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venerdì 31 agosto 2018

399) LA POPOLAZIONE DI CORI I È IN DECLINO



LA POPOLAZIONE DI CORI DA QUALCHE ANNO È IN DIMINUZIONE, A CAUSA DEI NATI CHE NON SUPERANO IN NUMERO I MORTI E PER L’EMIGRAZIONE IN ALTRI SITI. IL PAESE È POCO VIVIBILE O SI SONO RIDOTTE LE OPPORTUNITÀ DI OCCUPAZIONE NEI DINTORNI? PROPOSTE PER IL RILANCIO.



Dando un’occhiata alle statistiche ISTAT, pubblicate sul sito tuttitalia.it, riguardanti il Comune di Cori (Cori+Giulianello), si può notare che la popolazione, dopo aver superato gli 11.000 abitanti, da qualche anno ha iniziato a scendere sotto quella soglia. Tra i motivi della citata diminuzione ovviamente c’è il numero dei morti che supera quello dei nati, ma questo elemento già da tempo influiva nel declino della popolazione in generale; ora un nuovo fattore si è aggiunto: l’emigrazione corese in altri luoghi da un po’ di tempo si è impennata vertiginosamente. Il numero degli stranieri residenti si è stabilizzato, non registra né cali, né aumenti: ci dà prova che l’esodo riguarda solo i coresi. Dal 2001 il numero dei residenti è andato costantemente aumentando, principalmente per i cittadini della Comunità Europea che arrivavano, passando, in 10 anni, da 10.534 abitanti, al picco massimo di quasi 11.300  residenti nel 2010 – 2011. Al 1 gennaio 2018 Cori la popolazione ammonta a 10.893: ha perso all’incirca 400 abitanti in 7 anni. 



Anche noi nel nostro piccolo rispecchiamo l’odierna tendenza nazionale all’emigrazione all’estero o in altri luoghi d’Italia che danno maggiori opportunità di farsi un futuro rispetto al nostro territorio, un tempo fiore all’occhiello occupazionale. C’è anche chi potrebbe fare a meno di trasferirsi altrove, invece preferisce andare a vivere in qualche ridente cittadina non molto distante, ritenendola a misura d’uomo, ricca di servizi essenziali e d’attività per lo svago ed il tempo libero e non località dormitorio. A Cori abbiamo avuto di tutto e non c’è rimasto quasi nulla: ferrovia, ufficio collocamento, dazio, banca autonoma, piscine, ospedale, ecc.; sono rimasti gli sbandieratori, poche tradizioni/usanze ed alcuni rinomati marchi vinicoli ed oleari.

Con la popolazione in diminuzione ritengo ingiustificato far edificare nuovi immobili, bisognerebbe rivalutare e valorizzare il centro abitato già esistente, per far sì che non venga abbandonato. Occorrerebbe rendere il centro storico accogliente e vivibile, far ristrutturare le antiche abitazioni con criteri antisismici, seguire dei piani per il colore, riportarci il commercio (bar, negozietti, artigianato), spostando i grandi supermercati fuori dal centro abitato, valorizzare le aree archeologiche di pregio (Tempio d’Ercole, Via Colonne, mura ciclopiche) per fare in modo che esso diventi attrattivo per i giovani  locali e per i villeggianti, e non sia solo una deteriorata maxienclave per immigrati e per anziani. Nelle periferie non guasterebbero qualche parcheggio e qualche marciapiede in più, uniti al miglioramento dei metodi di scolo delle acque.

Molte di queste proposte presumo che rientrino da tempo nei piani di tutte le amministrazioni comunali che si sono avvicendate negli anni, ma il nostro comune è povero: non ha potuto fare e non può fare tutto in autonomia senza gli aiuti degli enti superiori. Qualche cosa minima si può iniziare a fare per limitare la grande fuga: ad esempio battersi per evitare la chiusura del punto di primo intervento, riaprire le piscine comunali, ridurre le tasse di pertinenza municipale e, prendendo spunto dal governo nazionale, azzerare le spese superflue, diminuire i costi della politica locale, e con i soldi risparmiati iniziare ad effettuare qualche lavoretto per rendere più graziosi ed accoglienti Cori e Giulianello.

lunedì 20 agosto 2018

398) LE INFRASTRUTTURE PERICOLANTI E LA POLITICA


I PONTI CROLLANO, LA GENTE MUORE, I POLITICI SI ACCUSANO TRA LORO. TUTTI HANNO LE LORO RESPONSABILITÀ: O PER UN MOTIVO O PER UN ALTRO. 


Alla vigilia di ferragosto un viadotto che sovrasta Genova è crollato, provocando la morte di oltre quaranta persone tra vacanzieri e lavoratori. Sono imponenti i viadotti che passano sopra Genova: a me hanno sempre fatto molta impressione quelle rare volte che mi è capitato di passarci sopra, soprattutto guardando di sotto. Per alcuni, i ponti genovesi sono degli ecomostri: la definizione può anche essere azzeccata ma sono stati costretti a realizzarli per far sì che Genova, una delle città più industrializzate e produttive d’Italia, non rimanesse isolata e non avendo altre soluzioni, essendo l’abitato genovese stretto tra il mare e i monti (sarebbe stato molto più oneroso aprire le montagne o realizzarvi decine e decine di chilometri di gallerie).

Per svariati motivi avvengono i suddetti crolli: per l’elevatissimo numero dei mezzi a motore che circolano rispetto a quando furono costruiti, per i materiali di costruzione non sempre di prima qualità, per la costituzione del terreno dove hanno fondamenta le infrastrutture, per gli scarsi controlli e manutenzioni e per l’eccessiva burocrazia che ritarda le eventuali correzioni dei difetti e le riparazioni. I ponti ferroviari e quelli di epoche lontane sono sempre lì da decenni, da secoli: sopra di essi non passano carichi eccezionali, ma sarà sempre bene monitorare costantemente il loro stato.

I politici si accusano tra loro, unitamente ad “Autostrade per l’Italia” tutti hanno le loro colpe: sia quelli che governavano in passato, sia questi che ci sono ora. Molti allarmi di pericolo crollo per il “Ponte Morandi” di Genova sono rimasti inascoltati da parte della vecchia classe politica e hanno fatto costruire i giganteschi piloni di cemento che lo sostenevano a ridosso di palazzine molto popolate: è un miracolo che la strage non sia stata di proporzioni molto più imponenti. I membri di questo nuovo esecutivo sono stati applauditi nonostante tutto: la gente ha apprezzato la fermezza e la severità nell’indicare i principali responsabili, attivandosi immediatamente per azioni esemplari e clamorose. La Lega ha anch’essa governato in passato, sia in Liguria, sia nel governo nazionale. I Cinque Stelle, sebbene siano politicamente “verginelli”  hanno anche loro qualche pecca sulla coscienza: infatti quando si avviavano le procedure per la costruzione delle nuove bretelle autostradali  per alleggerire il traffico pesante, poiché si riteneva che i viadotti genovesi non sarebbero stati eterni e già si profilava il rischio crollo, essi dicevano che erano tutte delle favolette per giustificare l’enorme sperpero di denaro pubblico per delle inutili opere. Da quelle proteste partì il fronte contrario: le solite manifestazione, le consuete raccolte di firme, gli ordinari ricorsi a vie giudiziarie, eccetera. Ora invece Di Maio con la faccia di bronzo dichiara che i lavori partiranno a breve e già ci sono i finanziamenti. Visto cosa succede a dire a priori sempre di no, senza esaminare l’utilità dell’infrastruttura da realizzare?

Le indagini, i processi su questo crollo dureranno anni, decenni e troveranno qualche capro espiatorio che pagherà per tutti; la burocrazia sarà estremamente lenta e gli oppositori alle opere di interesse pubblico si faranno sentire. Qualunque cosa accadrà non farà tornare in vita coloro che ci hanno rimesso la pelle.

domenica 12 agosto 2018

397) VENEZIA GIULIA: LEMBO D’ITALIANITÀ



NELLA SOTTILE STRISCIA DI TRIESTE E DELLA VENEZIA GIULIA ITALIANA, STRETTE NEL MARE SLAVO, L’ITALIANITÀ E IL SENTIMENTO PATRIOTTICO SI SENTONO DI PIÙ CHE ALTROVE.


Trieste e Gorizia sono dei capoluoghi di provincia italiani di frontiera: essi hanno patito non poco gli eventi tragici del XX secolo. Mentre in altre zone di confine gli italiani sono presenti oltre lo stesso (vedi Svizzera italiana) o la loro presenza è molto limitata prima di attraversarlo (vedi Alto Adige), in Friuli Venezia Giulia la presenza italiana è delimitata proprio dalla frontiera. Sono esattamente cent’anni che Trieste e Gorizia appartengono all’Italia, dopo essere stati per circa seicento anni sotto l’egemonia austriaca. Nel corso del Primo Conflitto Mondiale molti giuliani irredentisti (dall'esempio di Guglielmo Oberdan a fine '800) attraversavano il fronte per unirsi al Regio Esercito Italiano: il Museo del Risorgimento e il maestoso Monumento dei Caduti, situati a Trieste, unitamente al grandioso Faro della Vittoria, ne rimembrano le gesta e il sacrificio; essi o caddero in battaglia o, se venivano catturati dagli austroungarici, venivano uccisi ugualmente, per tradimento. Dopo l’annessione della Venezia Giulia al Regno d’Italia, gli italiani, dopo secoli di sottomissione agli austroungarici e agli slavi, divennero l’etnia egemone, fra gli entusiasmi e le acclamazioni. 


Ancora oggi a Trieste sono presenti una minoranza slava e una ridottissima comunità tedesca; le chiese ortodosse e protestanti presenti nel capoluogo giuliano, oltre alla sinagoga, testimoniano come la città sia stata cosmopolita nei secoli. L’impronta austriaca nelle architetture è imponente: ne sono testimonianza gli eleganti edifici di Piazza Unità d’Italia e del Castello di Miramare con il suo maestoso parco, questi ultimi furono creati dall’arciduca Massimiliano d’Asburgo e sono posti nel lungomare triestino, dove la gente prende il sole sopra i marciapiedi e trova l’ombra tra gli alberi. Ma i monumenti simboli di Trieste sono senza dubbio il Castello e la Cattedrale del patrono San Giusto, arroccati su un’altura che domina la città e non mancano reperti dell’antica Roma. Il campo di concentramento della risiera di San Sabba e la foiba di Basovizza sono le testimonianze degli orrori che ha vissuto Trieste nella Seconda Guerra Mondiale. Nel dopoguerra molti giuliani in fuga dall’Istria si rifugiavano nel libero territorio triestino per sfuggire alla pulizia etnica. Nel 1954 la città tornò all’Italia a titolo definitivo: perse il suo naturale retroterra divenuto jugoslavo, nonostante questi problemi tirò un sospiro di sollievo tornando alla madrepatria. La ridotta zona della Venezia Giulia rimasta italiana fu unta al Friuli: oggi esiste una rivalità tra le due componenti della regione.

Pure Gorizia, durante la guerra fredda, ebbe non pochi problemi: infatti la città fu definita la Berlino d’Italia, essendo divisa in due da barrire e fili spinati. Ancora oggi ci sono Gorizia italiana (i 2/3 della città) e Nova Gorica jugoslava. Gli italiani la bombardarono pesantemente nel 1916, prima di entrarvi (c’è la famosa canzone il cui ritornello recita: Oh Gorizia tu sei maledetta/Per ogni cuore che sente coscienza/Dolorosa ci fu la partenza /E il ritorno per molti non fu) e quando la presero definitivamente nel 1918 ripristinarono come simbolo di italianità, nell’entrata principale del suo castello, il Leone di San Marco, il quale fu rimosso dopo la fine della brevissima occupazione veneziana di alcuni secoli prima.


Con la smantellamento della cortina di ferro l’economia goriziana ha subito dei risvolti negativi: molte caserme militari hanno chiuso, i militari e le loro famiglie sono andati via e tutti si muovono liberamente oltreconfine, dove tutto costa di meno. Franco Basaglia iniziò la battaglia per l'abolizione dei manicomi da Gorizia e la legge che li ha soppressi porta il suo nome. Dista pochi chilometri, in territorio sloveno, la località di Kabarid (Caporetto); io era assieme ad altri turisti da quelle parti, quando una guida ci ha riferito che lì è presente un museo sulla “vittoria di Caporetto”. Tutti quelli che erano con me si sono meravigliati ed indignati perché per noi italiani la battaglia di Caporetto fu una grande disfatta, ma che gettò le basi per la definitiva vittoria e tutti loro hanno ricordato, con un pizzico d’orgoglio, le gesta dei propri avi: “mio nonno classe ’84, mio bisnonno classe ’99, eccetera”.

Un’altra località che ha subito danni nel corso della guerra ’15 – 18’ è stata Cividale del Friuli, un’interessante cittadina, centro di rilievo in epoca longobarda. Poi c’è Aquileia, antico capoluogo della provincia romana “Venetia et Histria” e nel Medio Evo sede patriarcale. Grado è posto sulla parte finale della laguna veneta, in territorio friulano, ed ha la sua storia, ma è più conosciuta come località balneare.

Ho parlato delle città e delle cittadine che ho visitato in una breve vacanza, tramite viaggi organizzati con guide turistiche ed audio guide. Visitando quei luoghi, non soltanto ricchi di cultura, storia, arte, ma anche situati ai confini dell’italianità, che hanno sofferto tanto per tal motivo e dove hanno combattuto per portare a compimento il Risorgimento, i loro abitanti si sentono più italiani che altrove e  con maggior orgoglio patriottico. Idem per chi non è del luogo e vi capita: documentandosi sulle loro sofferenze, tragedie, battaglie per unirsi alla patria, uno riscopre la fierezza e l’orgoglio patriottico che spesso dimentica.