 613° Com. Prov. GNR si arresero fra il 28 e il 30 aprile 1945. Subito ci furono sevizie e uccisioni compiute dai partigiani. Il maggiore Spadini subì un vergognoso processo e fu condannato a morte e fucilato il 13.2.1946. Il 23.4.1960 la vedova ricevette una telefonata del Ministro di Grazia e Giustizia On. Guido Gonella che gli annunciava l’annullamento della sentenza della Corte d’Assise Straordinaria di Brescia e la riabilitazione del marito.

Le stragi di Pavia
Le forze del 616° Com. Prov. GNR furono particolarmente pressate dalle ingenti bande partigiane della zona. Il 25 aprile 1945 il presidio di Strabella visse un episodio eroico. Per consentire al grosso delle truppe di ritirarsi verso nord, dodici giovanissimi volontari si assunsero il compito di impegnare le forze partigiane. I dodici giovani, poi ridotti a sei, si difesero disperatamente per tutto il giorno e tutta la notte. Poi accettarono la resa con l’onore delle armi. Ma poco dopo, furiosi per essere stati tenuti in scacco da sei ragazzi, i partigiani li prelevarono (ad eccezione di uno che riuscì a fuggire) e li fucilarono insieme ad altre 14 persone. La stessa sorte fu riservata a molti militi degli altri presidi.

Le stragi di Vicenza
Gli uomini del 619° Com.Prov. GNR, all’atto dello sfondamento del fronte nell’aprile 1945 si ritirarono verso le montagne. Ma qui dovettero arrendersi ai partigiani. Vari distaccamenti, però, si difesero strenuamente finchè vennero sopraffatti e massacrati con inaudita ferocia. Vedi anche il terribile massacro di Schio.

Le stragi di Treviso
Anche in questa provincia gli uomini del 620° Com. Prov. GNR, dopo la resa avvenuta fra il 27 e il 30 aprile 1945, subirono la feroce vendetta partigiana. A Revine Lago, a Oderzo, a Susegana furono soppressi centinaia di uomini. Quelli del presidio di Fregona, arresisi il 27 aprile, furono portati a Piano del Cansiglio e infoibati.

Le stragi di Padova
Il 623° Com. Prov. GNR cessò di esistere il 28 aprile 1945. In tutta la provincia infierirono gli uomini della brigata garibaldina di “Bulow” (Boldrini) che commisero innumerevoli eccidi.

Le stragi di Bologna
Il 629° Com. Prov. GNR partecipò, il 21 aprile 1945, alla difesa di Bologna, poi si ritirò verso il Po e qui si sciolse. I suoi uomini furono braccati e moltissimi furono gli assassinati e lasciati senza sepoltura.Pare che gli uccisi dopo il 21 aprile 1945 nel bolognese ammontino a 773 di cui 334 civili fra cui 42 donne.

Le stragi di Parma
Il 631° Com. Prov: GNR partecipò alla difesa della città il 23 aprile 1945, poi una colonna si ritirò fino a Casalpusterlengo ove si sciolse. Ma i presidi di Colorno e di Salsomaggiore furono massacrati al completo. E il 26 aprile a Parma in via Giuseppe Rondinoni furono uccisi 10 bersaglieri della divisione “Italia”.

Le stragi di Modena
Il 633° Com.Prov.GNR nell’aprile 1945 si ritirò ordinatamente fino quasi a Como dove si sciolse. Ma nella provincia di Modena le uccisioni indiscriminate di fascisti continuarono fino al 1946. I fascisti uccisi nel modenese pare ammontino a 893.

Le stragi di Forlì
Gli uomini del 636° Com. Prov. GNR ripiegati al nord, confluirono nel Btg. “Romagna” che fu inviato nel Veneto. Qui, negli ultimi giorni di aprile 1945 avvenne la resa e, dopo la resa, il pressoché totale annientamento ad opera dei partigiani.
Le stragi del 3° Rgt M.D.T. “D’Annunzio”.
Il 3° Reggimento “Gabriele D’Annunzio”, che era di stanza a Fiume, negli ultimi giorni di aprile 1945 tentò il ripiegamento verso Trieste e Gorizia. I suoi uomini, costretti ad arrendersi agli slavi il 3 maggio subirono orrende sevizie, numerose uccisioni, e anche infoibamenti.

sabato 21 aprile 2012

137) INNO A ROMA

INNO A ROMA

2765esimo ANNIVERSARIO DALLA FONDAZIONE



Inno a Roma è stato composto nel 1919 da Giacomo Puccini sulla base della poesia di Fausto Salvatori, ispirata al Carmen Saeculare del poeta romano Orazio.

Inno a Roma

Roma divina, a Te sul Campidoglio
dove eterno verdeggia il sacro alloro
a Te nostra fortezza e nostro orgoglio,
ascende il coro.
Salve Dea Roma! Ti sfavilla in fronte
il Sol che nasce sulla nuova storia;
fulgida in arme, all'ultimo orizzonte
sta la Vittoria.

Sole che sorgi libero e giocondo
sul colle nostro i tuoi cavalli doma;
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior di Roma.

Per tutto il cielo è un volo di bandiere
e la pace del mondo oggi è latina:
il tricolore canta sul cantiere,
su l'officina.
Madre che doni ai popoli la legge
eterna e pura come il Sol che nasce,
benedici l'aratro antico e il gregge
folto che pasce!

Sole che sorgi libero e giocondo
sul colle nostro i tuoi cavalli doma;
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior di Roma.

Benedici il riposo e la fatica
che si rinnova per virtù d'amore,
la giovinezza florida e l'antica
età che muore.
Madre di menti e di lanosi armenti,
d'opere schiette e di pensose scuole,
tornano alle tue case i reggimenti
e sorge il sole.

Sole che sorgi libero e giocondo
sul colle nostro i tuoi cavalli doma;
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior di Roma.



ROMA ANTICA: PRIMA ROMA


ROMA PAPALINA: SECONDA ROMA


ROMA CAPITALE DELL'ITALIA UNITA: TERZA ROMA



PERO' SI STA MEGLIO IN PROVINCIA
Già avevo parlato della storia di Roma tre anni fa, ora mi voglio soffermare sugli aspetti della vivibilità e delle compere. Non è mica vero che la metropoli offre migliore scelta e migliore convenienza per fare acquisti, io sperimentandolo mi trovo meglio in provincia, dalle mie parti: nei centri commerciali o in altri luoghi di Latina, Aprilia e Valmontone. Nel corredo, sia nei prodotti delle multinazionali dell’abbigliamento sportivo e di tutti  i giorni e sia nel vestiario per le cerimonie, ho trovato maggiore qualità e convenienza fuori da Roma. Un tempo Via Nazionale era esclusiva, oggi hanno tutta robaccia; le zone di Piazza di Spagna ancora si salvano: l’inconveniente è che vendono merce di marche sconosciute a prezzi elevati. La mercanzia degli stilisti poco conosciuti viene venduta a prezzi alti, perché prodotta artigianalmente (in molti casi è fabbricata in Cina e viene spacciata per italiana): ciò potrà attirare i turisti stranieri (in gran parte angloamericani), affascinati dalla moda italiana, ma non le persone del luogo, che cercano il nome famoso. È meglio comprare dei capi di marche conosciute, sia italiane ed estere, pagarle un po’ di più, ma allo stesso tempo saranno più longeve. Il nuovo immenso centro commerciale all’aperto di Valmontone offre prodotti prestigiosi a prezzi vantaggiosi: a Roma costerebbero almeno due volte tanto. Le concessionarie di auto delle nostre zone hanno le loro vetture accessoriate di tutto in serie, mentre alcune volte è capitato che chi le acquista a Roma deve aggiungere ulteriori spese per gli accessori. Scendo di molto, parlo dei film in dvd: ne ho acquistato qualcuno a Roma, i contenitori erano grezzi, scadenti, quando invece mi è capitato di acquistarli in qualche centro commerciale della Pianura Pontina erano rilegati in eleganti cofanetti e delle volte disponesti di opuscoli integrativi. Non bisogna nemmeno dimenticare i problemi logistici per raggiungere la più grande metropoli italiana per chi abita nei dintorni: le strade sono sempre intasate per il traffico tipico delle grandi città, con grande inquinamento, le ferrovie sono inaffidabili, tra ritardi e guasti dei convogli; in un'occasione da Cisterna di Latina a Roma Termini un treno ha impiegato due ore per percorrere quel tratto, quando invece in condizioni normali impiega mezz’ora scarsa. Quanti disagi per i lavoratori pendolari. Che possibilità di lavoro ci sono a Roma per i giovani, non laureati, dal titolo di studio generico? Industrie non ce ne sono, per cui il settore terziario regna sovrano. Per lavorare negli uffici ministeriali bisogna avere delle conoscenze altolocate, più facile trovare impiego negli uffici privati dei vari settori (in primis assicurativo), molti dei quali sono posti all’interno dei condomini, un altro lavoro ricercato è l’operatore telefonico, però bisogna saperci fare, essere convincente ed avere la parlantina. Quante volte vorreste mandare a quel paese tutti coloro che vi telefonano per dire: “fai questo, compra qua, abbonati là!” Il lavoro più generico di tutti è il commesso nelle moltissime attività commerciali, la maggioranza dei lavoratori è giovanissima. È tutto un altro mondo rispetto ai piccoli centri limitrofi, per la differenza ci si sente un po’ spaesati e scombussolati, perfino a sera quando si ritorna nelle piccole realtà d’origine: una birra o un Campari bevuti mentre si legge una copia de “Il Giornale” nella metropoli non avrebbe lo stesso significato che ha al paese, tra pace e tranquillità. Un'attività di svago è lo sport: è un attività molto salata; diciamo che la vita in generale nella grande città è molto cara. Sullo sfondo di tutti questi problemi e difficoltà c’è la speranza: la speranza di coloro che partono dai molti piccoli paesi, vicini e lontani (compresi quelli dell’Italia meridionale), e si recano nella capitale a cercare di costruirsi con le proprie forze il domani, conoscendo solo l’indirizzo di una strada nell’immensa giungla del caos, delle arterie e del cemento: oggi grazie alle moderne tecnologie dell’informatica è possibile studiare in anticipo il percorso per raggiungere la meta, tra metropolitane, autobus e tram. A sera si torna a casa, nella maggioranza dei casi affranti ed abbattuti per l’ennesima cocente sconfitta, in poche occasioni sorridenti e scoppianti di felicità per il tanto atteso traguardo finalmente tagliato.

sabato 14 aprile 2012

136) LE ELEZIONI COMUNALI PASSATE


I DATI SULLE ELEZIONI COMUNALI CORESI PASSATE CON DEI BREVI COMMENTI, PARTENDO DAL 1995: CIOE’ DA QUANDO E’ ENTRATA IN VIGORE LA LEGGE ODIERNA DELL’ELEZIONE DIRETTA DEL SINDACO.



Elezioni 23 aprile 1995

Democratici per la città
Cand. sind. Pietro Vitelli
(Pds, Ppi e altri sinistra)
Insieme per Cori e Giulianello
Cand. sind.
Marcello Ilardi
(FI, An e altri destra)
Prc
Cand. sind.
Carlo Repetto
Ccd
Cand. sind.
Lorenzo Dolci
Voti
3.060
2.625
808
674
%
42,7
36,63
11,27
9,40
Seggi
13 più il sindaco
5
1
1
                                                                                
                                                                                                                        Inscritti: 8.579
Votanti: 7.646 (89,12%)
Voti validi: 7.167 (93,74%)
Schede bianche: 248 (3,24%)
Schede nulle: 231 (3,02%)

Sia centrodestra che centrosinistra si presentarono divisi, i due principali contendenti alla carica di sindaco furono Pietro Vitelli per la sinistra e Marcello Ilardi per la destra, entrambi erano candidati di spessore: il primo era consigliere regionale, il secondo era imprenditore sanitario e benefattore. Uno dei punti di scontro fu l’ospedale di Cori, nonostante si smentì durante la campagna elettorale, ne era stata decretata la chiusura in ambito regionale; chissà forse con Ilardi sindaco la struttura avrebbe avuto un destino diverso, o forse no. Fu la prima elezione comunale con il nuovo sistema elettorale e da un anno era iniziata una nuova era politica nazionale. Il Ccd, allora parte integrante del Polo delle Libertà e quasi costola di Forza Italia, e Rifondazione Comunista non si coalizzarono con i due maggiori raggruppamenti: se lo avessero fatto la sostanza non sarebbe cambiata, ma considerando le schiaccianti maggioranze bulgare che avevano sempre avuto i comunisti a Cori, quel risultato per la destra fu sorprendente e la sinistra continuò la tendenza al declino iniziata cinque anni prima (per approfondimenti vedere la mia inchiesta 105) LA CRISI DELLA SINISTRA A CORI del 2 ottobre 2011). Il consiglio comunale veniva così composto da cinque elementi di destra (più centrodestra che destra vera e propria), un quarto del totale, quando nei decenni precedenti quella corrente politica aveva avuto a malapena un solo rappresentante (il Maestro Cencetto prima e il nipote Orlando Ceracchi poi). Giulianello avrebbe dovuto  portare avanti all'unanimità un suo rappresentante alla più alta carica del comune: così non fu. La destra sconfitta poté porre le basi per le successive vittorie, la sinistra vittoriosa non avvertì i sintomi del malessere e continuò a dondolarsi sugli allori.





Elezioni 13 giugno 1999

Rinascimento per Cori e Giulianello
Cand. sind. Tommaso Bianchi
(FI, An, Ccd e altri centrodestra)
Democratici per la città
Cand. sind.
Pietro Vitelli
(Ds, Ppi, Prc e altri centrosinistra)
100 Persone, una città
Cand. sind. Antonio Belliazzi
(dissidenti centrosinistra)
Voti
2.953
2.951
833
%
43,83
43,80
12,36
Seggi
13 più il sindaco
6
1
                                                                                
                                                                                                                             Inscritti: 8.677
Votanti:7.273 (83,82%)
Voti validi: 6.737 (92,63%)
Schede bianche: 288 (3,96%)
Schede nulle: 248 (3,41%)

Risultati definitivi dopo la sentenza del tribunale di Latina del 24/02/2000, che decretò vincitrice la lista “Rinascimento per Cori e Giulianello”, con candidato sindaco l’ex esponente socialista Tommaso Bianchi. Dal giugno del 1999 fino al febbraio 2000 fu sindaco Pietro Vitelli della lista “Democratici per la città: in un primo momento pareva essere riconfermato sindaco avendo vinto per soli 8 voti di più; ma Bianchi fece ricorso, su delle schede contestate, e riuscì a spuntarla. Fu la prima storica vittoria delle forze avverse alla sinistra di stampo Pci/Pds (non considerando la breve parentesi 1990 - 1991), che fu relegata all’opposizione senza possibilità di scappatoie. Quelle elezioni ancor oggi rimangono un enigma misterioso: un centrodestra unito, con l’aggiunta di nuovi elementi che avevano un notevole serbatoio di voti e con il malcontento che c’era per la chiusura dell’ospedale, avrebbe dovuto vincere nettamente su un centrosinistra diviso, invece se la cavò per il rotto della cuffia e per vie giudiziarie. L’unica risposta possibile è la lista civica “Cento Persone una città”: a mio avviso non solo a sinistra tolse molti voti (secondo le previsioni della vigilia avrebbe dovuto levargliene moltissimi, il risultato fu inferiore alle aspettative), ma altrettanti li soffiò pure a destra. Un altro fatto rilevante fu il calo dei votanti rispetto alle precedenti comunali.






Elezioni 12 e 13 giugno 2004

Rinascimento per Cori e Giulianello
Cand. Sind. Tommaso Bianchi
(FI, An, Udc, Nuovo Psi e altri)
Uniti nel centrosinistra
Cand. Sind. Antonio Belliazzi
(Margherita, Ds, Pdci, Prc, Sdi e altri)
Libertà e partecipazione
Cand. Sind. Vincenzina Scarnicchia
(Verdi e dissidenti sinistra)
Voti
3.657
3.372
248
%
50,25
46,34
3,41
Seggi
13 più il sindaco
7
0
                                                                                
                                                                                                                            Inscritti: 8.738
Votanti: 7.639 (87,42%)
Voti validi: 7.277 (95,26%)
Schede bianche: 169 (2,21%)
          Schede nulle: 193 (2,53%)

Quella del 2004 è stata la campagna elettorale più intensa, appassionata e combattuta che io ricordi; in un comizio si sfiorò addirittura la rissa tra avversari politici. In quel periodo ci un vero e proprio boom di giornali periodici locali, ognuno dei quali tendente a tirare l’acqua al proprio mulino politico. Da una parte c’era un centrosinistra non abituato a restare per lungo tempo ai margini, agguerrito e smanioso di riprendersi ciò che secondo il suo parere gli era stato sottratto in modo antidemocratico; dall’altra parte c’era un centrodestra che stava rimettendo in piedi un paese praticamente in ginocchio: dal centro storico, all’area mercato, ai giardini, all’ospedale di comunità, al nuovo piano regolatore (che ancora oggi è in fase di approvazione). La sinistra era talmente sicura della vittoria tanto che, di notte e a poche ore di distanza dalla presentazione delle liste elettorali, ancora si litigava sui  candidati consiglieri e sul candidato sindaco, poiché quello designato in precedenza aveva annunciato il ritiro. Ai coresi, da sempre abituati, rassegnati al degrado e all’incuria, non parve vero, soprattutto ai giovani, vedere un paese che si stava trasformando nel positivo, per cui il sindaco uscente stravinse con la maggioranza assoluta dei consensi: fu espugnata del tutto la roccaforte rossa dei Lepini, senza se e senza ma. Non si diede il giusto peso a quella storica vittoria, perché l’indomani i consiglieri di maggioranza (determinanti per fare il pieno di voti ma incompatibili tra loro) persero quasi tutti la bussola, dimenticandosi del patto sottoscritto con gli elettori e della fiducia che gli stessi avevano in loro riposto. Il loro desiderio di primeggiare, passando da un gruppo consiliare all’altro al fine di ottenere incarichi retribuiti, che unitamente ai debiti vecchi e nuovi, comportarono una paralisi amministrativa con conseguente commissariamento del comune, a seguito delle dimissioni del sindaco (poi ritirate) e di più della metà dei consiglieri comunali. Quella storica e importante vittoria fu buttata dalla finestra dopo poco più di due anni, così una sinistra tramortita dalle due batoste, si ringalluzzì.





Elezioni 27 e 28 maggio 2007

Cori e Giulianello insieme
Cand. sind. Tommaso Conti
(Ds, Margherita, Pdci, Prc, Sdi, Idv, Verdi, Udeur e liste civiche)
Nuovo progetto per Cori e Giulianello
Cand. sind. Tommaso Bianchi
(dissidenti FI, An sezione comunale e altri indipendenti)
La Casa delle Libertà Cori e Giulianello uniti
Cand. sind. Antonio Betti
(Udc, FI, An federazione provinciale, As, Nuova Dc e indipendenti)
Voti
3.995
2.033
1.128
%
55,83
28,41
15,76
Seggi
13 più il sindaco
5
2
                                                                      
                                                                                                                             Inscritti: 8.985
Votanti: 7.414 (82,52%)
Voti validi: 7.156 (96,52%)
Schede bianche: 63 (0,85%)
     Schede nulle: 195 (2,63%)    

Il nuovo centrosinistra unito, capeggiato da un giovane ed emergente candidato, scelto con lo strumento delle primarie, il quale determinò nuovi entusiasmi, tornò alla guida di Cori, riappropriandosi di quel suo storico e recente 55% di consensi, che è la propria percentuale di tutte le elezioni non comunali. L’elettorato, soprattutto quello di destra, fu disorientato e confuso da due liste, molto agguerrite tra loro, che continuavano ad accusarsi reciprocamente per le vicende che avevano determinato lo scioglimento anticipato del consiglio comunale. Da segnalare l’esplosione del fenomeno dei blog per gli elettori di destra, in cui tutti nell’anonimato si improvvisavano cronisti e politologi, oltre che denigratori. I politici provinciali del centrodestra favorirono la creazione della lista ufficiale Casa delle Libertà, con candidato sindaco Udc, ammonendo i dissidenti. Il sindaco Bianchi, all’indomani della sfiducia subita, si adoperò immediatamente per la creazione di una lista civica, uscendo da Forza Italia con i suoi fedelissimi, e fu appoggiato interamente dalla sezione comunale di Alleanza Nazionale. Quella lista civica fu premiata dall’elettorato di destra: riuscì a conquistare cinque consiglieri comunali contro i due della Casa delle Libertà. Nuovo Progetto, che mise su una massiccia propaganda nonostante avesse la maggioranza dei mezzi d'informazione contro, fu abile per mesi a far credere che la vittoria totale fosse a portata di mano e che la colpa di quanto accaduto fosse degli altri, così da non far imboccare alla maggioranza dell’elettorato destroso strade diverse e non si fece mettere alle corde dagli avversari per una sentenza della corte dei conti riguardante i bilanci comunali. Mentre la Casa delle libertà corese si dissolse con le elezioni politiche anticipate del 2008, con rammarico da parte dell’elettorato di Forza Italia, il quale aveva contribuito a far eleggere due consiglieri Udc.









Cori e Giulianello Insieme)
(partiti centrosinistra)
Cand. sind. Tommaso Conti
Territorio Comune
(partiti centrodestra)
Cand. sind. Cristina Ricci
Cori e Giulianello Movimento Civico
Cand. sind. Angelo Palliccia
Voti
4.348
2.220
189
%
64,35%
32,85
2,80
Seggi
11 più il sindaco
5
0

Inscritti: 8.994
Votanti: 7.024 (78,11%)
Voti validi: 6.757 (96, 05%)
Schede bianche: 65 (0,96 %)
Schede nulle: 202 (2,99%)





Cori e Giulianello insieme
Cand.sind Mauro Primio De Lillis
(unione partiti centrosinistra)
L’altra città
Cand. sind. Angelo Sorcecchi
(indipendenti ed ex esponenti destra)
Voti
4.217
1.120
%
79,01
20,99
Seggi
11 più il sindaco
5
 

Inscritti: 8.765
Votanti: 5.590 (63,78%)
Voti validi: 5.337 (95,26%)
Schede bianche: 45 (0,84%) 
Schede nulle: 208 (3,9%)


Cori e Giulianello insieme
Cand.sind Mauro Primio De Lillis
(Pd, scocialisti, autonomisti, indipendenti)
L’altra città
Cand. sind. Evaaristo Silvi
(indipendenti, FdI, Lega)
Voti     
3.545
944
%
78,97
21,3
Seggi
11 più il sindaco
5

Inscritti: 8.480
Votanti:4.758 (56,11%)
Voti validi: 4.489 (94,34%) 
Schede bianche: 95 (2%)
Schede nulle: 174 (3,66)