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lunedì 27 novembre 2017

372) VIVERE PIÙ A LUNGO POSSIBILE



OGGI LA VITA MEDIA SI È ALLUNGATA NOTEVOLMENTE, MA PRIMA DELLA FATIDICA SOGLIA DEGLI OTTANT’ANNI C’È UNA DURA SELEZIONE. NON BISOGNA MAI ESSERE ORGOGLIOSI DELLA PROPRIA SALUTE E DERIDERE CHI HA QUALCHE ACCIACCO, POTREBBE RITORCESI CONTRO. LE VITTIME DELLA MAFIA E DEGLI ABORTI. 





Anche quest’anno è giunto all’epilogo il mese di novembre, quando tradizionalmente si ricordano tutti i defunti. Non sono soltanto anziani i cari che ci hanno lasciato, sono la maggioranza, ci sono anche individui che hanno lasciato questo mondo prematuramente: dall’infanzia, agli anni della giovinezza e delle responsabilità. A chi non piacerebbe vivere novant’anni, cent’anni e oltre (ovviamente stando bene), tant’è vero che si considerano scomparse premature le morti a settantacinque o a ottant’anni (come si legge spesso in alcuni necrologi). In media oggi si vive più a lungo e meglio in confronto ai decenni e ai secoli passati, tuttavia più di qualcuno si perde ancora prima di arrivare alla fatidica soglia degli ottant’anni, il traguardo di vita augurale da raggiungere. Dopo quell’età tutti gli anni che si riusciranno a vivere saranno tutti guadagnati. Che cambiamenti rispetto a poco più di un secolo fa, quando un giornale di fine ‘800 scriveva: “un uomo anziano dall’apparente età di quarant’anni…….”


Nessuno conosce il proprio destino: non bisogna credersi onnipotenti perché si è giovani e non si devono nemmeno giudicare arrivate e finite le persone di una certa età; per prassi il vecchio dovrebbe morire prima del giovane, invece capita che non va sempre in quella maniera: è raro ma succede. Almeno gli anziani ci sono arrivati alla vecchiaia, noialtri bisognerà vedere. Ci sono delle persone che, superata la mezza età si avviano verso la vecchiezza, si vantano di stare in forma, in salute e denigrano i loro coetanei che iniziavano a mostrare qualche acciacco o qualche serio problema (Ecco una frase tipica: “ma non vedi quello? Non si regge in piedi e sta più di là che di qua, mentre io sono forte come un toro e sto in una forma strepitosa!). Qualche volta è successo che quelli che erano orgogliosi della propria salute si sono visti arrivare dei malanni più gravi di coloro che sfottevano e in delle circostanze questi ultimi hanno vissuto di più. Mai emettere dei verdetti sulle condizioni di salute altrui e proprie. Quando muore uno con il quale qualche persona era in discordia, in una seria lite o gli stava antipatico, la reazione che suscita in ella può essere  di vario genere, va dall'indifferenza al rimorso: dipende dai caratteri.


Un capitolo a parte meritano le morti per mano violenta, specialmente quelle di matrice della criminalità organizzata, come mafia, camorra, ndrangheta, e simili. Quel destino tocca a gente che ha avuto la sfortuna di nascere in posti sbagliati, non ha voluto tenere gli occhi chiusi o non ha voluto subire soprusi. C’è chi mette l’aborto al paro degli omicidi mafiosi, come ha fatto un prete, che ha  scatenato aspre polemiche paragonando Emma Bonino, autrice di molti aborti negli anni 1970, a Totò Riina, il vecchio capo della Mafia siciliana. Gli omicidi sono duramente puniti dalla legge e sono indiscriminatamente condannati da quasi tutta l’intera collettività, mentre ci sono coloro che non considerano l’aborto un delitto, anche perché è legale entro i primi due o tre mesi dal concepimento. Alla fine l’aborto è sempre una vita soppressa, sia se si considera una pratica lecita, sia se si considera un delitto. Dal punto di vista cristiano c’è misericordia se uno si pente sinceramente per qualunque mancanza, anche per le più gravi (come hanno spesso ricordato i vari pontefici parlando di mafia e di aborto), però non spetta a noi, in quei determinati campi, dare giudizi e condanne divine. 

domenica 19 novembre 2017

371) L'INNO NAZIONALE ITALIANO SENZA ITALIA



La sigla di chiusura dell’Italia

 di Marcello Veneziani



Con soli settantun’anni di ritardo, l’Italia s’è desta e nel mese dei morti si è data ufficialmente l’inno nazionale; ma a questo punto diventa la sua sigla di chiusura.
Erano anni che la destra, in solitudine, proponeva senza successo – neanche con i governi di centro-destra – di riconoscere l’Inno di Mameli come Inno nazionale; macché, l’inno figurava come il primo clandestino senza permesso di soggiorno.
Alla fine, di riffa o di raffa, con una proposta pieddina, Mameli entra con glorioso ritardo nella Gazzetta Ufficiale, ma nel frattempo il suo Canto degli italiani diventa il canto del cigno nazionale.
Il suo debutto come inno ufficiale sarebbe stato naturalmente con la Nazionale di calcio ai mondiali di Mosca, perché l’inno diventa veramente nazionale e popolare solo quando c’è di mezzo il calcio e la tv e viene cantato in tv, negli stadi, per le strade e nelle case; ma l’Italia – come ben sapete – si è giocata i mondiali.
Ergo, l’inno ufficiale servirà solo come colonna sonora delle performance di Mattarella e dintorni.
Considerando questa Italia con gli indicatori in picchiata – denatalità, mortalità, anzianità da record, evasione all’estero di ragazzi e pensionati, invasione di migranti, crescita del disavanzo, colonizzazione commerciale e da ultimo declino del calcio, bandiera nazionale – l’inno di Mameli arriva come una specie di marcia funebre o quantomeno sigla di chiusura, mentre scorrono i titoli di coda di uno Stato che non riesce a darsi una prospettiva di futuro.
Per decenni è stato impossibile dare dignità e rilievo all’inno nazionale; lo cantavano solo nello sport e nei raduni militari. Anche la destra lo rispettava fino a un certo punto, perché i monarchici e i nazional-risorgimentali preferivano la Marcia reale, i nostalgici della destra sociale e nazionale preferivano l’Inno a Roma se non i canti fascisti, e a sinistra trionfava il canto del lavoro, l’inno dell’Internazionale.
Inni con una solennità epica e storica più grandiosa e più coinvolgente, forse più poetici. Ma gli inni sono come i nomi di battesimo, non vanno distinti tra belli e brutti, in o out, ma tra significativi e insignificanti.
E l’Inno di Mameli evoca il legame nazionale, anche se propriamente più che la Patria evoca la Fratria, non la terra dei Padri ma la terra dei fratelli d’Italia.
Erano in pochi ad amare un inno nato nel risorgimento ma nel versante perdente, quello repubblicano. L’inno non ci accompagnò nelle due guerre mondiali né le imprese più significative della storia d’Italia. Restò come un’invocazione a Roma capitale in versione repubblicana e dunque apertamente antimonarchica e sottilmente anticattolica.
Senza dire, poi, che la musica di Novaro è sempre stata dimenticata come se di un inno valessero solo le parole un po’ retoriche e poco rispondenti al temperamento nazionale.
Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte… Però la morte precoce di Mameli a Roma combattendo per la repubblica romana, lo elevò al rango di eroe e di mito: desta ammirazione quel ragazzo che cantò l’Italia e si sacrificò in suo nome, non si limitò a scrivere un testo che esortava a esser pronto alla morte per l’Italia ma ci rimise davvero la vita.
Neanche per i 150 anni dell’Unità d’Italia, lo scorso 2011, fu possibile al governo Berlusconi dare solennità istituzionale all’Inno nazionale, per non scontentare la Lega di Bossi e per non irritare gli esterofili e gli internazionalisti di casa nostra.
In seguito nacque perfino un partito dall’inno, Fratelli d’Italia, guidato però da una sorella, Giorgia Meloni, che già dai tempi in cui era ministro della gioventù aveva cantato le lodi di Mameli in una mostra tricolore.
Ora, la scena pubblica non offre figure in cui riconoscersi, lo Stato è un’entità a cui nessuno mostra attaccamento; e sul piano politico avanza il deserto: cala l’ultimo astro Renzi, la sinistra si spappola, il centrodestra si ritrova intorno al corpo imbalsamato di Berlusconi, alcune regioni cercano autonomia e tanta Italia contro si vota a Grillo.
Ma ora, proprio ora, in piena decomposizione, ti arriva questo colpo di coda nazionale, questo inno retroattivo. Abbiamo l’Inno ma non c’è più l’Italia. L’Italia è morta, viva l’Italia.

 M. V. Il Tempo 19 novembre 2017

sabato 11 novembre 2017

370) DALLE ELEZIONI SICILIANE A QUELLE POLITICHE



LA VITTORIA DI NELLO MUSUMECI NELLE ELEZIONI REGIONALI DELLA SICILIA RILANCIA LA COALIZIONE DI CENTRODESTRA, CHE A QUESTO PUNTO PARTE FAVORITA PER LE PROSSIME ELEZIONI POLITICHE NAZIONALI.



Dopo la netta affermazione del centrodestra nelle votazioni amministrative della scorsa primavera, anche nelle elezioni regionali siciliane di questo autunno ha tirato lo stesso vento. Nel 2012 Musumeci perse per la divisione delle forze di centrodestra; oggi invece, anche se tutta la sua area l’ha sostenuto, non ha vinto facilmente come si poteva pensare, a causa della crescita del Movimento Cinque Stelle che ha sfiorato quasi un testa a testa con il vincitore. Per il centrosinistra il risultato conseguito è stato molto deludente; la stessa coalizione da un anno a questa parte ha incassato un filotto di sconfitte: referendum costituzionale, elezioni amministrative, regionali siciliane.

Evidentemente le politiche  che attua in campo nazionale ed internazionale non sono gradite dal popolo. Neanche il M5S riesce a sfondare: dopo aver avuto un’inaspettata esplosione di consensi al debutto, non riesce più ad allargarsi, complici le non cristalline gestioni dei comuni di Roma e di Torino, amministrate proprio dai penta – stellati. In questi contesti appare favorito il centrodestra per la vittoria alle prossime elezioni politiche nazionali: secondo gli ultimi sondaggi manca poco per ottenere la maggioranza che gli consentirà di governare senza larghe intese. 


C’è l’incognita Berlusconi: potrà partecipare alla campagna elettorale, ma in caso di vittoria non potrà avere ruoli diretti nel governo prima del 2019. Egli potrebbe fare, a legislatura inoltrata, come Renzi fece con Letta, oppure attenderà la scadenza del mandato di Mattarella e si farà eleggere Capo dello Stato? Si, e quando ce lo manderanno sullo scranno più alto dello stato! Si scatenerà una campagna mediatica e giudiziaria, che al confronto quelle viste finora sembreranno barzellette. Hanno stabilito un patto secondo il quale il partito che prenderà più voti tra Lega Nord (che forse eliminerà “Nord”, lanciandosi come partito per tutto il territorio nazionale), Fratelli d’Italia e Forza Italia, indicherà, nell’eventualità di un successo, il Presidente del Consiglio dei Ministri. Berlusconi continua a parlare di moderati, di governo composto in maggioranza da professionisti non politici, nonostante il periodo che viviamo suggerisca tutt’altro, comprese le scelte estreme e radicali. Il moderatismo in questi tempi particolari non paga più: tant’è vero che le piccole particelle di centro disseminate di qua e di la (a seconda delle convenienze), ormai hanno delle percentuali irrisorie. Il nuovo centro è il movimento di Beppe Grillo: i suoi elettori, i suoi militanti, sono i nuovi centristi atipici e ribelli.

La legge elettorale è stata approvata finalmente, così non ci sono più ostacoli per andare alle elezioni: dovranno essere fissate tra fine febbraio e l’inizio marzo 2018, non oltre (l’ultima volta votammo il 24 e 25 febbraio 2013). Non si pensi di spostare le suddette votazioni ad aprile o a maggio prossimi.