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domenica 31 dicembre 2017

375) ATTUALITÀ DI FINE ANNO


IL FINE 2017 È SEGNATO DALLE STRUMENTALIZZAZIONI POLITICHE DEI PRESEPI E DALLO SCIOGLIMENTO DEL PARLAMENTO ITALIANO.


·        Il mondialismo dilagante che distrugge le nostre tradizioni

Sulle pagine della stampa nazionale ci sono state aspre polemiche riguardanti alcuni presepi, i quali vengono dissacrati e strumentalizzati a fini politici. Infatti in alcuni degli stessi la sacra famiglia è stata raffigurata sotto forma di immigrati, con tanto di barcone, e addirittura ha assunto delle sembianze islamiche. Ci ricordano che anche Giuseppe, Maria e il Bambin Gesù  emigrarono in Egitto (comunque come la Palestina era sempre Impero Romano); si, ma quando finirono le persecuzioni di Erode tornarono a casa. In altri presepi vengono rappresentate le famiglie omosessuali. Il presepe dovrebbe riprodurre la rappresentazione della nascita di Gesù, ricostruendo l’atmosfera e l’ambiente di quei tempi; non vanno bene neanche le statuine dei calciatori, dei cantanti, dei santi e via dicendo. Questo mondialismo imperante contagia i benpensanti e vorrebbe distruggere la nostra identità, facendoci rinunciare al nostro folclore e alle nostre tradizioni, di cui ci vorrebbero far vergognare, cosi da imporci gli usi e i costumi altrui; si va a stravolgere i presepi o a bandire la parola Gesù dai canti natalizi scolastici. Anche alcune frange della Chiesa Cattolica si allineano (non tutte chiaramente); sponsorizzando fortemente la costruzione delle grandi moschee (dove spesso si predica il terrorismo e l’intolleranza) e concedendo i terreni ecclesiali per tale scopo. Premettendo che la solidarietà universale non fa distinzione di religione, se si arriva a quei livelli, accettando che altri culti si espandano e si equiparino al proprio, allora si crede ancora che la fede cattolica sia la sola via della salvezza universale? Nel momento dell’ascensione Gesù Cristo ha invitato i suoi seguaci ad andare in tutto il mondo e battezzare tutti. Oggi non viene tirato fuori quel tratto di Vangelo, anche perché si perde la vita andando ad evangelizzare alcuni popoli. 

  • Le nuove elezioni politiche e un breve bilancio della XVII legislatura
Il prossimo 4 marzo 2018 saremo chiamati al voto per le elezioni politiche nazionali italiane (sarebbe meglio votare in due giorni). Nei giorni scorsi il Capo dello Stato ha sciolto le due camere per scadenza naturale. Nel 2013, ad inizio legislatura, nessuno avrebbe scommesso sulla sua durata quinquennale con ben tre governi: vinse Bersani, ma al Senato non aveva la maggioranza che aveva ottenuto alla Camera grazie al premio. L’allora segretario Pd fu fatto fuori quando non riuscì a portare Prodi al Quirinale e, su suggerimento del rieletto Napolitano (per un breve periodo), si giunse ad un compromesso tra esponenti moderati di sinistra e il Pdl. L’entrata al governo del Pdl (e dopo la sua fine del Ncd, poi Area popolare) ha posto un freno a politiche troppo di sinistra: come ad esempio le leggi troppo permissive sull’immigrazione o lo smembramento della famiglia tradizionale; giungendo al compromesso delle unioni civili, non equiparate ai matrimoni, si sono evitati i matrimoni omosessuali. Berlusconi in questa legislatura ha avuto un rapporto di amore – odio verso la sinistra: prima è entrato nel governo Letta per poi uscirne quando lo esclusero dal Senato, successivamente ha collaborato con Renzi, infine gli ha fatto di nuovo opposizione. I momenti chiave della legislatura sono stati la bocciatura, tramite referendum, della riforma costituzionale e il naufragio, tramite Corte Costituzionale, del nuovo sistema elettorale. La riforma del lavoro non ha causato grandi cambiamenti; gli 80 € all’inizio sono stati apprezzati, facendo volare Renzi e il Pd, successivamente sono precipitati entrambi per non aver fronteggiato a dovere altre questioni. Il prossimo marzo ci saranno buone probabilità che finalmente s’insedierà un governo eletto (di cds), dopo quattro non eletti. Se dovessero verificarsi le minime possibilità che nessuna coalizione raggiunga la maggioranza assoluta dei parlamentari, credo che difficilmente concederanno a breve nuove elezioni: i vertici dello stato e i poteri forti faranno grandi pressioni affinché si giunga ad un governissimo di grande coalizione. In questa eventualità vedremo cosa farà Forza Italia.

mercoledì 20 dicembre 2017

374) LANDO FIORINI E PROTAGONISTI DEI CAMBIAMENTI



I PERSONAGGI DEL MONDO DELLO SPETTACOLO, CHE CON LE LORO RAPPRESENTAZIONI NARRAVANO I CAMBIAMENTI ECONOMICI E LO SVILUPPO ITALIANO, SE NE VANNO TUTTI. 



Con la scomparsa del cantante Lando Fiorini, l’ultimo interprete della canzone tradizionale romana, si è chiusa un’era. L’epoca di tutti quei grandi attori e cantautori che con i loro lavori illustravano la crescita, i cambiamenti e lo sviluppo d’Italia dopo l’ultima guerra mondiale. A dire il vero di cantanti italiani degli anni 1960 – 1970 alcuni sono ancora in attività, ma il Fiorini aveva tutto un altro stile: infatti era un frammisto tra canzoni popolari romane e tra quelle moderne create da lui.


Negli anni del “miracolo economico” Roma, favorita dagli studi cinematografici di Cinecittà, faceva da sfondo anche in quasi tutte le grandi pellicole cinematografiche del genere “commedia all’italiana”, che avevano come protagonisti Alberto Sordi, Nino Manfredi e altri grandi attori. Ci sono stati interpreti altrettanto bravi come Totò, Peppino De Filippo Aldo Fabrizi, ma costoro hanno avuto il loro apice prima della guerra e nell'immediato dopoguerra soprattutto, quando cercavano di far divertire la gente e far così dimenticare i drammi bellici. Tutti quei capolavori del cinema non li trasmettono quasi più, se non in tarda serata e in canali televisivi secondari, dobbiamo sorbirci delle visioni mediocri: le vacanze d’inverno, d’estate e gli sceneggiati televisivi ambientati nell’Italia deprimente d’oggi, così lontana da quella della crescita, nel tessuto sociale e nei valori.


Tempo fa comprai una raccolta di canzoni di Lando Fiorini, chiamata 100 Campane - Canzoni” , la quale contiene cinque cd. Ascolto in auto quella raccolta quando faccio dei viaggi più lunghi del solito, come ho fatto la scorsa estate mentre attraversavo la Spagna. Quando sei lontano da casa e viaggi verso mete sconosciute, lontane dal tuo mondo, ti prende un senso di angoscia e viene nostalgia: a me bastava ascoltare la voce di Lando Fiorini per rallegrarmi e sentir meno la mancanza di casa. Tra i brani del suo repertorio risaltava la zona dove era nato: vale a dire Trastevere, il quartiere più popolare ed internazionale di Roma (come era scritto sulla locandina dell’omonimo film, di cui parlai qualche tempo fa per evidenziare le somiglianze con i paesi), che negli anni della sua giovinezza subiva dei cambiamenti che ne snaturava l’origine, successivamente ha subito altre evoluzioni che lo hanno portato ad essere ulteriormente stravolto. L’esempio palese è “Na preghiera pe Roma sparita”, in cui l’autore sente nostalgia per una società scomparsa; tale canzone uscì nel 1975: oggi possiamo dire che è sparita anche la Roma, l’Italia, del 1975.  Idem per il brano “Vecchia Roma”




La prima canzone che ho conosciuto di Lando Fiorini negli anni 1990 è “Lella”, mi lega anche ad un ricordo personale: dopo un po’ di tempo confessai una cosa, una marachella, e alcuni, per scherzare, mi cantavano il ritornello.

domenica 10 dicembre 2017

373) I PRIMI SEI MESI DEL NUOVO CONSIGLIO COMUNALE

LA NUOVA AMMINISTRAZIONE COMUNALE CON ENTUSIASMO HA INIZIATO A LAVORARE, CONCENTRANDOSI SU QUELLA CHE DOVREBBE ESSERE L’ORDINARIA AMMINISTRAZIONE E SUGLI EVENTI CULTURALI PER RILANCIARE IL TERRITORIO, SENZA PERÒ ESTIRPARE I PROBLEMI DECENNALI CHE NE IMPEDISCONO IL DECOLLO. I PROBLEMI DEL DEGRADO, DELLA DELINQUENZA E LE MANCATE OCCASIONI PER CORI ATTRAVERSO LO SPORT AGONISTICO. 

Sono passati sei mesi dall’insediamento a Cori del nuovo sindaco e del nuovo consiglio comunale. L’entusiasmo del nuovo corso ha portato i nuovi amministratori comunali a rimboccarsi le maniche e a dare una scossa nel sistemare il paese (dopo cinque anni di letargo) con dei piccoli interventi che dovrebbero essere ordinaria amministrazione per chiunque: potatura degli alberi, pulitura dei fossi, riparazione dei muretti e delle pavimentazioni. Inoltre sono state promosse varie iniziative per promuovere il territorio, i suoi prodotti e attirare visitatori. Le iniziative sono ammirevoli, altrettante ne sono state provate in passato per favorire il turismo; in nessun caso mai nessuno ha voluto analizzare e tentare col tempo a rimuovere alla radice i problemi di fondo che impediscono il decollo turistico permanente. C’è un articolo interessante su Cori in un blog, scritto da un visitatore al primo impatto col paese, ne riporto una parte: “La prima impressione che ricevo dalla città è pessima; appare maltenuta, trascurata, zeppa di muri crepati e scrostati. Sulle facciate esterne di quasi tutti i palazzi, molto in alto, credo di scorgere, i colpi inferti dai fucili e dalle mitragliatrici durante la guerra. Ci vorrebbe un bel restauro generale per portarla ad uno splendore solo lontanamente suggerito dai fregi in muratura appena visibili sulle facciate dei palazzi ottocenteschi che incoronano la piazza.”  

Nella vicina Rocca Massima, a differenza di Cori, hanno avuto successo nell’attirare turisti e villeggianti con molte iniziative: il paese, essendo di dimensioni ridotte, è più raccolto, si cura e si controlla meglio. Abbiamo tanti monumenti antichi, ma il visitatore non guarda solo quelli, è pure importante l’ambiente che li circonda. Un signore diceva che ha provato da Latina e dintorni a portare gente nel nostro paese dei Lepini, gli hanno detto che la cittadina è carina e ha proseguito: li porto a vedere il Tempio d’Ercole, poi nel giardino vicino ci sono le fratte con gli spini o per strada i selci che mancano vengono tappati con asfalto e cemento, cosa dico loro?” Se Cori fosse stata una cittadina storica e turistica di rilevanza nazionale le abitazioni del centro storico, specie quelle a ridosso degli antichi monumenti, avrebbero grande valore e sarebbero di proprietà di gente facoltosa che le utilizzerebbe come seconde o terze residenze. Il degrado che c’è è il frutto d’ultradecennale lassismo comunale, contornato da atti di vandalismo (scritte e danneggiamenti sui beni pubblici) che hanno sempre colpito quel poco di buono che era stato fatto. Col nuovo sistema di videosorveglianza si spera che la delinquenza si riduca drasticamente. Il nostro paese da un po’ d’anni non è stato estraneo ad episodi di furti che imperversano ovunque. Ci sono molte strade del centro storico di Cori Valle che ormai sono ghettizzate da stranieri: alcuni spesso si ubriacano e si azzuffano tra loro; in passato le cronache giornalistiche locali hanno riportato gravi episodi, come gli accoltellamenti. Così quei pochi villeggianti che ci sono scappano. È da segnalare altresì il grande giro di affari che ruota attorno ai profughi (o presunti tali) che vengono smistati dal Ministero degli Interni, attraverso le prefetture, nei vari paesi italiani, compreso il nostro. Mi hanno riferito che chi affitta interi stabili riceve cifre denarose da capogiro, anche i vari comuni e le varie associazioni guadagnano. Prima di ogni cosa bisognerebbe attivare lo stesso trattamento ai coresi che non stano bene economicamente, in secondo luogo occorrerebbe accertarsi accuratamente chi si ospita: se questi nuovi immigrati non hanno documenti non si saprà mai se sono ricercati nei loro paesi per aver commesso reati gravi e non. La sicurezza dei cittadini deve essere la priorità, poi arriverà anche il momento delle feste e delle varie iniziative di promozione territoriale: non ci si può rinchiudere nel castello dorato e dribblare i gravi problemi che attanagliano le persone.  


Riallacciandomi al discorso della promozione turistica e della valorizzazione del nostro territorio, aggiungo che neanche col Carosello Storico, col Festival folcloristico e con gli sbandieratori, che portano il nome di Cori in Italia, in Europa, nel mondo, non si è riusciti a far divenire questo paese una meta turistica prediletta. Lo sport da noi è praticato a livello amatoriale e dilettantistico, subisce la forte concorrenza degli sbandieratori: nulla di maggiore dei saggi di danza e di arti marziali d’estate. Solamente due volte abbiamo avuto dei momenti di altissimi livelli, di gloria, con le compagini sportive e non li abbiamo saputi sfruttare, noi e i dirigenti comunali: con la pallavolo che arrivò in Serie A2 e con il calcio che arrivò nella promozione regionale con una serie impressionante di vittorie consecutive. In entrambi i casi i titoli sportivi, che avevano sede a Cori, sono stati ceduti fuori, a causa dello scarso interesse dei coresi, delle attività imprenditoriali e a causa dei contrasti tra le società e il comune, specie sugli impianti sportivi. Se ci fosse stato un idillio, una sinergia, tra municipio, valide imprese locali e compagini sportive, queste ultime avrebbero potuto far conoscere Cori in tutta la Regione Lazio, in tutta Italia, riuscendo dove hanno fallito le iniziative folcloristiche, che rimangono limitate in ambito circondariale. Pensate ai giornali sportivi di tiratura regionale e nazionale, che parlano delle società con grandi caratteri se compiono imprese memorabili o se militano nelle serie maggiori, pensate ai giornalisti che si sarebbero interessati di Cori, pensate alle quantità di tifosi e di cronisti che ogni due settimane sarebbero arrivati, eccetera.

lunedì 27 novembre 2017

372) VIVERE PIÙ A LUNGO POSSIBILE



OGGI LA VITA MEDIA SI È ALLUNGATA NOTEVOLMENTE, MA PRIMA DELLA FATIDICA SOGLIA DEGLI OTTANT’ANNI C’È UNA DURA SELEZIONE. NON BISOGNA MAI ESSERE ORGOGLIOSI DELLA PROPRIA SALUTE E DERIDERE CHI HA QUALCHE ACCIACCO, POTREBBE RITORCESI CONTRO. LE VITTIME DELLA MAFIA E DEGLI ABORTI. 





Anche quest’anno è giunto all’epilogo il mese di novembre, quando tradizionalmente si ricordano tutti i defunti. Non sono soltanto anziani i cari che ci hanno lasciato, sono la maggioranza, ci sono anche individui che hanno lasciato questo mondo prematuramente: dall’infanzia, agli anni della giovinezza e delle responsabilità. A chi non piacerebbe vivere novant’anni, cent’anni e oltre (ovviamente stando bene), tant’è vero che si considerano scomparse premature le morti a settantacinque o a ottant’anni (come si legge spesso in alcuni necrologi). In media oggi si vive più a lungo e meglio in confronto ai decenni e ai secoli passati, tuttavia più di qualcuno si perde ancora prima di arrivare alla fatidica soglia degli ottant’anni, il traguardo di vita augurale da raggiungere. Dopo quell’età tutti gli anni che si riusciranno a vivere saranno tutti guadagnati. Che cambiamenti rispetto a poco più di un secolo fa, quando un giornale di fine ‘800 scriveva: “un uomo anziano dall’apparente età di quarant’anni…….”


Nessuno conosce il proprio destino: non bisogna credersi onnipotenti perché si è giovani e non si devono nemmeno giudicare arrivate e finite le persone di una certa età; per prassi il vecchio dovrebbe morire prima del giovane, invece capita che non va sempre in quella maniera: è raro ma succede. Almeno gli anziani ci sono arrivati alla vecchiaia, noialtri bisognerà vedere. Ci sono delle persone che, superata la mezza età si avviano verso la vecchiezza, si vantano di stare in forma, in salute e denigrano i loro coetanei che iniziavano a mostrare qualche acciacco o qualche serio problema (Ecco una frase tipica: “ma non vedi quello? Non si regge in piedi e sta più di là che di qua, mentre io sono forte come un toro e sto in una forma strepitosa!). Qualche volta è successo che quelli che erano orgogliosi della propria salute si sono visti arrivare dei malanni più gravi di coloro che sfottevano e in delle circostanze questi ultimi hanno vissuto di più. Mai emettere dei verdetti sulle condizioni di salute altrui e proprie. Quando muore uno con il quale qualche persona era in discordia, in una seria lite o gli stava antipatico, la reazione che suscita in ella può essere  di vario genere, va dall'indifferenza al rimorso: dipende dai caratteri.


Un capitolo a parte meritano le morti per mano violenta, specialmente quelle di matrice della criminalità organizzata, come mafia, camorra, ndrangheta, e simili. Quel destino tocca a gente che ha avuto la sfortuna di nascere in posti sbagliati, non ha voluto tenere gli occhi chiusi o non ha voluto subire soprusi. C’è chi mette l’aborto al paro degli omicidi mafiosi, come ha fatto un prete, che ha  scatenato aspre polemiche paragonando Emma Bonino, autrice di molti aborti negli anni 1970, a Totò Riina, il vecchio capo della Mafia siciliana. Gli omicidi sono duramente puniti dalla legge e sono indiscriminatamente condannati da quasi tutta l’intera collettività, mentre ci sono coloro che non considerano l’aborto un delitto, anche perché è legale entro i primi due o tre mesi dal concepimento. Alla fine l’aborto è sempre una vita soppressa, sia se si considera una pratica lecita, sia se si considera un delitto. Dal punto di vista cristiano c’è misericordia se uno si pente sinceramente per qualunque mancanza, anche per le più gravi (come hanno spesso ricordato i vari pontefici parlando di mafia e di aborto), però non spetta a noi, in quei determinati campi, dare giudizi e condanne divine. 

domenica 19 novembre 2017

371) L'INNO NAZIONALE ITALIANO SENZA ITALIA



La sigla di chiusura dell’Italia

 di Marcello Veneziani



Con soli settantun’anni di ritardo, l’Italia s’è desta e nel mese dei morti si è data ufficialmente l’inno nazionale; ma a questo punto diventa la sua sigla di chiusura.
Erano anni che la destra, in solitudine, proponeva senza successo – neanche con i governi di centro-destra – di riconoscere l’Inno di Mameli come Inno nazionale; macché, l’inno figurava come il primo clandestino senza permesso di soggiorno.
Alla fine, di riffa o di raffa, con una proposta pieddina, Mameli entra con glorioso ritardo nella Gazzetta Ufficiale, ma nel frattempo il suo Canto degli italiani diventa il canto del cigno nazionale.
Il suo debutto come inno ufficiale sarebbe stato naturalmente con la Nazionale di calcio ai mondiali di Mosca, perché l’inno diventa veramente nazionale e popolare solo quando c’è di mezzo il calcio e la tv e viene cantato in tv, negli stadi, per le strade e nelle case; ma l’Italia – come ben sapete – si è giocata i mondiali.
Ergo, l’inno ufficiale servirà solo come colonna sonora delle performance di Mattarella e dintorni.
Considerando questa Italia con gli indicatori in picchiata – denatalità, mortalità, anzianità da record, evasione all’estero di ragazzi e pensionati, invasione di migranti, crescita del disavanzo, colonizzazione commerciale e da ultimo declino del calcio, bandiera nazionale – l’inno di Mameli arriva come una specie di marcia funebre o quantomeno sigla di chiusura, mentre scorrono i titoli di coda di uno Stato che non riesce a darsi una prospettiva di futuro.
Per decenni è stato impossibile dare dignità e rilievo all’inno nazionale; lo cantavano solo nello sport e nei raduni militari. Anche la destra lo rispettava fino a un certo punto, perché i monarchici e i nazional-risorgimentali preferivano la Marcia reale, i nostalgici della destra sociale e nazionale preferivano l’Inno a Roma se non i canti fascisti, e a sinistra trionfava il canto del lavoro, l’inno dell’Internazionale.
Inni con una solennità epica e storica più grandiosa e più coinvolgente, forse più poetici. Ma gli inni sono come i nomi di battesimo, non vanno distinti tra belli e brutti, in o out, ma tra significativi e insignificanti.
E l’Inno di Mameli evoca il legame nazionale, anche se propriamente più che la Patria evoca la Fratria, non la terra dei Padri ma la terra dei fratelli d’Italia.
Erano in pochi ad amare un inno nato nel risorgimento ma nel versante perdente, quello repubblicano. L’inno non ci accompagnò nelle due guerre mondiali né le imprese più significative della storia d’Italia. Restò come un’invocazione a Roma capitale in versione repubblicana e dunque apertamente antimonarchica e sottilmente anticattolica.
Senza dire, poi, che la musica di Novaro è sempre stata dimenticata come se di un inno valessero solo le parole un po’ retoriche e poco rispondenti al temperamento nazionale.
Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte… Però la morte precoce di Mameli a Roma combattendo per la repubblica romana, lo elevò al rango di eroe e di mito: desta ammirazione quel ragazzo che cantò l’Italia e si sacrificò in suo nome, non si limitò a scrivere un testo che esortava a esser pronto alla morte per l’Italia ma ci rimise davvero la vita.
Neanche per i 150 anni dell’Unità d’Italia, lo scorso 2011, fu possibile al governo Berlusconi dare solennità istituzionale all’Inno nazionale, per non scontentare la Lega di Bossi e per non irritare gli esterofili e gli internazionalisti di casa nostra.
In seguito nacque perfino un partito dall’inno, Fratelli d’Italia, guidato però da una sorella, Giorgia Meloni, che già dai tempi in cui era ministro della gioventù aveva cantato le lodi di Mameli in una mostra tricolore.
Ora, la scena pubblica non offre figure in cui riconoscersi, lo Stato è un’entità a cui nessuno mostra attaccamento; e sul piano politico avanza il deserto: cala l’ultimo astro Renzi, la sinistra si spappola, il centrodestra si ritrova intorno al corpo imbalsamato di Berlusconi, alcune regioni cercano autonomia e tanta Italia contro si vota a Grillo.
Ma ora, proprio ora, in piena decomposizione, ti arriva questo colpo di coda nazionale, questo inno retroattivo. Abbiamo l’Inno ma non c’è più l’Italia. L’Italia è morta, viva l’Italia.

 M. V. Il Tempo 19 novembre 2017

sabato 11 novembre 2017

370) DALLE ELEZIONI SICILIANE A QUELLE POLITICHE



LA VITTORIA DI NELLO MUSUMECI NELLE ELEZIONI REGIONALI DELLA SICILIA RILANCIA LA COALIZIONE DI CENTRODESTRA, CHE A QUESTO PUNTO PARTE FAVORITA PER LE PROSSIME ELEZIONI POLITICHE NAZIONALI.



Dopo la netta affermazione del centrodestra nelle votazioni amministrative della scorsa primavera, anche nelle elezioni regionali siciliane di questo autunno ha tirato lo stesso vento. Nel 2012 Musumeci perse per la divisione delle forze di centrodestra; oggi invece, anche se tutta la sua area l’ha sostenuto, non ha vinto facilmente come si poteva pensare, a causa della crescita del Movimento Cinque Stelle che ha sfiorato quasi un testa a testa con il vincitore. Per il centrosinistra il risultato conseguito è stato molto deludente; la stessa coalizione da un anno a questa parte ha incassato un filotto di sconfitte: referendum costituzionale, elezioni amministrative, regionali siciliane.

Evidentemente le politiche  che attua in campo nazionale ed internazionale non sono gradite dal popolo. Neanche il M5S riesce a sfondare: dopo aver avuto un’inaspettata esplosione di consensi al debutto, non riesce più ad allargarsi, complici le non cristalline gestioni dei comuni di Roma e di Torino, amministrate proprio dai penta – stellati. In questi contesti appare favorito il centrodestra per la vittoria alle prossime elezioni politiche nazionali: secondo gli ultimi sondaggi manca poco per ottenere la maggioranza che gli consentirà di governare senza larghe intese. 


C’è l’incognita Berlusconi: potrà partecipare alla campagna elettorale, ma in caso di vittoria non potrà avere ruoli diretti nel governo prima del 2019. Egli potrebbe fare, a legislatura inoltrata, come Renzi fece con Letta, oppure attenderà la scadenza del mandato di Mattarella e si farà eleggere Capo dello Stato? Si, e quando ce lo manderanno sullo scranno più alto dello stato! Si scatenerà una campagna mediatica e giudiziaria, che al confronto quelle viste finora sembreranno barzellette. Hanno stabilito un patto secondo il quale il partito che prenderà più voti tra Lega Nord (che forse eliminerà “Nord”, lanciandosi come partito per tutto il territorio nazionale), Fratelli d’Italia e Forza Italia, indicherà, nell’eventualità di un successo, il Presidente del Consiglio dei Ministri. Berlusconi continua a parlare di moderati, di governo composto in maggioranza da professionisti non politici, nonostante il periodo che viviamo suggerisca tutt’altro, comprese le scelte estreme e radicali. Il moderatismo in questi tempi particolari non paga più: tant’è vero che le piccole particelle di centro disseminate di qua e di la (a seconda delle convenienze), ormai hanno delle percentuali irrisorie. Il nuovo centro è il movimento di Beppe Grillo: i suoi elettori, i suoi militanti, sono i nuovi centristi atipici e ribelli.

La legge elettorale è stata approvata finalmente, così non ci sono più ostacoli per andare alle elezioni: dovranno essere fissate tra fine febbraio e l’inizio marzo 2018, non oltre (l’ultima volta votammo il 24 e 25 febbraio 2013). Non si pensi di spostare le suddette votazioni ad aprile o a maggio prossimi.

martedì 31 ottobre 2017

369) IL CENTENARIO DELLA RIVOLUZIONE RUSSA D’OTTOBRE



CENT’ANNI FA CON LA RIVOLUZIONE RUSSA D’OTTOBE INIZIÒ IL CICLO DEI REGIMI COMUNISTI, DESTINATI COL TEMPO A TRAMONTARE.


Cent’anni fa, mentre sul fronte italiano della Guerra 15 – 18 ci fu la disfatta di Caporetto, in Russia i Bolscevichi riuscirono a prendere il potere. Nel febbraio del 1917 lo Zar Nicola II era stato deposto e si era insediato il governo provvisorio dei Menscevichi (la minoranza) a cui si contrapponevano i Bolscevichi (la maggioranza). I malcontenti per la Prima Guerra Mondiale e per le sconfitte, unite all’arretratezza dell’Impero Russo e al forte divario tra le classi sociali furono alla base della Rivoluzione. Fu firmata la pace tra Russia ed Imperi Centrali, la quale sancì da parte russa la perdita di vasti territori, che sarebbero divenuti indipendenti a seguito della vittoria dell’Intesa nella Grande Guerra: nacquero Polonia, Lettonia, Lituania, Estonia, Finlandia; anche Ucraina e Bielorussia in un primo tempo divennero liberi, successivamente verranno inglobate nel nuovo stato sovietico. Nel 1922, al termine della Guerra Civile Russa tra rivoluzionari e controrivoluzionari, quest’ultimi erano sostenuti dai grandi stati occidentali, nacque l’Urss (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) e Lenin ne divenne il capofila indiscusso. La parola "sovietica/o" deriva da "soviet", cioè i consigli, le asemblee, che erano alle fondamenta della citata nuova nazione di allora. L’eco di quella rivoluzione si diffuse nel resto d’Europa ma non riuscì a propagarsi in modo vittorioso. Il nuovo stato sovietico avviò il programma della collettivizzazione e della statalizzazione, abolendo la grande proprietà privata, attuando così le idee di Marx ed Engels. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, oltre all’Unione Sovietica, molte altre nazioni divennero comuniste a tutti gli effetti: l’Europa orientale, la Cina ed altre nazioni asiatiche, Cuba. 


Se il socialismo reale avesse funzionato oggi tutti quei regimi comunisti sarebbero ancora in piedi e molte altre nazioni avrebbero intrapreso quella strada, invece quelle forme di governo sono cadute da un bel pezzo: nella stessa Russia e un po’ ovunque. Si parlava di giustizia sociale, di uomini tutti eguali, senza appartenenza di classe, e poi c’erano coloro che si ritenevano superiori, ovvero i capi delle dittature comuniste, e se qualcuno osava contestarli o criticarli finiva incarcerato o finiva al patibolo. Uguaglianza significa mettersi al paro di tutti gli altri ed accogliere contestazioni e giudizi; libertà vuol dire accettare più partiti, non imporne uno soltanto. Comunque il divario tra i dirgenti del partito e il comune popolo, nel possesso e nel tenore di vita, era molto elevato. Complessivamente le vittime del comunismo, nei suoi lunghi decenni, furono circa 100 milioni, divisi tra Urss, Europa, Cina, Vietnam, Cambogia, Africa, America Latina. Stalin ebbe la fama di maggiore carnefice. Uno che viveva in condizioni di vita disagiate, al’inizio era lieto di accettare quelle teorie, convinto che sarebbe arrivata la tanto sospirata giustizia sociale, col tempo però capiva che non era tutto oro quel che luccicava. Ammetto che le maggiori responsabilità dell’affermazione e della diffusione dell’ideologia marxista fu dovuta all’egoismo delle classi nobili, borghesi, spesso anche clericali, che detenevano il potere in buona parte del mondo del passato, che pensavano principalmente ai propri interessi e non si curavano del popolo e dei suoi bisogni. L‘Unione Sovietica conobbe uno sviluppo economico, divenendo la seconda potenza del mondo, dopodiché pagò lo scotto di quelle trasformazioni poggiate su piedi d’argilla, subendo delle crisi negli anni 1980, nell’economia e in politica, che la fece implodere e finire. I partiti comunisti d’occidente risentirono di quegli eventi, perdendo notevoli consensi; gli stessi si resero conto del fallimento del socialismo reale e cambiarono nomi e simboli. I loro esponenti, i loro militanti, oggi sono in gran parte benestanti, rappresentano la nuova borghesia. I pochissimi regimi comunisti di oggi ancora in vita si dividono in due categorie: quelli che si sono aperti al libero mercato e sono più progrediti e quelli vecchio stile, più arretrati.  

domenica 22 ottobre 2017

368) DIFFERENZE TRA LE VITE DI OGGI E DI IERI



LA SOCIETÀ DI OGGI È MOLLE, MA C’È QUALCHE ECCEZIONE E SI ASSISTE AD UNA CONTROTENDENZA PER LA CRISI. LA SOCIETÀ DI IERI ERA FORTE: TUTTI ERANO ABITUATI ALLA VITA DURA, DAL LAVORO, DALLE MALATTIE ALLA GUERRA. IL CASO DELL’ITALIANO CHE COMBATTE L’ISIS, CHE PER ASSURDO È INDAGATO DALLA MAGISTRATURA. 

Fino a qualche anno fa, prima della crisi economica, sentivamo spesso dire che i giovani erano molli, erano da sempre abituati alla vita comoda, ad avere tutto e non volevano adattarsi. Si facevano e ancora si fanno discorsi moralisti del genere: “questi ragazzi d'oggi non hanno voglia di rimboccarsi le maniche ed adattarsi, preferiscono stare sulla sedia col cellulare, nell’attesa che il campanello suoni e li portino in Ferrari a lavorare in banca, al ministero o in qualunque ufficio.” Si elogiavano gli anziani genitori che da una vita si spaccavano la schiena con dei lavori duri ed umili per mantenere i figli nullafacenti, ingrati e che facevano finta di studiare. Si toccava altresì il tasto migratorio: “abbiamo bisogno di manodopera estera, ci andassero questi giovani a fare quei lavori!” Il cantante Povia nel suo brano “Immigrazia”, in cui non ce l’ha con l’immigrato ma col sistema che vuole imporre un neoschiavismo per fini elettorali, approfittando della debolezza delle generazioni di oggi, e per far aumentare il Pil, afferma che una volta i figli crescevano duri perché i loro padri erano duri, mentre oggi crescono molli perché siamo tutti molli e dei versi della canzone recitano: “….mentre tu fissi il lampadario, ti fregano il salario,…., mentre tu stai sulla sedia, l’immigrato lui s’insedia….”  

A condizioni di lavoro accettabili i ragazzi farebbero tutti i tipi di mestiere. Dipende anche dalle condizioni economiche o dalla volontà della famiglia d’origine del giovane: se uno proviene da una famiglia con problemi economici è chiaro che dovrà cercare tutti i lavori senza far tanto lo schizzinoso, mentre se appartiene ad una famiglia benestante, se la sua famiglia glielo consentirà, egli potrà trovare con calma il lavoro che più si addice alle sue aspirazioni. Se uno potesse scegliere se avere un’occupazione manuale ben retribita ed essere vicino casa, piuttosto che svolgere una mansione superiore in una distante località e fare il pendolare con tutte le problematiche che ne derivano, non è detto che scelga la seconda soluzione. Oggi assistiamo a qualche lieve segnale di controtendenza, a causa della crisi economica ed occupazionale: giovani e meno giovani sono costretti a cercare, spesso senza riuscirci, tutti i mestieri a disposizione e se non trovano emigrano (L’emigrazione sarebbe stata molto superiore in questi decenni se non fossero stati creati i maggiori centri occupazionali del nostro territorio: Latina, Aprilia, Cisterna, che si allargò notevolmente grazie alla bonifica, Pomezia, Colleferro, Guidonia. E chi fondò quelle città?) Alcuni dei privilegiati, di quelli che non conoscono crisi e che prima facevano quelle paternali perbeniste, citate pocanzi, oggi se le rimangiano: infatti qualche volta disdegnano coloro che trovano qualche lavoro al di sotto dei loro precedenti mestieri o delle loro aspirazioni. Anni fa ero in una frazione di Civitavecchia: c’era una coppia che stava per sposarsi ed aveva un bar e un locale che fungeva da pizzeria; una sera involontariamente li sentii che discutevano animatamente tra loro e alla fine lei concluse bruscamente verso di lui con: “sei un comune pizzettaro!” Questo per dire che nelle persone interiormente si possono trovare delle caratteristiche diverse dalle apparenze.

Questi discorsi fatti finora non si addicono alla società italiana pre – boom economico, nella quale la maggioranza dei cittadini era costretta a svolgere i lavori più faticosi per cercare di campare, non sempre dignitosamente. La tecnologia che c’è oggi e che riduce la fatica fisica, nella prima metà del ‘900 era alle prime armi e la collettività non ne usufruiva pienamente. Perciò tutti erano abituati a faticare e a tribolare; anche la mortalità giovanile era elevata, per cui quando arrivano le frequenti guerre non era tutto quel dramma che ci sembra a noi che siamo fragili, perché da sempre abituati a questa società. Mi spiego meglio: non è che gli uomini del passato fossero felici di andare a combattere e a morire, erano molto più preparati di noi ad affrontare quei drammi, perché cresciuti in una società in cui erano abituati a penare. In dei raduni militari mi è capitato di ascoltare le testimonianze di alcuni reduci della Seconda Guerra Mondiale e della Battaglia di El Alamein; gli stessi dicevano di essere fieri di aver servito i loro reparti e che noi difficilmente avremmo capito la loro tenacia e loro caparbietà di allora. Sono i valori patriottici di un tempo, oggi scomparsi dalla nostra società, non propriamente del Fascismo ma della stato liberale precedente nato dal Risorgimento.
Oggi non ci sono folle oceaniche di giovani italiani, di giovani occidentali, che scelgono di combattere per una giusta causa, eppure qualcuno se ne trova. C’è un italiano che combatte in Ucraina contro i russi, tuttavia il caso più eclatante è quello di Karim Franceschi (nato a Casablanca da padre italiano e da madre marocchina), il quale da qualche anno combatte l’Isis in Iraq al fianco dei Curdi. Egli ha effettuato questa scelta di vita, dopo aver servito l’Esercito Italiano per tanto tempo, perché intelligentemente pensa che se lo Stato Islamico non verrà fermato gli attentati in Europa non cesseranno e un giorno il califfato arriverà a casa nostra. Lo stesso ha altresì avuto l’amara sorpresa di essere indagato dalla magistratura italiana: combatte per proteggerci ed ha delle grande giudiziaria, roba da matti!

mercoledì 11 ottobre 2017

367) GLI ANNI DI PIOMBO, OGGI QUASI DIMENTICATI



DOPO PIÙ DI SETTANT’ANNI ANCORA CI OSTINIAMO A RICORDARE I DRAMMATICI EVENTI DELL’ULTIMA GUERRA MONDIALE COME FOSSERO ACCADUTI IERI, TRASCURANDO LE PROBLEMATICHE ATTUALI. EPPURE DURANTE GLI ULTIMI SETTE DECENNI ABBIAMO VISSUTO ALTRI ANNI TRAGICI, I COSIDDETTI “ANNI DI PIOMBO”, CHE OGGI SONO QUASI CADUTI NEL DIMETICATOIO.

Sono passati settantadue anni dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale, tantissimi, ma le rimembranze, che sono state trasmesse da chi l’ha vissuto verso le successive generazioni,  sono indelebili, tanto da collocarle nel passato recente. Oggi sono scomparsi quasi tutti coloro che vissero quel conflitto in età adulta, mentre ci sono ancora molti testimoni che vissero quella guerra nella fanciullezza e nell’adolescenza. Tra quelli che non la ricordano o che non l’hanno vissuta si scatenano animate discussioni ed animati dibattiti con discorsi tipo: “le colpe furono di quelli!; ma se le guerre in quel periodo erano la prassi!; i partigiani hanno liberato la nazione!;, no sono stati gli angloamericani, ma anch’essi si macchiarono di crimini con i bombardamenti!; le stragi naziste si, ma ci sono state anche le stragi partigiane e così via.“ Quel conflitto fu senza dubbio un'immane tragedia, non lo nego, è bene ricordarlo ogni tanto, onorando chi perì, civili e militari, ma sarà meglio non fossilizzarsi troppo su argomenti e su ideologie morti e sepolti, fuori tempo e fuori luogo. Noi ci scaldiamo tanto per dei fatti di tanto e tanto tempo fa e intanto ci sfilano la terra sotto i piedi, si preparano attentati, eccetera. Dopo settant’anni ancora si mettono delle lapidi per onorare i deceduti di quella guerra, è giusto, ma che senso ha farlo oggi se non lo fecero a suo tempo quando il ricordo era freschissimo? Quelli della Bosnia, del Libano, della Siria, sentendo quei discorsi, si faranno delle risate amare, dicendo: “voi parlate della guerra attraverso i libri di storia e i ricordi delle persone anziane, noi l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle!” Non abbiamo avuto delle guerre vere e proprie da settantadue anni a questa parte, è vero,  ma altri tipi di violenze ed altri tipi di guerriglie si.

A parte le guerre di mafia, che riguardano esclusivamente alcune regioni d’Italia e che si perdono nella notte dei tempi, l’intera nazione italiana ha attraversato un periodo drammatico e violento tra la fine degli anni 1960 (dopo le contestazioni del ’68 e l’autunno caldo) e gli inizi degli anni 1980, che fu battezzato con l’appellativo di Anni di Piombo” ed ebbe il suo apice nella seconda metà degli anni 1970 (il 1977 fu l’anno in cui le situazioni violente si impennarono vertiginosamente). In quel periodo gli estremisti politici di tutti gli schieramenti (rossi, neri, anarchici ed altri) commettevano attentati terroristici, omicidi mirati, si scontravano in piazza e nelle università. Secondo alcuni scrittori l’origine del terrorismo sarebbe da attribuire ad un tentativo di colpo di stato: il cosiddetto Piano Solo del 1964.  Ecco alcune delle più note sigle terroristiche: Gap, Nap, Pac, Br, Nar, Nuclei Armati per il Comunismo, Ordine Nuovo, Ordine Nero, Terza Posizione, Avanguardia Nazionale. La Seconda Guerra Mondiale fu senza dubbio molto più drammatica, ma gli anni di piombo non sono stati da meno. Rispetto alla guerra, negli anni di piombo la gente comune, le cui condizioni economiche e sociali erano profondamente cambiate dal conflitto, fu coinvolta solo in minima parte, principalmente nelle stragi nelle piazze, nelle stazioni, nei treni; quasi tutti i delitti commessi erano mirati: riguardavano i politici, i giornalisti, gli iscritti ai partiti (in particolare i missini) e gli appartenenti alle forze dell’ordine. I martiri di quest’ultima categoria provenivano in maggioranza da famiglie povere, mentre gli assassini, che facevano della militanza proletaria la loro bandiera, appartenevano a famiglie agiate, erano dei figli di papà. 


 Immagine icona degli Anni di Piombo scattata a Milano in Via De Amicis il 14 maggio 1977: un terrorista uccide un vicebrigabiere

Molti terroristi ripararono all’estero per sfuggire a delle condanne certe ed addirittura alcuni stati li hanno protetti per anni ed ancora li proteggono; se ne parla anche in questi giorni: è il caso di Cesare Battisti, che scandalosamente fa la bella vita protetto dal Governo Brasiliano, anziché marcire in qualche prigione dello Stato Italiano per i suoi cinque omicidi.  L’organizzazione terroristica più famosa fu senza dubbio quella delle Brigate Rosse, che, tra le molte azioni eclatanti, riuscì a rapire ed a uccidere lo statista democristiano Aldo Moro nella primavera 1978. L’avvenimento più violento e sanguinario fu la strage alla Stazione di Bologna nel 1980. Mentre per alcuni attentati furono condannati dei terroristi di destra, altre stragi ebbero dei processi andati a vuoto, rimanendo senza colpevoli, e si seguirono delle piste alternative oltre a quelle ufficiose: mafia, terrorismo palestinese, loggia massonica P2. Si parlava di “strategia della tensione”, ovvero la destabilizzazione del paese che doveva portare ad una svolta autoritaria. Qualche maligno avvalora la tesi delle stragi di stato, che servivano per provocare terrore e paure, al fine di isolare le parti politiche estreme, che in quegli anni andavano forte (negli anni ’70 sia Msi che Pci raggiunsero i loro massimi storici in %) per rafforzare i partiti di centro governativi. Infatti dopo il delitto Moro il Pci subì una perdita di voti e terminò il compromesso storico: i governi Andreotti monocolori Dc (1976 – 1979), appoggiati esternamente dai comunisti.  Sono dei grandi misteri di cui pochissimi sanno le risposte certe; anche noi comuni cittadini possiamo aprire dei dibattiti su quel drammatico periodo della nostra storia con documentazioni e ricerche e tireremo le nostre conclusioni. Quello degli Anni di Piombo è un argomento poco dibattuto: invece di stare a fissarsi con l’ultima guerra mondiale bisognerebbe analizzarlo maggiormente.

sabato 30 settembre 2017

366) ARTICOLI INTERESSANTI SU RELIGIONE E PATRIA



Polonia: il rosario 'sui confini della Patria'
Appuntamento di preghiera e speranza fissato per il 7 ottobre

29/09/2017 08:57


Si svolgerà il prossimo 7 ottobre, in Polonia, la manifestazione religiosa “Rosario alle frontiere”, organizzata dai fedeli laici cristiani della Fondazione “Solo Dios Basta”. I cui responsabili hanno spiegato che quel giorno “una catena umana di persone si posizionerà lungo i confini della nazione e reciterà il rosario, per la Polonia e per il mondo intero”. All'iniziativa ha aderito anche la Conferenza episcopale locale: “Chiediamo a tutti i fedeli di partecipare. Preghiamo insieme: clero, persone consacrate e fedeli laici, adulti, giovani e bambini” si legge nella nota dei vescovi polacchi.

La giornata di preghiera (i dettagli sono illustrati nel sito www.rozaniecdogranic.pl) celebra anche il centenario delle apparizioni di Fatima nonché festa della Madonna del Rosario. Tale ricorrenza è stata introdotta dopo la grande battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, quando la flotta della Lega Santa sconfisse quella dell'Impero ottomano salvando l'Europa dall'islamizzazione. Una vittoria che secondo i cristiani oltre al valore dei combattenti è dipesa anche dall'intervento divino, invocato appunto attraverso la recita del rosario. “La preghiera potente del Rosario – si legge nel sito dell'associazione organizzatrice dell'evento - può influenzare il destino della Polonia, dell'Europa e anche del mondo intero”. Oggi come allora.




Una Carta senza amor patrio
Terza e ultima puntata del viaggio nella Costituzione



Di amor patrio non si accenna minimamente nella nostra Costituzione e si può capire la ragione storica contingente: venivamo da una guerra perduta e dall’ubriacatura fascista e nazionalista, da un patriottismo esibito e guerresco, ed eravamo diventati di fatto un paese a sovranità limitata.
Tutto questo impose la sordina all’amor patrio.
Infatti di patria si parla nella Costituzione solo all’art. 52 a proposito della difesa dei confini; un tema per certi versi oggi più urgente che nel passato e per altri superato dopo Schengen e nella società globale. Ma l’idea difensiva della patria non può esaurire l’amor patrio che non si esercita solo in caso di necessità estrema, ma anche in positivo come un legame d’affetto, di identità e di storia.
Sparisce l’amor patrio, la cultura dell’identità italiana e la mazziniana religione della patria; di sacro restano i confini, oggi impunemente violati, e la difesa in caso di pericolo. La nostra Costituzione è troppo recente per fondare l’amor patrio e troppo vecchia per essere immutabile col nuovo millennio e a 70 anni dalla nascita.
La Costituzione non è immodificabile nel nome di una visione teologica della Carta, che Ciampi definì la nostra Bibbia laica; ogni Carta è figlia del suo tempo e nella nostra carta c’è tutto il sapore del Novecento, delle sue ideologie, dei suoi conflitti, del suo linguaggio.
Oggi per esempio difficilmente si esordirebbe dicendo che la nostra è una repubblica “fondata sul lavoro”, considerando che un’affermazione del genere non riguarda più l’assoluta maggioranza degli italiani. È un’asserzione nobile e significativa ma non è universalmente rappresentativa, se si considera che il prolungamento dell’età media e dell’età giovanile, più i flussi migratori hanno reso il nostro paese abitato in maggioranza da cittadini che non lavorano più o non lavorano ancora.
Meglio sarebbe in linea di principio stabilire che la nostra è una repubblica fondata sul rispetto della persona e della comunità, mediante i diritti e i doveri di ciascuno e di tutti, e dunque la libertà, il lavoro e la dignità dei suoi cittadini.
E sarebbe opportuno esplicitare nella Costituzione l’amor patrio e fondare la nostra democrazia sul principio di responsabilità personale e comunitaria e sulla finalità del bene comune. Sul piano degli ordinamenti, alcune modifiche ci sono già state, come la modifica del titolo quinto della Costituzione riguardo l’assetto federale.
Non sarebbe affatto inconcepibile se la nostra democrazia si riconfigurasse da repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, come la Francia o gli Stati Uniti. Ipotesi che i padri costituenti non presero allora in considerazione perché uscivamo dall’esperienza di una dittatura e si temeva il risorgere di leadership forti, autoritarie; ma oggi il presidenzialismo sarebbe pienamente legittimo e sacrosanto.
Peraltro c’è una lunga e rispettabile storia di proposte in questo senso: da Pacciardi a Craxi passando per Almirante, e poi il gruppo democristiano di Europa ’70 e il gruppo di Milano guidato da Miglio. Certo, le modifiche della Costituzione vanno fatte con maggioranze qualificate e non semplici, risicate e occasionali, perché devono esprimere una volontà larga, profonda e duratura.
Ma altre modifiche potranno darsi se si considera che siamo oggi nell’Unione Europea, viviamo in una società globale, ci sono i flussi migratori, nuovi scenari e nuovi reati legati alle nuove tecnologie, alla bioetica e alle violazioni della privacy. Senza considerare gli sconfinamenti dei poteri istituzionali.
La Costituzione in Italia non ha né i meriti né le colpe che le vengono attribuite; è rimasta sulla carta, non ha dato frutti, non è stata causa di progressi né di sciagure. Le carte costituzionali, soprattutto nei paesi mediterranei come il nostro, sono cornici, ma nessun’opera d’arte è stata giudicata dalla cornice.
Sono norme, carte da visita, ideologiche e rituali, regolamenti astratti, dichiarazioni di principio e di intenzioni generiche; ma la vita è altrove, la realtà è un’altra cosa, il mondo va per la sua strada.
Il problema vero non è quel documento, utile per capire lo spirito di un’epoca, i valori e i compromessi di una stagione, ma non per rigenerare un paese e dare una prospettiva di vita e di sviluppo.
Il nodo è un altro: dove si è cacciata l’Italia, qual è e dov’è il suo tratto comune, la sua presente e concreta fisionomia, i suoi punti salienti che la distinguono dagli altri paesi e la accomunano al suo interno?
Insomma bisogna avere una visione “laica” e non teologica della Costituzione, considerarla figlia e non madre della storia, dettata dal proprio tempo, dalle sue esigenze e dalle forze prevalenti dell’epoca e non dettata da Dio a Mosè sul Monte Sinai.
Una Costituzione da rispettare, non da imbalsamare e adorare; quindi  modificarla nelle sue parti più deperibili è un modo per rispettarla sul serio, rendendola viva e aderente alla vita di una nazione e al suo avvenire.
E comunque l’anno che verrà prima di essere il 70° della Costituzione sarà il centenario della Vittoria, il 4 novembre 1918. Se fosse quella la priorità, e se meritasse di essere ripristinata almeno per il centenario come festa nazionale solenne?
In fondo è l’unica data condivisa che ricorda l’unità degli italiani.
Se il comune proposito è rifondare l’Italia, il pericolo prioritario da cui dobbiamo salvarla è lo sfascismo trasversale e molecolare che la sta distruggendo. Occorre allora rifondare l’Italia sulla resistenza allo sfascismo imperante e su una vera lotta di liberazione antisfascista.