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martedì 29 aprile 2014

225) LO SCOMBUSSOLAMENTO DELLA FAMIGLIA E DELLA PROCREAZIONE

I COMUNI, ANCHE QUELLI POLITICAMENTE CONSERVATORI, PER STARE ALLA “MODA”, AL “PASSO COI TEMPI” E PER GUADAGNARE QUALCHE VOTO REGISTRANO LE COPPIE OMOSESSUALI UNITISI ALL’ESTERO, MINANDO LA FAMIGLIA E RISCHIANDO DI COMPROMETTERE SERIAMENTE LA NATURALE RIPRODUZIONE DEL GENERE UMANO. CON TUTTA QUELLA PUBBLICITÀ CI SARÀ IL RISCHIO CHE SEMPRE PIÙ GIOVANI PER ESSERE “ALL’AVANGUARDIA” E PER DISTINGUERSI SEGUIRANNO QUEL “VIZIETTO”.

Il modo di pensare del progressismo politico (che peraltro rappresenta solo una piccola percentuale della popolazione) contagia e controlla tutti i settori della società, dell’informazione e degli organi costituzionali: è assolutamente vietato dissentire, per cui i conservatori si adattano per incrementare i consensi. L’abuso della democrazia ci porta a questi livelli. Ma non è assolutamente democratico, è contro natura ed antistorico distruggere la famiglia tradizionale e porre fine alla riproduzione del genere umano: è il più grosso genocidio nella storia dell’umanità. È esattamente quel che ci attenderà se continueranno ad insistere con le politiche omofile. Avere delle attrazioni amorose verso le persone dello stesso sesso è un’anomalia, una cosa fuori dal comune; prima, quando non se ne parlava mai, i sodomiti si contavano sulla punta delle dita e tenevano ben nascosto il loro “desiderio”, spesso si trattava di uomini ricchi “col vizietto”. Oggi invece pare che la sodomia sia diventata una moda di cui vantarsi ed andare fieri: così facendo e parlando dei diritti e dei matrimoni da parte della politica, delle istituzioni e dei media, tutto fa sembrare che essere omosessuale o eterosessuale sia la stessa identica cosa e così sempre più giovani potrebbero decidere di distorcere il loro sano equilibrio per essere più all’avanguardia, più alla moda. Ragione per cui fa bene la Russia di Putin a proibire per legge la propaganda omosessuale.

Non si equivalgono affatto l’omosessualità e l’eterosessualità: innanzitutto l’attrazione amorosa, sessuale, tra uomo e danna generano la vita, la riproduzione degli esseri umani, mentre l’attrazione amorosa tra due uomini o tra due donne non porta a nulla, se non all’estinzione degli umani stessi. Potrete giustamente dire: gli omosessuali sono sempre esistiti sin dalla notte dei tempi ed è vero. È molto difficile che uno nato con quel difetto o che l’ha sviluppato nelle fasi di crescita cambi idea e non bisogna biasimarlo o condannarlo (ricordo che in alcuni paesi islamici e del terzo mondo l’omosessualità costituisce un grave reato punito addirittura con la pena capitale e guarda caso da quelle parti quei tipi di persone non si trovano facilmente), penso anche che tutte le dicerie bigotte sui disegni diabolici siano della stupidaggini. Sono contrario all’adozione dei bambini da parte delle coppie omo: il loro equilibrio e la loro crescita potrebbero essere stravolti, non avendo una precisa figura maschile e una femminile che costituiscono i genitori: babbo e mamma, non genitore 1 e genitore 2!.  

Da cosa dipende ciò? Da molteplici fattori:

  • Nella fase di crescita, di sviluppo e delle trasformazioni ormonali uno si trova chiuso in un ambiente dove vede solo maschi e non accade come nelle classi miste delle scuole, quando si comincia a guardare in modo diverso, non più da antagonista, la compagna di classe o l’amica d’infanzia (più piena, più bellina) che a te neanche ti fila perché è attratta dai ragazzi più grandi. Improvvisamente, mentre si è intenti a fare altre cose, si può essere colti da quel desiderio, pensando al viso o al seno di quella tua compagna. Se uno in quella fase della sua vita ha intorno solo uomini è normale che qualcuno (ma non tutti) acquisisca tendenze sessuali anomale;
  • Un atteggiamento iperprotettivo da parte delle famiglie e l’assenza di una ferrea autorità maschile;
  • Nella carceri alcuni si trovano in astinenza sessuale per anni e avendo intorno solo maschi per necessità cambiano temporaneamente sponda.
Tengo a sottolineare che in nei tre i casi citati (che sono gli unici che mi vengono in mente ma ce ne saranno anche degli altri) solo una minoranza potrebbe divenire omosessuale e non tutti.


In genere oggi i maschi si sono indeboliti, infiacchiti, mentre si dice che femmine emancipate sono divenute più cattive, più aggressive: la colpa non è delle donne, è da attribuire principalmente agli uomini che in una società molle rinunciano spontaneamente al loro tradizionale ruolo egemone di figura forte, autoritaria. Penso al Fascismo: un aspetto positivo del vestire le uniformi dalla tenera età sin all’età adulta, era che si diveniva uomini forti, sia nel fisico che nel carattere, molto raramente affetti da sodomia. Anche le donne vestivano le divise: la loro educazione era basata però nel ruolo di future mamme, di future educatrici dei loro figli; ma il lavoro femminile non era vietato: era incentrato principalmente nell’insegnamento ai bambini.

Riepilogando brevemente: il mio scritto non vuole essere una condanna verso chi per motivi vari ha acquisito delle tendenze sessuali fuori dal comune, è necessario però che i media e la politica non ne parlino troppo, al fine di evitare che il fenomeno si allarghi a macchia d’olio (favorito anche dalla società molle di oggi e dall’uomo fiacco), minando e scombussolando la famiglia e la riproduzione. Motivi per cui l’omosessualità non merita, secondo il mio modesto parere, una legittimazione o un riconoscimento ufficiale.

venerdì 25 aprile 2014

224) LE AUSILIARIE DELLA R.S.I.

Durante la Repubblica Sociale Italiana fu istituito il Servizio Ausiliario Femminile di supporto logistico ai vari reparti militari impegnati nei fronti. In casi di estrema necessità le donne, da “angeli dei focolari”, da coloro che donavano una numerosa prole alla patria, divennero molto utili nell’assistenza e nel sostegno. Il loro numero fu superiore a 6.000.




L’ELENCO DELLE CADUTE DOPO IL 25 APRILE


Amodio Rosa: 23 anni, assassinata nel luglio del 1947, mentre in bicicletta andava da Savona a Vado.
Antonucci Velia: due volte prelevata, due volte rilasciata a Vercelli, poi fucilata.
Audisio Margherita: Fucilata a Nichelino il 26 aprile 1945.
Baldi Irma: Assassinata a Schio il 7 luglio 1945.
Batacchi Marcella e Spitz Jolanda: 17 anni, di Firenze. Assegnate al Distretto militare di Cuneo altre 7 ausiliarie, il 30 aprile 1945, con tutto il Distretto di Cuneo, pochi ufficiali, 20 soldati e 9 ausiliarie, si mettono in movimento per raggiungere il Nord, secondo gli ordini ricevuti. La colonna è però costretta ad arrendersi nel Biellese ai partigiani del comunista Moranino. Interrogate, sette ausiliarie, ascoltando il suggerimento dei propri ufficiali, dichiarano di essere prostitute che hanno lasciato la casa di tolleranza di Cuneo per seguire i soldati. Ma Marcella e Jolanda non accettano e si dichiarano con fierezza ausiliarie della RSI. I partigiani tentano allora di violentarle, ma le due ragazze resistono con le unghie e con i denti. Costrette con la forza più brutale, vengono violentate numerose volte. In fin di vita chiedono un prete. Il prete viene chiamato ma gli è impedito di avvicinare le ragazze. Prima di cadere sotto il plotone di esecuzione, sfigurate dalle botte di quelle belve indegne di chiamarsi partigiani, mormorano: “Mamma” e “Gesù”. Quando furono esumate, presentavano il volto tumefatto e sfigurato, ma il corpo bianco e intatto. Erano state sepolte nella stessa fossa, l’una sopra l’altra. Era il 3 maggio 1945.
Bergonzi Irene: Assassinata a Milano il 29 aprile 1945.
Biamonti Angela: Assassinata il 15 maggio 1945 a Zinola (SV) assieme ai genitori e alla domestica.
Bianchi Annamaria: Assassinata a Pizzo di Cernobbio (CO) il 4 luglio 1945.
Bonatti Silvana: Assassinata a Genova il 29 aprile 1945.
Brazzoli Vincenza: Assassinata a Milano il 28 aprile 1945.
Bressanini Orsola: Madre di una giovane fascista caduta durante la guerra civile, assassinata a Milano il 10 maggio 1945.
Buzzoni Adele, Buzzoni Maria, Mutti Luigia, Nassari Dosolina, Ottarana Rosetta: Facevano parte di un gruppo di otto ausiliarie, (di cui una sconosciuta), catturate all’interno dell’ospedale di Piacenza assieme a sei soldati di sanità. I prigionieri, trasportati a Casalpusterlengo, furono messi contro il muro dell’ospedale per essere fucilati. Adele Buzzoni supplicò che salvassero la sorella Maria, unico sostegno per la madre cieca. Un partigiano afferrò per un braccio la ragazza e la spostò dal gruppo. Ma, partita la scarica, Maria Buzzoni, vedendo cadere la sorella, lanciò un urlo terribile, in seguito al quale venne falciata dal mitra di un partigiano. Si salvarono, grazie all’intervento di un sacerdote, le ausiliarie Anita Romano (che sanguinante si levò come un fantasma dal mucchio di cadaveri) nonché le sorelle Ida e Bianca Poggioli, che le raffiche non erano riuscite ad uccidere.
Carlino Antonietta: Assassinata il 7 maggio 1945 all’ospedale di Cuneo, dove assisteva la

sua caposquadra Raffaella Chiodi.



Castaldi Natalina:Assassinata a Cuneo il 9 maggio 1945.
Chandrè Rina, Giraldi Itala, Rocchetti Lucia: Aggregate al secondo RAU (Raggruppamento Allievi Ufficiali) furono catturate il 27 aprile 1945 a Cigliano, sull’autostrada Torino – Milano, dopo un combattimento durato 14 ore. Il reparto si era arreso dopo aver avuto la garanzia del rispetto delle regole sulla prigionia di guerra e dell’onore delle armi. Trasportate con i loro camerati al Santuario di Graglia, furono trucidate il 2 maggio 1945 assieme ad oltre 30 allievi ufficiali con il loro comandante, maggiore Galamini, e le mogli di due di essi. La madre di Itala ne disseppellì i corpi.
Chiettini (si ignora il nome): Una delle tre ausiliarie trucidate nel massacro delle carceri di Schio il 6/7 luglio 1945.
Collaini Bruna, Forlani Barbara: Assassinate a Rosacco (Pavia) il 5 maggio 1945.
Conti – Magnaldi Adelina: Madre di tre bambini, assassinata a Cuneo il 4 maggio 1945.
Crivelli Jolanda: Vedova ventenne di un ufficiale del Battaglione “M” costretta a denudarsi e fucilata a Cesena, sulla piazza principale, dopo essere stata legata ad un albero, ove il cadavere rimase esposto per due giorni e due notti.
De Simone Antonietta: Romana, studentessa del quarto anni di Medicina, fucilata a Vittorio Veneto in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945.
Degani Gina: Assassinata a Milano in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945.
Ferrari Flavia: 19 anni, assassinata l’ 1 maggio 1945 a Milano.
Fragiacomo Lidia, Giolo Laura: Fucilate a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 assieme ad altre cinque ausiliarie non identificate, dopo una gara di emulazione nel tentativo di salvare la loro comandante.
Gastaldi Natalia: Assassinata a Cuneo il 3 maggio 1945.
Genesi Jole, Rovilda Lidia: Torturate all’hotel San Carlo di Arona (Novara) e assassinate il 4 maggio 1945. In servizio presso la GNR di Novara. Catturate alla Stazione Centrale di Milano, ai primi di maggio, le due ausiliarie si erano rifiutate di rivelare dove si fosse nascosta la loro comandante provinciale.
Greco Eva: Assassinata a Modena assieme a suo padre nel maggio del 1945.
Grill Marilena: 16 anni, assassinata a Torino la notte del 2 maggio 1945.
Landini Lina: Assassinata a Genova l’1 maggio 1945.
Lavise Blandina: Una delle tre ausiliarie trucidate nel massacro delle carceri di Schio il 6/7 luglio 1945.
Locarno Giulia: Assassinata a Porina (Vicenza) il 27 aprile 1945.
Luppi – Romano Lea: Catturata a Trieste dai partigiani comunisti, consegnata ai titini, portata a a Lubiana, morta in carcere dopo lunghe sofferenze il 30 ottobre 1947.
Minardi Luciana: 16 anni di Imola. Assegnata al battaglione “Colleoni” della Divisione “San Marco” attestati sul Senio, come addetta al telefono da campo e al cifrario, riceve l’ordine di indossare vestiti borghesi e di mettersi in salvo, tornando dai genitori. Fermata dagli inglesi, si disfa, non vista, del gagliardetto gettandolo nel Po. La rilasciano dopo un breve interrogatorio. Raggiunge così i genitori, sfollati a Cologna Veneta (VR). A metà maggio, arriva un gruppo di partigiani comunisti. Informati, non si sa da chi, che quella ragazzina era stata una ausiliaria della RSI, la prelevano, la portano sull’argine del torrente Guà e, dopo una serie di violenze sessuali, la massacrano. “Adesso chiama la mamma, porca fascista!” le grida un partigiano mentre la uccide con una raffica.
Monteverde Licia: Assassinata a Torino il 6 maggio 1945.
Morara Marta: Assassinata a Bologna il 25 maggio 1945.
Morichetti Anna Paola: Assassinata a Milano il 27 aprile 1945.
Olivieri Luciana: Assassinata a Cuneo il 9 maggio 1945.
Ramella Maria: Assassinata a Cuneo il 5 maggio 1945.
Ravioli Ernesta: 19 anni, assassinata a Torino in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945.
Recalcati Giuseppina, Recalcati Mariuccia, Recalcati Rina:  Madre e figlie assassinate a Milano il 27 aprile 1945.
Rigo Felicita: Assassinata a Riva di Vercelli il 4 maggio 1945.
Sesso Triestina: Gettata viva nella foiba di Tonezza, presso Vicenza.
Silvestri Ida: Assassinata a Torino l’1 maggio 1945, poi gettata nel Po.
Speranzon Armida: Massacrata, assieme a centinaia di fascisti nella Cartiera Burgo di Mignagola dai partigiani di “Falco”. I resti delle vittime furono gettati nel fiume Sile.
Tam Angela Maria: Terziaria francescana, assassinata il 6 maggio 1945 a Buglio in Monte (Sondrio) dopo aver subito violenza carnale.
Tescari -Ladini Letizia: Gettata viva nella foiba di Tonezza, presso Vicenza.
Ugazio Cornelia, Ugazio Mirella: Assassinate a Galliate (Novara) il 28 aprile 1945 assieme al padre.
Tra le vittime del massacro compiuto dai partigiani comunisti nelle carceri di Schio (54 assassinati nella notte tra il 6 ed il 7 luglio 1945) c’erano anche 19 donne, tra cui le 3 ausiliarie (Irma Baldi, Chiettini e Blandina Lavise) richiamate nell’elenco precedente.
In via Giason del Maino, a Milano, tre franche tiratrici furono catturate e uccise il 26 aprile 1945. Sui tre cadaveri fu messo un cartello con la scritta “AUSIGLIARIE”. I corpi furono poi sepolti in una fossa comune a Musocco. Impossibile sapere se si trattasse veramente di tre ausiliarie.
Nell’archivio dell’obitorio di Torino, il giornalista e storico Giorgio Pisanò ha ritrovato i verbali d’autopsia di sei ausiliarie sepolte come “sconosciute”, ma indossanti la divisa del SAF.
Cinque ausiliarie non identificate furono assassinate a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 assieme a Lidia Fragiacomo e Laura Giolo.
Al cimitero di Musocco (Milano) sono sepolte 13 ausiliarie sconosciute nella fossa comune al Campo X.
Un numero imprecisato di ausiliarie della “Decima Mas” in servizio presso i Comandi di Pola, Fiume e Zara, riuscite a fuggire verso Trieste prima della caduta dei rispettivi presidi, furono catturate durante la fuga dai comunisti titini e massacrate.


lunedì 14 aprile 2014

223) FABRIZIO QUATTROCCHI: COME MUORE UN ITALIANO

"Quattrocchi, eroe scomodo e dimenticato da dieci anni"

L'ex compagno di prigionia in Irak, dove Fabrizio fu ucciso dagli insorti nel 2004: "Ignorato dalla stessa patria a cui ha dedicato gli ultimi istanti di vita"

Gian Micalessin - Lun, 14/04/2014 - 18:43



«Ammetterlo fa molto male eppure a dieci anni dal suo assassinio l'Italia s'è dimenticata di Fabrizio Quattrocchi. Gli hanno dedicato qualche piazza, ma poi tutto è finito lì.
Di Fabrizio non c'è più memoria. Nessuno sembra volerlo ricordare». Dieci anni dopo esser stato barbaramente trucidato in Irak, dieci anni dopo essersi strappato il bavaglio e aver urlato ai propri assassini Vi mostro come muore un italiano, Quattrocchi rischia di esser dimenticato dalla stessa patria a cui ha dedicato gli ultimi istanti della propria vita. Per il governo e le istituzioni italiane Fabrizio Quattrocchi è ormai un illustre sconosciuto. Un caduto scomodo e dimenticato. Un morto indegno d'esser ricordato. Come ricorda in quest'intervista al Giornale il suo compagno di prigionia Salvatore Stefio, oggi nessuna istituzione ricorderà Quattrocchi, assassinato il 14 aprile di dieci anni fa dopo esser caduto nelle mani di gruppo di insorti iracheni assieme a Maurizio Agliana e Umberto Cupertino e allo stesso Stefio. «Poco fa ho chiamato Maurizio Agliana che è in contatto con la sorella di Fabrizio e gli ho chiesto se sa di qualche manifestazione ufficiale per il decimo anniversario della morte. Anche secondo lui autorità e istituzioni non hanno organizzato nulla. Fa niente, ci siamo abituati. Lo ricorderemo io, Maurizio e Umberto Cupertino riunendoci con la sorella davanti alla tomba di famiglia a Genova. Sarà una cerimonia intima e privata. Del resto il mancato ricordo rientra nel clima di questo paese. Non è neppure una novità».
Eppure Quattrocchi è medaglia d'oro al valore civile decorato da Azeglio Ciampi.
«In Italia molti ci reputano solo mercenari interessati ai soldi. Penso sia un atteggiamento motivato politicamente».
La Corte d'Assise di Roma ha anche sentenziato che l'esecuzione non fu un atto di terrorismo.
«Lo so e ne sono rimasto indignato. Ancora non mi spiego come sia stato possibile pronunciare quella sentenza. Non trovo motivazioni logiche».
Cosa successe quel giorno?
«Non immaginavamo nulla. Erano passate 48 ore dalla cattura ed eravamo stati trasferiti in una seconda prigione. Eravamo seduti a terra in una stanza completamente vuota e spoglia con una finestra oscurata da una pesante tenda. Ci avevano già prelevato per interrogarci, quindi quando vennero a prenderlo non pensavamo volessero ucciderlo».
Qual è l'ultimo ricordo di Fabrizio?
«Ricordo il suo sorriso. Quando vennero a prenderlo lui si alzò e ci salutò con un sorriso. È l'ultima immagine di lui. Me la porterò dentro per sempre».
Quando capiste che era stato ucciso?
«Solo una volta libero appresi le circostanze della sua morte. Le raccontò chi fece arrivare all'intelligence le coordinate della nostra prigione. Gli altri ci avevano sempre detto di averlo rilasciato. Quando mi dissero di quell'ultima sua frase pronunciata davanti agli assassini non faticai a crederci. Una sola settimana con lui mi è bastata per capire di che pasta era fatto: generoso, pronto a sacrificarsi per quello in cui credeva».
Perché proprio lui?
«Me lo sono sempre chiesto. Lui non era stato né irruente, né provocatorio. Si comportò come tutti noi. Forse presero lui perché aveva il tesserino rilasciato dalle autorità americane mentre noi non avevamo ancora ritirato i nostri. Forse presero il primo che capitava perché avevano delle rivendicazioni politiche e volevano dimostrare di far sul serio».
Un misterioso Yussuf raccontò al «Sunday Times» di aver partecipato all'assassinio di Fabrizio. Pensa lo stiano ancora cercando?
«Durante il primo periodo della prigionia era sempre con noi. Parlava un discreto italiano e non era iracheno. Probabilmente veniva dal nord Africa e sembrava conoscere l'Italia. Abbiamo raccontato tutto ai carabinieri, ma non so se sia mai stato identificato. E non so se qualcuno lo stia cercando».
Ha mai guardato il filmato dell'uccisione?
«L'ho guardato e ho provato tanta rabbia, ma adesso è diverso. Ho deciso di trasformare quell'esperienza in qualcosa di utile. Organizzo corsi di sopravvivenza in cui insegno ad affrontare situazioni di prigionia simili a quelle provate in quei 58 giorni. È il mio modo per ricordare Fabrizio e donare un po' della sua memoria agli altri».


Vietato celebrare il decennale di Fabrizio Quattrocchi, un eroe che queste istituzioni non meritano


di Valter Delle Donne/lun 14 aprile 2014/16:46

Con indosso una maglietta commemorativa con la scritta “15 Delta, in memoria di Fabrizio Quattrocchi, medaglia d’oro al valore civile”, a 10 anni dal rapimento si sono ritrovati a Genova, per la prima volta insieme, Maurizio Agliana, Salvatore Stefio e Umberto Cupertino, sequestrati con il contractor genovese Fabrizio Quattrocchi il 13 aprile 2004 in Iraq dalle Falangi Verdi dell’Esercito di Maometto. «Saremo sempre qua a onorare Fabrizio Quattrocchi per quello che ha fatto, ciò che ha detto e come lo ha detto, nel momento in cui veniva a mancare la sua vita» ha detto Agliana che ha ricordato i 56 giorni di prigionia e il momento in cui venne scelto Fabrizio. «Prima che lo portassero via Fabrizio non disse niente – ha ricordato Agliana – si alzò e ci salutò, con tranquillità e serenità». Nessuno sapeva il destino del compagno di prigionia, fu detto loro che sarebbe stato liberato come “merce di scambio. «Ci venne detto che lo liberavano – ha spiegato Stefio – ufficialmente venimmo informati dal nostro ambasciatore, dopo essere stati liberati dalle forze speciali americane, che era deceduto». «Quando è andato via – ha proseguito Cupertino – lo abbiamo seguito con lo sguardo da sotto la porta, siamo rimasti a guardare i piedi, fino a quando è stato possibile». La casualità ha portato a scegliere Fabrizio: «Sono venuti, si sono guardati intorno e hanno scelto a caso, anche se lui era in Iraq da qualche mese prima di noi e aveva un badge definitivo. Può essere anche stato questo il motivo. Ma poteva capitare a chiunque». «Volevano un atto dimostrativo per confermarsi come gruppo terroristico – ha aggiunto Agliana – i criminali comuni si comportano in un altro modo». Per tutti resta il rammarico dell’assenza delle istituzioni nel decennale del rapimento. «Oggi come dieci anni fa – conclude Agliana – la città non è stata presente».
Un fatto non nuovo, quello della lontananza delle istituzioni dall’uomo che è morto dicendo: «Vi faccio vedere come muore un italiano» e che è stato ammirato per il suo eroismo in tutto il mondo. «Viviamo in un Paese strano – ha commentato Viviana Beccalossi – in cui il ricordo di una medaglia d’oro al valor civile viene cancellato e i suoi famigliari lasciati soli». Da qui l’appello dell’assessore regionale lombardo. «Mi auguro – dice l’esponente di Fratelli d’Italia – che siano proprio i Comuni, anche i più piccoli, a rompere questo assurdo silenzio. Basterebbero una mozione o un ordine del giorno che invitino la Giunta a porre in essere anche un piccolo segno tangibile, per ricordare un giovane morto con un coraggio e una dignità straordinari». Nel novembre scorso l’ultima offesa per Quattrocchi. Nelle motivazioni della sentenza della prima Corte d’Assise di Roma, che ha assolto due dei rapitori degli italiani, si legge infatti che l’assassinio del contractor non fu un atto di terrorismo ma un episodio di criminalità comune. Non è bastato ai magistrati il fatto che a rivendicare il sequestro dei quattro italiani in Iraq fossero state le “Falangi Verdi di Maometto” e nonostante il fatto che i rapitori considerassero quel rapimento uno strumento di ricatto di stampo terroristico per chiedere all’Italia di non sostenere più gli Stati Uniti e di ritirare le proprie truppe da Baghdad. Contro il provvedimento della Corte d’Assise, definito da diversi esponenti dal centrodestra come «una sentenza ideologica», la Procura di Roma ha presentato ricorso.


sabato 12 aprile 2014

222) STORICO ACCESSO IN PROMOZIONE PER IL CORI CALCIO


IL CORI CALCIO HA VINTO CON CINQUE GIORNATE D’ANTICIPO IL CAMPIONATO REGIONALE DI PRIMA CATEGORIA E ACCEDERÀ NEL PROSSIMO CAMPIONATO LAZIALE DI PROMOZIONE, IL SUO MASSIMO TRAGUARDO RAGGIUNTO SINO A QUESTO MOMENTO.



La squadra calcistica del Cori (LT) è stata promossa con cinque giornate d’anticipo dalla Prima Categoria alla Promozione regionale laziale, vincendo 23 partite, pareggiandone 2 e non subendo sconfitte (a dire la verità la prima partita l’aveva persa sul campo ma l’ha vinta a tavolino). Questa squadra straordinaria sta sbalordendo tutti, al punto da conquistare grandi titoli e ampi spazi sui quotidiani provinciali e i periodici sportivi distribuiti agli spettatori che assistono agli incontri sportivi in tutta la provincia. Per il Cori è la giusta gratificazione la conquista di una serie che non aveva mai raggiunto e si ripagano i sacrifici con gli sforzi di tanti che con tenacia hanno fatto rinascere il calcio nel paese dei Lepini, dopo che per qualche anno era scomparso.

Le realtà calcistiche di tanti paesi più modesti di Cori, come Artena e Sermoneta, o come alcuni borghi e frazioni di Cisterna e di Latina, sono delle solide realtà dall’Eccellenza sino alla Serie D, mentre una piazza come la nostra non aveva mai acceduto almeno al campionato di Promozione. Aveva sempre vagato tra la Prima, la Seconda e la Terza Categoria; la Seconda Categoria, l’ultimo gradino del calcio dilettantistico regionale, costituiva per il Cori la sua dimora fissa, più rara era stata la militanza nelle altre due categorie. La forza di una squadra sportiva non dipende dalla grandezza del paese o della città, ma dalla disponibilità da parte dei medi – grandi imprenditori, dagli industriali, dai magnati locali nell’investire con delle risorse finanziarie. Gli investitori è più facile trovarli nelle città industriali come Aprilia, Cisterna, Latina, che nei piccoli paesi: difatti le squadre calcistiche di Aprilia e di Cisterna sono riuscite ad arrivare in serie C, mentre per molto tempo ha stupito che una città come Latina non abbia mai militato calcisticamente come minimo in Serie B. Quel tabù è stato rotto quest’anno.
  

A ridosso dell’ultima guerra mondiale si hanno le notizie di una prima squadra calcistica presente a Cori e fu soprannominata “Le Cocozzélle” (esordì nel 1936?), nacque perfino un inno in dialetto scritto dal prof. Cesare Chiominto che può essere ascoltato, insieme all'inno odierno, sul sito internet del Cori Calcio. Tanti spettatori nel corso degli anni hanno assistito alle partite del Cori (tra prima squadra e squadre giovanili) e trepidato per esso: sia nel vecchio campo sportivo di Cori Monte, dove anticamente c’era un lago e dove oggi c’è l’area mercato, e sia nel più moderno impianto di Stozza. (Dàglio lago fino àglio Seróne j’urlo della vittoria ata rivà: nei tempi in cui fu scritta “Le Cocozzelle” mica si immaginava che un giorno proprio nei pressi del “Serone” sarebbe sorto un nuovo, più moderno e più confortevole stadio.) Per un paese come Cori tutti quegli spalti del suo stadio sono esagerati: visto che il campo è interrato si sono resi necessari a mo’ di muro di sostegno, onde evitare frane e smottamenti; con degli ulteriori lavori di ampliamento, di messa a norma e di messa in sicurezza lo Stozza potrebbe andar bene addirittura per la Serie B e per la Serie A. Ora non so fino a quale livello potrà ambire il Cori Calcio, questo lo sanno solo i suoi investitori, i suoi proprietari, ma l’entusiasmo e l’euforia tra i tifosi, sia quelli costituiti in gruppo organizzato e sia gli occasionali, sono tali che fantasticando si parla di Serie D e perfino di Serie C. È meglio rimanere con i piedi per terra ed affrontare le cose passo per passo, a cominciare dal prossimo campionato.

Far conoscere il paese e rivalutarlo dal punto di vista turistico attraverso la squadra di calcio vincente che scala i vari livelli? Può darsi che accada ma non è detto: anche la Pallavolo Cori a suo tempo ebbe i suoi momenti di gloria e senza che il paese ebbe degli incrementi di visitatori. Tempo fa, lavorando al “Museo della Città e del Territorio” come lavoratore socialmente utile, qualche raro visitatore chiedeva come mai il nostro paese disponesse di notevoli monumenti e reperti antichi; lo stesso rimase molto stupito quando gli dissi che non è molto conosciuto dai turisti. Occorre innanzitutto renderlo più vivibile, più accogliente; nell’ultimo decennio dei segnali positivi in tal senso si sono visti: dopo decenni di degrado e di deturpamenti è stata avviata una serie di opere pubbliche per recuperare il centro storico e i monumenti dall’incuria. Però non basta, c’è ancora tanto da fare e non solo nelle zone antiche. Solo così il calcio potrà divenire un valido trampolino di promozione territoriale.