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sabato 30 novembre 2013

205) ASPETTASSERO A CANTAR VITTORIA

L’AVER ESTROMESSO IL CAVALIERE DAL PARLAMENTO FA CAMBIARE POCO O NULLA DAL PUNTO DI VISTA POLITICO.


Aver cacciato dal parlamento il rappresentante di circa 10 milioni di Italiani, colui che era a capo della coalizione di centrodestra lo scorso febbraio, non fa cambiare nulla politicamente. Silvio Berlusconi continuerà a fare politica, facendosi sentire più del solito, e sarà sempre a capo del suo partito. Hanno fatto gli straordinari e hanno stravolto tutte le regole: si sono affrettati a votare la legge di stabilità ponendo la fiducia, non hanno atteso le novità relative alla condanna, non hanno voluto cercare dei cavilli, delle scappatoie, nella “Legge Severino”, hanno introdotto il voto palese, quando in questi casi c’era sempre stato il voto segreto e addirittura si sono recati a votare alcuni senatori a vita (di parte, nominati dall’alto per mantenere in vita il governo e mantenuti dal contribuente), che da quando ricoprono questa carica non avevano mai votato. Per quali alti meriti essi avrebbero fatto il prestigio dell’Italia? La stima se la sono giocata.



Questi espedienti non pagheranno, faranno guadagnare consensi alla coalizione di destra: a conferma di ciò basta vedere la molta gente che ha manifestato per solidarizzare con Silvio Berlusconi e per protestare. Al contrario i manifestanti del cosiddetto “popolo viola” che festeggiavano erano una ventina di persone, quando i media volevano far credere che erano anch’essi numerosissimi. Non cambierà nulla anche per quanto concerne la tenuta del Governo Letta, il quale andrà avanti con una maggioranza più ristretta dopo l’uscita del Pdl – FI dal governo. Le poltrone ministeriali fanno gola, così la sinistra è riuscita a trovare quel giusto numero di parlamentari che le mancava lo scorso marzo per governare, grazie proprio a coloro che sono stati eletti sotto il simbolo “Pdl per Berlusconi presidente”. All’indomani delle elezioni riportati un articolo di Vittorio Feltri che profetizzò gli eventi accaduti nelle ultime settimane:
Idem Bettino Craxi, considerato dai comunisti una sottospecie fascista, salvo essere riabilitato al momento delle esequie. Silvio, sei ancora in tempo. Diventa un compagno. Togli dal tuo simbolo la sigla Pdl e mettici Bat (Bandiera rossa trionferà). Così te la potrai cavare. Anche i pidiellini che grazie a te sono stati rieletti il 25 febbraio, e che già meditano di scaricarti nell'imminenza delle sentenze di cui sai, anche loro, dicevo, si guarderanno dal voltarti le spalle come adesso hanno in animo di fare. Bastardi.
Deciditi, compagno Berlusconi: salta il fosso e ti salverai. Fraterni saluti.”
I dissidenti tentano di ripercorrere la strada di Gianfranco Fini, questa volta c’è però una sostanziale differenza: Fini era già molto noto prima di mettersi con Berlusconi, mentre Alfano e gli altri non erano nessuno, li ha creati il Cavaliere. Dopo solo sette mesi è finito lo storico compromesso delle larghe intese, che come si è visto è stato solo una trappola: ci siamo cascati tutti, io per primo, più che altro spinto dalla curiosità di questo anomalo evento. A destra furono tutti entusiasti di aver evitato il Governo Bersani – Vendola e l’elezione di Prodi alla Presidenza della Repubblica, mentre a sinistra c’era amarezza e malumore; oggi è tutto l’opposto. Mi auguro che si faccia la riforma elettorale e poi si torni al voto: sarebbe importante ripristinare le preferenze, onde evitare che riappaiano alcuni parlamentari nominati dall’alto dal Partito Democratico. Qualche riforma economica è stata varata, ora se proseguiranno senza FI (ex Pdl) è molto probabile che introdurranno tasse a più non posso, per accontentare la Germania e l’Ue.

lunedì 18 novembre 2013

204) DIVORZIO (?) BERLUSCONI-ALFANO

Era tutto scritto

L’epilogo era scritto da prima che nascesse il governo Letta; da quando il 16 dicembre del 2012, Alfano e coloro che lo hanno seguito nella rottura con Berlusconi, diedero vita a quella strana ma già chiara operazione che si chiamava Italia Popolare

Giampaolo Rossi - Dom, 17/11/2013 - 16:40
Era tutto scritto, nonostante queste settimane gli incontri frenetici, le riunioni, i pranzi, facessero immaginare che possibilità di mediazione ci fossero ancora; era tutto scritto da molto tempo, e su questo giornale l’abbiamo detto più volte.
L’epilogo era scritto da prima che nascesse il governo Letta; da quando il 16 Dicembre del 2012, Alfano e coloro che lo hanno seguito nella rottura con Berlusconi, diedero vita a quella strana ma già chiara operazione che si chiamava Italia Popolare. Allora c’era ancora il governo Monti e i moderati del Pdl provarono a creare una nuova aggregazione con l’intento di sostituire la leadership del Cavaliere con quella del grigio tecnocrate imposto da Bruxelles. A benedire quell’operazione c’erano già tutti i protagonisti di oggi: c’era Alfano ovviamente, c’era lo stato maggiore di CL (Lupi, Formigoni), c’erano Cicchitto e Quagliariello, c’era l’inossidabile Giovanardi, c’era la Lorenzin e gli esponenti di An improvvisamente convertiti al moderatismo.
Fu allora che nel Pdl si scavò un solco incolmabile tra i berlusconiani e i non ancora "diversamente berlusconiani" accusati di fare il doppio gioco: utilizzare i voti di Berlusconi per garantirsi il dopo Berlusconi sulla pelle di Berlusconi. E fu allora che al Cavaliere scappò di bocca un’amara verità che poi avrebbe provato nei mesi successivi: “ci sono persone che ho inventato io e che ora si sentono statisti”.
Quello che fu scritto quel giorno, continuò ad essere scritto nei mesi successivi: lo vedevano tutti, tranne Berlusconi che non voleva capacitarsi di ciò che stava succedendo. Quando fu composto il governo Letta, non pochi osservatori notarono che tra i ministri e i viceministri del Pdl non ce n’era uno di diretta emanazione berlusconiana, uno che fosse stato scelto direttamente dal Cavaliere (eccezion fatta per lo stesso Alfano). Insomma, in quel governo voluto da Berlusconi, e tenuto in piedi grazie ai suoi voti, il Pdl non aveva esponenti a lui riconducibili ma solo seguaci di Alfano, cavalier serventi di Napolitano e ciellini. A volte la politica prende percorsi obbligati che solo la paura, l’ostinazione, la rimozione impediscono di vedere. E la frattura che si era aperta in quest’ultimo anno nel Pdl, aspettava solo di essere consumata. Quando il 2 Ottobre Berlusconi fu costretto all’umiliazione di tornare sui suoi passi, nel voto di sfiducia al governo, il voltafaccia di Schifani e quella stretta di mano pubblica tra Letta e Alfano di fronte alla sconfitta del Cavaliere, sancirono il punto di non ritorno. Non a caso, poche ore dopo, Fabrizio Cicchitto, il più falco tra le colombe, depositò alla Camera la richiesta di formare gruppi separati. L’epilogo era scritto. Cosa succederà nei prossimi mesi sembra chiaro: Alfano non farà la fine di Gianfranco Fini. 
Davanti a lui si apriranno le porte di una nuova formazione moderata e centrista, alla quale già ha dato disponibilità Casini e nella quale si attende magari anche l’arrivo in pompa magna di Enrico Letta e dei cattolici del Pd. Il Nuovo Centrodestra annunciato da Alfano è solo un momento di passaggio per arrivare al tanto desiderato Nuovo Vecchio Centro. Perché l’obiettivo è questo: costruire una nuova Democrazia Cristiana senza democristiani ma composta da ciellini, ex socialisti, ex missini, cattolici di sinistra e tecnocrati dell’europeismo ideologico. Una formazione che dietro la retorica del popolarismo europeo, sarà il naturale punto di convergenza per i poteri forti di Bruxelles. Il berlusconismo andava archiviato con quest’orizzonte. La Merkel e gli eurocrati non hanno mai smesso di cercare maggiordomi in Italia.

Berlusconi, divoratore di delfini: ecco come li ha piegati tutti

Con Angelino la rottura meno traumatica, ma ora la leadership è più lontana. In vent'anni Silvio ha stroncato tutti i numeri due: le loro storie


 

Catalizzatore di consensi, mattatore assoluto di un ventennio di centrodestra, ma anche divoratore di delfini e numeri due. Lui è Silvio Berlusconi, fresco dell'ultimo strappo, quello che ha portato alla rinascita di Forza Italia e all'addio, o arrivederci, ad Alfano. Quella con Angelino è stata una rottura meno dolorosa di altre, ma ora l'eredità politica del Cavaliere potrebbe sfuggire al vicepremier. Prima di lui, molti altri. La rottura più celebre e spettacolosa fu quella con Gianfranco Fini, numero due designato, che dopo il "che fai, mi cacci?" e l'avventura futurista è precipitato negli abissi della politica, dai quali - lo dice la storia - uscire è pressoché impossibile.
Il divino Giulio - Ma la lista degli aspiranti Cavalieri spazzati via è lunga. Si sa, a Berlusconi piace comandare, e il fatto che sia una formidabile macchina da voti ha contribuito a far sì che il potere fluisse sempre dalle sue mani. Ci aveva provato Giulio Tremonti, già nel 2006, quando ambiva al ruolo di capogruppo Pdl alla Camera: il Cav disse di no, bloccò il suo ambizioso progetto. Un progetto che si ripresentò poi dal 2008 e fino alla grande crisi che, a colpi di spread, detronizzò l'ex premier: il divino Giulio assunse un enorme peso politico, provò a trasformarlo in leadership e fallì. Scomparso dai radar della politica, le ultime segnalazioni con la sua lista affiliata alla Lega Nord.
Il governatore e Pierferdy - E ancora, Roberto Formigoni, da sempre attratto dalla leadership del centrodestra, forte del suo consenso ciellino e lombardo. Voleva abbandonare il Pirellone per prendersi la presidenza del Senato e dare il là a una carriera politica romanocentrica, fu fermato da Berlusconi. Ora, non a caso, l'ex governatore è uno dei protagonisti della scissione. Quindi Pier Ferdinando Casini, che ai tempi della Casa della libertà aveva il ruolo che avrebbe poi ricoperto Fini: delfino designato. E divorato. Il Cav voleva assoluta fedeltà, lui non la concesse. Casini non è certo sparito dai radar della politica, ma le sua ambizioni relative al premierato sono archiviate per sempre.
Angelino e il "quid" - Si arriva infine ad Alfano, che con la nomina alla segreteria fu il protagonista dell'investitura ufficiale di Berlusconi. Da quel momento, però, il Cavaliere prese a punzecchiarlo, a spronarlo, ad imputargli il celeberrimo deficit del "quid". Il "figlio" Angelino si è battuto con tutte le sue forze, ha seguito le sue idee, ha dimostrato al leader la sua autonomia, il suo quid. L'esito? La separazione di poche ore fa. Un divorzio, come detto, meno traumatico degli altri. Un divorzio che però lo pone fuori dalla "linea ereditaria" diretta e che forse, al pari di quel che accadde con Casini, ne stronca le ambizioni verticistiche per sempre.
Il divoratore di delfini - Poi, certo, ci sono tutti quei nomi di retrovia che sono scomparsi negli anni, uomini della prima Forza Italia di cui nella riedizione del partito non c'è traccia. Li elenca in ordine sparso Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, che menziona la sparizione del sondaggista Gianni Pilo. E invece che fine ha fatto Tiziana Parenti, il contrappeso azzurro alle cosiddette toghe rosse? E l'ex presidente del Senato, Marcello Pera? Per non parlare dei radicali come Marco Taradash e Peppino Calderisi, protagonisti di una parabola simile a quella che, oggi, percorre Gaetano Quagliariello. Nomi che emergono, provano a imporsi e scompaiono, si sgonfiano, cannibalizzati dallo strapotere elettorale di Berlusconi, il divoratore di delfini che negli ultimi vent'anni nessuno ha potuto davvero sostituire.

martedì 12 novembre 2013

203) FORSE RINASCERÀ ANCHE ALLEANZA NAZIONALE

SE RINASCERÀ FORZA ITALIA, ALLORA PERCHÉ NON DOVREBBE RINASCERE ALLEANZA NAZIONALE?




Sabato scorso a Roma presso l’Hotel “Parco dei Principi” si sono riuniti gli esponenti delle molte particelle della destra politica italiana guidati da: Francesco Storace per La Destra, Roberto Menia per “Futuro e Libertà”, Adriana Poli Bortone per “Io Sud” e Luca Romagnoli per la “Fiamma Tricolore”. Il loro principale ed ambizioso obbiettivo è la rinascita del disciolto partito di “Alleanza Nazionale. Mancava solo il Fratelli d’Italia, che a quanto pare non sembra interessato a questo progetto.



La strada per adesso è in salita perché coloro che detengono i diritti dello storico logo diffidano chiunque dal farne di nuovo uso. Se riusciranno nell’intento di far rinascere quel partito che visse tra il 1994 (ma nacque ufficialmente nel 1995) e il 2009 (dal 2008 nella lista unica Pdl) potrà essere un forte richiamo per coloro che si identificano nei valori tradizionali della destra italiana.

Comincia a stufare un sacco questa mania di fondare e rifondare i partiti ogni tre – quattr’anni: personalmente avrei preferito che quel poco di destra che è rimasto nel Pdl continuasse l’esperienza del partito unico, quale grande contenitore e punto di arrivo dalle molteplici varietà dell’intero centrodestra italiano, immettendovi i valori patri e della tradizione, prestando attenzioni alle questioni sociali; ma che cosa posso farci se si sono intestarditi nel chiudere il “Popolo della Libertà”  e dalle sue ceneri far risorgere Forza Italia? Io non mi riconosco in FI, che sarebbe solo una parte del Pdl.

Se la componente della vecchia Alleanza Nazionale, i cui candidati alle politiche del 2008 entrarono al 30% nella lista unica, non si fosse defilata un po’ per volta dal Popolo della Libertà, prima col FlI e poi con FdI, mai si sarebbero sognati di rifondare Forza Italia. Il motivo principale della sua rifondazione è stato la perdita dei consensi del Pdl: dovuta principalmente all’astensionismo e alla migrazione verso il M5s e non tanto alle miniscissioni. Credono veramente di recuperare credito col rilancio di un vecchio marchio? Continuiamo a sperare che rimanga un Pdl unito, così come l’abbiamo sempre conosciuto e no che divenga il partito dei governativi o delle colombe, in contrapposizione ai falchi e ai lealisti di Forza Italia; se il partito si spaccherà o si scioglierà allora avremo una valida alternativa nella nuova An.


Tra gli arredamenti della dimora dell’autore del blog figurano delle bandierine, una dell’Italia e l’altra proprio di Alleanza Nazionale: ordinate da un suo parente, insieme ad un portachiavi, nel 1995 al “Secolo d’Italia” e rimaste a lui. Sia le bandierine, sia il portachiavi non sono mai stati accantonati dopo la confluenza di An nel Pdl. L’altro cimelio vicino ad esse e diverso come il giorno dalla notte, è un cappello da cerimonia dell’armata rossa sovietica: acquistato dal proprietario di questo sito per ricordino, durante un viaggio turistico nell’Est (Vienna, Praga, Budapest) nell’estate dello stesso anno.


Alleanza Nazionale sarà un partito di destra e non di centrodestra; per le alleanze si vedrà in seguito. Pur riconoscendo le cose positive del fascismo e condannando quelle negative, ritengo che il passato sia solo storia e necessariamente si dovrà pensare alla destra nella società di oggi e in quella di domani. Se si analizzano tutte le ideologie ed anche quasi tutte le religioni, hanno i loro crimini sulla coscienza e nessuna è immune da colpe. La disciplina fu una cosa importante e deve esserlo tuttora per un militante di destra; ad esempio io non sognerei mai dei tatuaggi e degli orecchini, perché secondo me sono simboli di indisciplina e di poca cura della persona. L’esaltazione dei valorosi difensori della patria è un altro pilastro portante: a tal proposito a dieci anni di distanza dall’attentato di Nassiriya, in cui persero la vita diciannove militari italiani impegnati in una missione umanitaria di pace, rendiamo loro solenne omaggio, ringranziandoli e non dimenticando quello che quegli eroi fecero per tutti noi.

  

lunedì 4 novembre 2013

202) IL 4 NOVEMBRE 1918

IL 95° ANNIVERSARIO DELLA VITTORIA ITALIANA NELLA “GRANDE GUERRA”.



Il 4 novembre 1918, all’atto della firma dell’armistizio tra Regno d’Italia ed Impero Austro – Ungarico, si concluse dopo più di tre anni la Prima Guerra Mondiale, considerata anche la “Quarta Guerra d’Indipendenza” per unire e rendere indipendente l’Italia. Quella guerra comportò un sacrificio umano elevatissimo: di fronte a circa 5.000.000 di uomini chiamati in armi, ci furono oltre 615.000 caduti e più di 953.000 feriti e mutilati, tutti maschi in età attiva. La successiva Seconda Guerra Mondiale, che fu molto più tragica e durò di più, ebbe un numero di morti inferiore da parte italiana: caddero 313.000 militari e morirono 130.000 civili, in questo caso perirono oltre agli uomini giovani, donne, bambini e anziani. L'evento bellico del ’15 – ’18 comportò il primo grande incontro di massa dopo l’Unità d’Italia: allora il paese era contadino ed analfabeta in maggioranza, ognuno parlava il proprio dialetto e non ci si capiva, solo gli ufficiali erano istruiti. Non mancarono nel Regio Esercito ammutinamenti e defezioni, le quali venivano represse duramente dai comandanti; i capi delle’esercito furono il Generale Cadorna prima e il Generale Diaz poi. Ricordiamo brevemente l’andamento della guerra: dopo le prime avanzate italiane e le deboli controffensive austriache, nell’autunno del 1917 gli Imperi Centrali (che si concentrarono sul fronte italiano dopo la resa della Russia) vinsero a Caporetto, arrestando la loro avanzata sul fiume Piave; l’Italia non si scoraggiò e, con l’aiuto degli alleati, dopo un anno vinse a Vittorio Veneto, entrò a Trieste e a Trento e il nemico chiese l’armistizio.



Non oso pensare alle conseguenze in caso di sconfitta: ci avrebbero fatto pagare caro il tradimento e probabilmente saremmo tornati alla situazione preunitaria del 1848, rendendo vani le lotte e i morti del Risorgimento; invece fu l’Austria – Ungheria ad essere smembrata. Il Regno d’Italia, desideroso di completare l’opera del Risorgimento e chiamato a gran voce ad intervenire a guerra iniziata a fianco della nazioni della “Triplice Intesa” (Francia, Gran Bretagna, Impero Russo) e tradendo la “Triplice Alleanza” (Impero Tedesco, Impero Austro – Ungarico e appunto Italia), non fu considerato nella conferenza di pace di Versailles: ottenne solamente il Trentino, l’Alto Adige di lingua tedesca, la Venezia Giulia comprendente la penisola dell’Istria, ma non la costa dalmata (tranne la città di Zara), popolata da popolazione italica che era appartenuta alla Repubblica di Venezia. Clamorosa fu la protesta di Gabriele d’Annunzio che a capo di volontari occupò la città indipendente di Fiume. Parte di quello che avevamo redento è andato perduto con la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. Oltre che per le amputazioni territoriali dell'ultimo conflitto mondiale, c’è rammarico anche per altre terre italiane perse o mai unite alla madrepatria: Corsica, Nizza, Malta, Canton Ticino. Accontentiamoci però dell’imponente lavoro e sacrificio che hanno fatto i nostri avi per donarci la nostra patria di cui andiamo fieri e orgogliosi. Nella ricorrenza dei defunti nel mese di novembre, si commemorano tutti i morti, anche quelli che recentemente hanno perduto la vita in modo drammatico ed inaspettato, ma non poteva mancare il ricordo di tutti i caduti in guerra, in tempi ormai lontani.  



 
GUSTATEVI L’ANNUNCIO DELLA VITTORIA DEL 4 NOVEMBRE, REDATTO GENERALE ARMANDO DIAZ, CAPO DI STATO MAGIORE DELL’ESERCITO, CON "LA LEGGENDA DEL PIAVE" COME SOTTOFONDO MUSICALE.