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domenica 30 novembre 2014

248) STOZA, FRANCIONI E OLIMPICO

STADIO STOZA (CORI), STADIO D. FRANCIONI (LATINA) E STADIO OLIMPICO (ROMA): I TRE IMPIANTI DOVE GIOCANO IL CORI CALCIO, IL LATINA CALCIO E LA S.S. LAZIO 1900. IL CONFRONTO, I VANTAGGI, GLI SVANTAGGI, LE DIFFERENZE PER IL PUBBLICO CHE SEGUE LE TRE SQUADRE: NEL PAESE, NELLA CITTÀ E NELLA METROPOLI.

Qualche volta, non molto spesso, vedo le partite calcistiche del Cori al campo sportivo di Stoza, del Latina al piccolo Stadio Domenico Francioni e della Società Sportiva Lazio 1900 nell’impianto mondiale Olimpico di Roma, già teatro delle olimpiadi nel 1960 e dei mondiali di calcio nel 1990. Cori è il comune di appartenenza, Latina è la provincia di appartenenza e Roma il capoluogo della regione, nonché la capitale di tutta la nazione italiana: la filiera comune – provincia – regione (e nazione), attraverso il calcio, tiene alta la bandiera del nostro territorio nei vari campionati calcistici, professionistici e dilettantistici. C’è una bella differenza nel recarsi ad assistere gli incontri in casa rispettivamente del Cori, del Latina e della Lazio.

Per vedere il Cori bastano un paio di minuti di automobile per giungere da Cori Monte allo Stoza, percorrendo “la tangenziale” Via Ospedale, veloce collegamento Monte – Valle. Il costo di entrata è unico, né troppo alto e né troppo basso per degli incontri di quel livello, e uno, visto che gli spalti dell’impianto sono spropositati per un paese come il nostro, può piazzarsi dove vuole: curva, tribuna più lunga, tribuna più corta; ovviamente condiziona molto il fattore temperatura: quando è troppo caldo tutti si mettono nella parte dove non batte il sole, quando è troppo freddo accade l’opposto, ci sono anche dei periodi in cui all’ombra è troppo umido e al sole si suda. La grande mole degli spalti fanno si che il calore del pubblico, sparpagliato ovunque, verso la squadra non sia uniforme e compatto. Vorrei anche soffermarmi su tutto il complesso sportivo di Stoza, che comprende, oltre al campo di calcio, il palazzetto dello sport, le defunte piscine e il casale, dove da poco è rinato l’agriturismo e l’albergo. Oggi quasi tutte le strutture sono tornate in attività, dopo che per alcuni anni tutto era in stato d’abbandono. All’inizio degli anni ‘2000 il comune intendeva vendere ai privati gli impianti sportivi comunali per far cassa (la vendita fallì per mancanza di acquirenti); quelli che oggi governano Cori ed allora erano all’opposizione si opposero, dicendo che una volta privatizzate le strutture e ristrutturate, nessun cittadino ci sarebbe potuto entrare, se non pagando fior di quattrini. Perché oggi, con la gestione delle varie associazioni che hanno il complesso in affidamento, si entra gratis per gli eventi sportivi ed extrasportivi? Addirittura da poco hanno interdetto la libera circolazione nella pista di atletica leggera. Fra un po’ faranno pagare anche il parcheggio. Nel palazzetto si organizzano pure degli eventi che nulla hanno a che fare con lo sport. È normale che si cerchino di appianare le spese per la gestione, però che cosa sarebbe cambiato per le tasche dei cittadini con la proprietà privata?



Non sembra vero di avere la squadra calcistica del Latina in Serie B, il secondo livello professionistico del calcio italiano, e con solo mezzora di auto si può assistere al grande calcio. I biglietti per gli incontri del Latina li vendono pure a Cori ed è una fortuna: l’anno scorso negli incontri di cartello, come Latina – Palermo, a Latina si faceva la fila per i biglietti, mentre a Cori con un attimo li facevi. Parcheggiare, al contrario di quanto si dica, non rappresenta un problema: nei pressi della Torre di Latina, ci sono degli ampi parcheggi gratuiti e con circa cinque minuti di cammino a piedi si arriva allo stadio. Poi se si vuol camminare di meno basta andare nei posti auto a pagamento nel nucleo originario della giovane città. Prima di partire per recarsi all’incontro di calcio non c’è nessuna fretta si può fare quello che si fa gli altri giorni e ai soliti orari: ad esempio non c’è bisogno di anticipare il pranzo. Durante le partite la circolazione dei veicoli nelle strade adiacenti allo stadio è interdetta: chi abita nei pressi subisce dei disagi, mentre gli spettatori possono camminare spensierati. Il Latina Calcio non era mai arrivato a questi alti livelli prima di due anni fa, di logica lo stadio è quello che è: l’anno scorso andava stretto perché la squadra era nelle prime posizioni, quest’anno gli spettatori sono fuggiti perché si rischia la retrocessione. Nelle tribune il sole picchia nei giorni sereni e quando piove ci si bagna, se si vuole evitare ciò basta pagare di più ed andare nella tribuna coperta; si notano sempre le stesse facce, soprattutto dei più facinorosi che sono appoggiati alle recinzioni. Le piccole dimensioni dell’impianto per la Serie B producono un effetto di compattezza e di grande calore dei tifosi verso i propri beniamini. Al termine degli incontri nel deflusso ci sono dei mini ingorghi dei mezzi a motore che vengono smaltiti in breve tempo. Un’altra compagine del basso Lazio che è presente in Serie B è il Frosinone, però a noi importa poco: nonostante quella cittadina per dialetto e per cultura assomiglia molto ai paesi dei Monti Lepini, essendo molto distante non ci abbiamo mai avuto a che fare.




Negli anni ’90 andavo spesso allo Stadio Olimpico di Roma per assistere agli incontri della S.S. Lazio: con il treno e i mezzi pubblici di Roma, oppure con degli amici in macchina. Per alcuni anni è esistito anche il Lazio Club Cori: i suoi aderenti, due per volta, avevano diritto di andare gratuitamente allo stadio per appendere lo striscione del club. Allora tutto era più facile: non c’era la tessera del tifoso, nemmeno i tornelli, i biglietti e gli abbonamenti per lo stadio non erano personalizzati, volendo si potevano pure cedere a terzi e c’era il fenomeno del bagarinaggio. Col diffondersi del calcio televisivo a pagamento è calato il desiderio di recarsi allo stadio per assistere dal vivo alle partite. A me improvvisamente è tornata la voglia di tornare all’Olimpico da quando vedo le partite del Latina. Ricordo che quando mi portavano allo stadio con la macchina mi dicevano di ricordarmi l’uscita autostradale Roma Est, quando un giorno presa la patente sarei venuto allo stadio con la mia auto. Negli incontri serali è più comoda l’automobile rispetto ai mezzi pubblici. Bisogna partire da casa oltre due ore prima dell’inizio della sfida (con la speranza di non trovare troppo traffico), di conseguenza bisogna stravolgere tutti gli impegni abituali. I biglietti per le partite dell’Olimpico di Roma li fanno pure a Latina. La mezzora sufficiente per arrivare allo stadio di Latina in questo caso basta a malapena per arrivare al casello autostradale di Valmontone. Una volta arrivati alla citata uscita occorre imboccare la tangenziale est che arriva direttamente all’ex Foro Mussolini, oggi Foro Italico. Nei pressi dello stadio si parcheggia dove capita: in seconda, terza fila, sopra i marciapiedi, i parcheggiatori improvvisati indicano il posto in cambio di qualche spiccio. Al parcheggio del Palazzo della Farnesina non fanno parcheggiare. Chissà che esasperazione per i residenti delle eleganti palazzine della zona ad ogni partita, in cui rischiano di ritrovarsi sbarrati anche i passi carrabili. Per arrivare all’interno dell’impianto occorre camminare molto dal parcheggio, anche mezzora. Gli addetti alla sicurezza a Roma, a differenza di Latina, non chiedono i documenti per verificare l’intestatario del biglietto. Non occorre che dica nulla sui tifosi, si sa già tutto su questi “professionisti”. All’Olimpico di Roma non c’è nessuna preoccupazione per quanto concerne il sole e la pioggia; una pecca è rappresentata dalla grande distanza tra campo e spalti: se uno capita nelle file più alte vede ben poco; non a caso le maggiori squadre di Serie A stanno facendo di tutto per costruirsi dei nuovi impianti di proprietà privi di piste per l’atletica e con le tribune attaccate al campo. Al deflusso l’unico problema è rappresentato dall’enorme quantità di persone che ti travolgono perché vanno nella parte opposta alla tua e ci sono pochi varchi tra le recinzioni, ma non c’è più nessuna preoccupazione per gli ingorghi automobilistici, ormai si può fare tutto con calma.

lunedì 24 novembre 2014

247) NOTIZIE DA "IL GIORNALE D'ITALIA"

Gli italiani dormono in stazione,
i rifugiati in alloggi di lusso

Ecco quello che succede, ad esempio, a Siena: reportage agghiacciante da quella che era l'isola felice della sinistra

Non se ne può più. Ha dell’incredibile quanto sta accadendo negli ultimi mesi in Italia. Con il rischio che dopo le tensioni registrate a Corcolle, Tor Sapienza e Infernetto a Roma e nelle zone periferiche di Milano possano sfociare in ogni città di quel che resta del Bel paese.

A lanciare un altro allarme è il Corriere di Siena che ha effettuato un agghiacciante reportage. Aumentano di giorno in giorno i senesi che dormono nei pressi della stazione: dietro i cespugli di viale Cavour o ancora dietro il punto Telecom di Pantaneto.



Ma Siena non era l’isola felice del centrosinistra? Intanto anche nel capoluogo senese, oltre a vitto e l’alloggio, ai clandestini spettano anche 40 € di diaria.

La crisi morde, è vero. Bisogna essere caritatevoli, questo è altrettanto vero. Ma i vari governi che si sono succeduti in questi anni hanno sempre dato priorità agli altri, non certo agli italiani in difficoltà: a cominciare dall’asfissiante pressione fiscale (in aumento anche con il governo Pd-Ncd-Sc) e da Equitalia. Nel frattempo la disoccupazione – di mese in mese – continua a salire, soprattutto tra i giovani.
Gli ipotecano la casa.

Mentre gli italiani - compresi gli alluvionati e i terremotati, nonostante le rassicurazioni di Renzi - sono costretti non solo a pagare le tasse, ma a campare anche i rifugiati e gli extracomunitari. A chi non ce la fa? Gli ipotecano la casa.

 

Ha vinto l'astensione

L'Emilia rossa non c'è più: il Pd Bonaccini si afferma ma vota solo il 37% degli elettori. Schiaffo a Renzi anche in Calabria: passa Oliverio, candidato che il premier non voleva


Elezioni regionali per pochi intimi in Calabria ed Emilia Romagna e desta sensazione proprio il dato dell’affluenza alle urne di questa regione, una volta ‘la rossa’ per eccellenza, dove comunisti e post-comunisti andavano a votare anche se c’era da farlo per il classico asino che volava.

Ieri in Emilia-Romagna ha invece votato il 37,7% degli elettori, poco più in Calabria, con il 44,1%. Numeri impressionati, se paragonati alle Regionali del 2010 (68% in Emilia Romagna) e alle Europee di 6 mesi fa (addirittura il 70% in Emilia-Romagna). 

A Bologna e dintorni molto ha influito sull’elettorato la vicenda delle spese pazze in Regione che ha travolto proprio il maggiore partito della sinistra.

Stefano Bonaccini del Partito Democratico, comunque, è come scontato il nuovo presidente della Regione Emilia-Romagna. Buono anche il risultato del leghista Alan Fabbri, secondo; male tutti gli altri partiti.

In Calabria vince Mario Oliverio, pd ma anti-renziani. Wanda ferro, candidata di un centrodestra diviso, si ferma attorno al 25%.. Anche qui male i partiti tradizionali e i 5 stelle.

Alla fine, l’ulteriore allontanamento della gente dalla politica si è rivelato un flop per le politiche governative, anche se un po’ tutti, ad iniziare dalla Boschi mandata in avanscoperta da Renzi, ci tenevano a far sapere che non poteva trattarsi di un test per il governo stesso.

Dal canto suo, Matteo Renzi si è espresso con il solito tweet: "Male affluenza, bene risultati: 2-0 netto”. Contento lui…

Igor Traboni

domenica 16 novembre 2014

246) LA SVOLTA PROGRESSISTA DEL PAPA

GLI ATEI ED I MANGIAPRETI DI SINISTRA GONGOLANO (FINO AD UN CERTO PUNTO) PER LA SVOLTA PROGRESSISTA DELLA CHIESA CATTOLICA, AVVIATA COL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO.

Coll’avvento al soglio pontificio di Papa Francesco la Chiesa Cattolica pare si stia avviando verso una netta tendenza progressista. La si può notare dalle omelie del Pontefice e dalle varie iniziative tendenti ad impostare in tutta la Chiesa le aperture verso l’odierna società laica: non opporre resistenza e non condannare le unioni al di fuori del matrimonio, comprese quelle omosessuali, benedire l’avanzata islamica in occidente e indignarsi poco per le persecuzioni e le uccisioni dei cristiani nel mondo, ospitare gli attivisti dei centri sociali in Vaticano, eccetera. Gli alti prelati conservatori, per cui io parteggio, con tutte le loro forze hanno cercato invano di impedire l’introduzione di queste rivoluzioni, che a quanto dicono i favorevoli non sono dei veri e propri stravolgimenti nella dottrina ecclesiale. Sarà pure vero ma all’apparenza sembra che tutti gli insegnamenti del Papa Giovanni Paolo II siano andati perduti ed anche la Chiesa si sia laicizzata: non essendo più l’unico punto fermo dei valori tradizionali e familiari.

Allora perché fare tutto quel chiasso, così da dare l’impressione di sconvolgere tutto? Secondo il nuovo corso avviato la famiglia tradizionale resta sempre al centro di tutto, rimane la contrarietà ufficiale ai matrimoni omosessuali e alle unioni al di fuor del matrimonio; soltanto che non si faranno più molte pressioni allo stato per impedire quelle attuazioni, come avvenne nel 2007 con “la giornata della famiglia”. La misericordia per chi non viveva e non vive secondo gli insegnamenti ecclesiali c’era già e avrebbe potuto essere ribadita in altri modi. Perché aizzare ancor di più “l’educazione omosessuale”? (nella Bibbia la perversione è bandita.) Quelli, per quanto uno cerchi di comprendere la loro condizione, sono consapevoli che tutto il mondo è ai loro piedi: allora non tenendo nascosto il loro orientamento, ne approfittano per indottrinare gli altri secondo i loro punti di vista, rischiando di far estinguere l’umanità.


Parliamo dei rapporti con l’Islam: il Papa viene dall’altra parte del’oceano, dove questo scontro di civiltà non è sentito per niente; solo ora con l’avvento dell’Isis in Medio Oriente e le persecuzioni dei cristiani inizia a rendersi conto. Invitare a porgere l’altra guancia o essere troppo indulgenti e permissivi sono dei chiari messaggi per le frangi più radicali islamiche ad essere ancor più aggressivi e violenti e che l’occidente cristiano (ed ateo) sarà terra di facile conquista: “come sono fessi e stupidi questi, ci potremo scatenare come vogliamo!”  Ci sono altri modi per accogliere i rifugiati (quelli veri), non come avviene ora: facendo aumentare il degrado, la delinquenza nelle città, aizzando il razzismo e le guerre urbane tra poveri.

Ci sarà anche qualche motivo per cui i cattolici in America Latina (il continente cattolico per eccellenza) sono in diminuzione ed aumentano sempre di più gli aderenti alle chiese protestanti? Al contrario gli atei di sinistra ora guardano con simpatia questa Chiesa, come gli aderenti dei centri sociali, delle volte violenti e contro la Religione Cattolica, che sono stati ospitati in Vaticano: non perché si siano convertiti, perché vedono il Papa come un loro potenziale alleato e militante dei loro partiti. C’è però un ultimo ostacolo da rimuovere per far divenire la Chiesa Cattolica completamente di sinistra: cioè che essa non opponga più ostacoli alle pratiche dell’aborto e del’eutanasia; però su questi temi il Vaticano non intende transigere, ne venire a compromessi.

domenica 9 novembre 2014

245) TRIESTE È ITALIANISSIMA

SESSANT’ANNI FA LA CITTÀ DI TRIESTE DOPO MOLTE SOFFERENZE TORNAVA ALL’ITALIA. NELLE ZONE DI FRONTIERA, DOVE CI SI SENTE MINACCIATI, IL SENTIMENTO PATRIOTTICO ITALIANO È PIÙ FORTE.




La campana di San Giusto

Per le spiagge, per le rive di Trieste
Suona e chiama di San Giusto la campana,
l'ora suona l'ora suona non lontana
che più schiava non sarà!

Le ragazze di Trieste
Cantan tutte con ardore:
"O Italia, o Italia del mio cuore
Tu ci vieni a liberar!"

Avrà baci, fiori e rose la marina,
la campana perderà la nota mesta,
su San Giusto sventolar vedremo a festa
il vessillo tricolor!

Le ragazze...

La Campana di San Giusto” (San Giusto è il santo patrono triestino a cui è dedicata una cattedrale) fu scritta nel 1915 per incitare il passaggio di Trieste all’Italia, che ci fu nel 1918. Quel canto patriottico venne successivamente riutilizzato in occasione della seconda unione italiana di Trieste, avvenuta nel 1954. Quell’anno la sovranità italiana sulla città giuliana venne completata in maniera definitiva dopo undici anni di assenza. Nel 1943 Trieste fu annessa direttamente al Terzo Reich Tedesco e non fece parte (almeno formalmente) della Repubblica Sociale Italiana, nel 1945 fu occupata dagli jugoslavi, successivamente gli accordi internazionali stabilirono la creazione di un territorio libero sotto la tutela anglo – americana. Il suddetto territorio era a sua volta diviso in “Zona A” e “Zona B”: nel 1954 si decise che la “Zona A”, di cui Trieste faceva parte, sarebbe tornata all’Italia, mentre la “Zona B” sarebbe passata alla Jugoslavia, la quale già si era presa gran parte della regione Venezia Giulia. Gli undici anni a cavallo tra il 1943 ed il 1954 furono anni di terrore, distruzione e morte per i triestini e per i giuliani: bombardamenti, morte, terrore con le rappresaglie tedesche e slave.



Nell’ottobre 1954 finalmente gli incubi terminarono: i triestini con giubilo riabbracciarono la Madre Italia e scongiurarono il pericolo della slavizzazione della città, come era avvenuto a Pola, a Fiume e a Zara. L’unione di Trieste alla Patria Italiana fu visto in entrambe le occasioni (nel 1918 e nel 1954) come una liberazione, un momento di riscatto e di orgoglio che significò la fine delle persecuzioni: basti pensare che ai tempi dell’Impero Austro – Ungarico comandavano gli slavi e ci fu qualche episodio di eroismo, come quello di Guglielmo Oberdan, a cui sono intitolate molte strade nelle città e nei paesi di tutto il nostro territorio nazionale. È sempre rischioso avventurarsi nelle guerre: la Prima Guerra Mondiale per l’Italia finì bene ed essa acquisì nuovi territori, mentre la Seconda Guerra Mondiale è finita male e la nostra nazione ha perso alcune terre guadagnate in precedenza con un grande tributo di sangue. Dopo le drammatiche esperienze l’attaccamento alla patria italiana per i triestini divenne molto più forte, visto che erano divenuti terra di frontiera e l’incubo jugoslavo era sempre in agguato: accrebbe ulteriormente con la contrapposizione tra i due blocchi (occidentale e comunista). Ancora oggi gli sloveni rivendicano Trieste per la loro piccola nazione: si ficchino in testa che essa è una città italianissima (come lo erano Pola, Fiume ed altre cittadine della costa dalmata) e non si tocca. È una caratteristica tipica delle zone di frontiera, dove a volte ci si rende conto di essere stranieri da italiani e si ha la sensazione che un giorno potrebbero invaderti e cacciarti, sentirsi più italiani che altrove: vale anche per i nostri connazionali dell’Alto Adige e della Val d’Aosta. Chi sta nel cuore d’Italia non potrà mai capire e neppure noi che siamo vicino la degna capitale d’Italia e che nell’antichità creò un grande impero. Il nostro è un altro tipo di amor patrio.