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martedì 28 aprile 2009

10) COMMILITONI RITROVATI: CHE EMOZIONI!



Ho ritrovato alcuni miei commilitoni, come avevo accennato in questo blog, al 2) RICORDI BERSAGLIERESCHI, stavo pure meditando di uscire da quel grosso canale di comunicazione che va tanto di questi tempi, vorrà dire che resterò ancora per un po’ di tempo. Ho ritrovato soltanto un militare di truppa e due ufficiali, non so se più in là mi capiterà di ritrovare altri miei amici militari di leva, quasi tutti originari dell’Italia del sud, del profondo sud, calabresi in maggioranza. Questa gente del meridione dà l’anima per l’Italia, ancora oggi nelle forze armate sono la maggioranza, servono con onore la patria, garantendo la sicurezza di tutti noi, senza mai lamentarsi. Come già ho detto quando c’ero io al Primo Bersaglieri La Marmora di Civitavecchia i semplici militari di truppa provenienti dalle Calabrie erano moltissimi: avevano l’incarico 30a, il più operativo, vale a dire fucilieri assaltatori, loro stessi si vantavano di ciò, dicendo che in tutte le caserme operative c’erano loro, i più duri, i più massicci di tutti, tra i meridionali e tra gli italiani in generale. Non si facevano mettere sotto dai napoletani (campani) più anziani: dicevano che il napoletano è chiacchierone, mentre il calabrese, come il siciliano, è di poche parole ma di più fatti; le antiche storiche rivalità all’interno del Regno delle Due Sicilie. Comunque sono persone rispettose: se tu li rispetti e non fai loro nulla, essi rispettano te. Molti di loro erano studenti universitari fuori sede e avranno seguito le loro strade dopo il congedo, mentre altri per sfuggire alla grande piaga della disoccupazione meridionale ora sono divenuti infermieri, dopo aver frequentato l’apposita scuola, hanno sfruttato quest’occasione sapendo che in quel ramo c’è carenza di personale: dopo che costoro hanno vissuto l’esperienza dei campi, degli assalti armati, delle missioni in Italia, possono mai far loro impressione dei corpi aperti in una sala operatoria o degli ammalati in una corsia?


  
  ..........E NON HO PIU' PAURA............


Non è detto che chi come me aveva altri incarichi, o da ufficio o da autiere, oppure chi non ha svolto il servizio di leva, sia più vulnerabile, dipende dalla personalità e dalle esperienze che ha acquisito nella sua crescita, ma sicuramente aiuta molto nella formazione di un uomo e nella sua maturità il servizio di leva, per questo hanno fatto male ad abolirne l’obbligo: pensiamo ad esempio a quando si porta soccorso a dei terremotati o a degli alluvionati, oppure quando si mantiene l’ordine pubblico in un paese instabile politicamente, tenendo alto il nome dell’Italia.

Per concludere comunico che il 20 giugno 2010 il Generale Ottavio Renzi ha fissato il megaraduno per tutti coloro che hanno prestato il servizio di leva a Civitavecchia, nella Caserma D’Avanzo, sede del 1° Reggimento Bersaglieri La Marmora. Oltre a me, ci sono stati anche altri di Cori operanti in quella caserma, ma l’annuncio vale pure per non coresi che dovessero imbattersi in tale blog. Chi fosse interessato può far pervenire i propri dati (nome, cognome, scaglione, recapiti) all’indirizzo di posta elettronica: siamoquellidelprimo@libero.it

martedì 21 aprile 2009

9) NATALE DI ROMA (XXI APRILE 753 A. C.)

Secondo una legenda Roma è stata fondata il 21 aprile 753 A.C. da Romolo, che ne fu il primo re, dopo aver vinto una disputa con il fratello gemello Remo, lo uccise, tracciò il perimetro sui sette colli e le diede il nome. Sempre secondo una legenda i due gemelli erano figli di dèi, furono allattati da una lupa nell’area della futura Roma, crebbero nella potente Alba Longa (nei pressi dell’odierna Albano Laziale), ai tempi in cui Cora da secoli era un’importante cittadina e coniava propria moneta. Finita l’era dei sette Re di Roma, la città stato divenne una repubblica e iniziò a muovere guerra contro le popolazioni vicine: etrusche, dalle quali subì influenza, e Latine. Cora molte volte fece parte delle leghe delle città latine e volsche che fecero guerra a Roma, tra guerre e paci, fino alla definitiva assimilazione, quando il condottiero corano Pubblicio Anco fu sconfitto, trecento ostaggi delle migliori famiglie di Cora e Pometia vennero trucidati nel foro romano da Appio Claudio. Cora sottomessa a Roma e facente parte della Repubblica Romana, che continuava ad espandersi nella penisola italiana, fu elevata a municipio dopo le guerre tra Mario e Silla e i suoi abitanti ottennero la cittadinanza. Arrivò per Roma il momento dell’Impero, dopo aver soggiogato tutte le popolazioni mediterranee, la decadenza, tra invasioni barbariche, fine dell’Impero, cristianizzazione, riconquiste bizantine e nuovo Impero di Carlo Magno, fino alla creazione dello Stato della Chiesa, in cui la città acquisì di nuovo prestigio essendo sede del papato: il papa allora era  considerato più potente di re e imperatori. Fu capitale dello Stato della Chiesa, che comprendeva quasi tutto il centro Italia, sede temporale e spirituale, fino al 1870, tranne brevi interruzioni. Quando i piemontesi unificarono l’Italia scelsero la città per capitale del nuovo Regno d’Italia, poi Repubblica Italiana, ma ci volle ancora qualche decennio per risolvere la contesa con la Chiesa Cattolica e così creare lo Stato della Città del Vaticano, all’interno di Roma. Il fascismo fece rivivere il mito di Roma imperiale, come dimostra “L’Inno a Roma” e in quel tempo il giorno 21 aprile divenne festa nazionale al posto del 1 maggio.




Già si è parlato delle guerre tra Cora e Roma, un altro fatto importante dei rapporti tra le due città, fu la donazione da parte di Cora della statua della Minerva a Roma, un altro fatto è quando si stipulò, tramite il senato, dei patti in cui Cora ricevette la sigla SPQR e la salvò dalle pretese dei signorotti locali. Nonostante gli storici e buoni rapporti, a Roma, a noi del sud Lazio ci appellano spregiativamente burini (da burrus, bovino con il naso rosso, o da buris, ovvero il manico dell'aratro, era l'appellativo riservato ai pastori della provincia che si recavano in città) e ciociari, pure se non siamo veri ciociari. Voglio vedere quanti veri romani ci sono a Roma, perché non dimentichiamo che molti sono di origine meridionale, a questo punto noi dovremo essere superiori a loro. Quando ci incontriamo con le altre persone d’Italia e ci chiedono di dove siamo, noi rispondiamo: “della provincia di Latina!” Loro allora esclamano: “Latina? Ah, allora siete romani!” Oppure a noi, che abbiamo un dialetto ben distinto dal romano, che quando parliamo civile non parliamo un italiano perfetto ma parliamo una sorta di romano, possono identificarci per romani le persone di altre zone d’Italia. Ma alcune persone, che non sono della nostra regione, possono essere a conoscenza della distinzione tra romano e burino/ciociaro e quando diciamo da dove veniamo ci identificano subito con quei termini dispregiativi. Latina e la Pianura Pontina essendo aree di recente costituzione, la cui popolazione è di origine settentrionale, non c’entrerebbero nulla con queste classificazioni. Le popolazioni dei monti della provincia di Latina, alcuni paesi dei Castelli Romani, i paesi Ciociari e i paesi abruzzesi hanno un ceppo dialettale comune, diverso dal dialetto romano, che più che un dialetto si tratta di una lingua italiana storpiata, anche se i paesi laziali ne subiscono influenza.

A discapito di quanto se ne dica la città di Roma ha 2.800.000 abitanti e non 4.000.000, può arrivare quella cifra con la sua provincia: la gente non ne può più della stressante vita caotica della grande città e preferisce trasferirsi nelle cittadine limitrofe; fino agli anni ’80 la città è stata polo di attrazione di gente, come avviene oggi per le popolosissime città del terzo mondo. Non mancano i numerosi pendolari del nostro paese che quotidianamente vi si recano e coloro che vi fissano stabile dimora provenienti da tutte le parti, pensando chissà a quale grande traguardo hanno raggiunto, snobbando le proprie origini. Mi è stato narrato l’episodio di mia nonna che quando era incinta di mia madre si trovava a Roma, mio nonno prestava servizio nella Regia Guardia di Finanza e si dividevano tra Roma e Cori, quando il tempo stava terminando, volle tornare a tutti i costi a Cori, perché teneva a far nascere mia madre nel suo paese, rischiando anche un po’: eravamo nei primi mesi del 1943, che fu un anno cruciale nella storia d’Italia, nel cuore della Seconda Guerra Mondiale, con gli aerei alleati che ormai spadroneggiavano nei cieli. Allora si teneva molto alle proprie origini al contrario di oggi, dove può succedere che alcune ragazze vanno spontaneamente nella città capitale d’Italia per cercare persone influenti, ricche e potenti che possano inserirle nei salotti che contano del mondo dello spettacolo o in altri settori, alcune volte il sogno si avvera, ma non si rendeno conto che sotto sotto quei personaggi sbeffeggiano “le paesane arretrate dei paesi del santo protettore, del parroco e delle processioni”. Il matrimonio in chiesa per costoro è ormai passato di moda, ora va di moda sposarsi nella sala delle cerimonie del Campidoglio e i loro matrimoni durano pochi mesi o pochi anni. Sono più moderni, sono più avanti, ormai la religione è superata, nonostante risiedano nella capitale del Cattolicesimo, ormai va di moda il multiculturalismo e altre scemenze simili: hanno i miliardi, il successo, cosa vogliono di più? Non dico ciò per invidia, ma per renderci conto di dove stiamo andando, perdendo tutto. Roma la rispetto come capitale d’Italia, per la sua ultramillenaria storia, per i suoi monumenti ammirati e invidiati da tutto il mondo, ma per le altre cose lasciamo perdere.

NINO MANFREDI E' L'ESEMPIO DEL CIOCIARO DIVENUTO ROMANO: NESSUNO MISE MAI IN DISCUSSIONE LA SUA ROMANITA', TUTTI LO AMARONO COME VERO CUORE DI ROMA.

giovedì 9 aprile 2009

8) UNA PASQUA DI TERRORE

La settimana santa è la parte dell’anno liturgico più importante che dice tutto del messaggio cristiano: vale a dire la morte e la risurrezione, come avvenne per Gesù Cristo avverrà per ciascuno di noi. Prima di risorgere ha dovuto soffrire molto per morire: secondo la dottrina cattolica ha fatto ciò per salvare noi. Ironia della sorte durante le sofferenze simboliche della settimana santa c’è stato un violentissimo terremoto che ha colpito le popolazioni dell’Abruzzo: ha provocato morte, distruzione e purtroppo le sofferenze non termineranno domenica con la Pasqua, come successe a Nostro Signore nel suo giorno trionfante.




Alcuni si chiedono come Dio può permettere ciò, i sacerdoti rispondono che Dio ha creato il mondo con tutti i fenomeni naturali e le case che crollano sono opera degli uomini. Ognuno di noi faccia la propria parte per alleviare le sofferenze di quella gente, chi in un modo, chi in un altro e io penso che in questi momenti la fede può in parte consolare. Questa volta voglio fare un elogio a Bruno Vespa che da abruzzese  e da aquilano ha narrato queste vicende con la morte nel cuore senza far intravedere un briciolo di emozione. È una cosa straordinaria la gara di solidarietà del popolo italiano che ha sempre dimostrato in questi avvenimenti di terrore: perché uno può sempre pensare, "se fosse successo a me?" Non dimentichiamo che nel nostro comune il rischio sismico è elevato (2° livello), anche per la vicinanza ai Colli Albani: milioni di anni addietro erano dei vulcani che poi si spensero e divennero laghi; le attività vulcaniche e i terremoti sono connessi tra loro. Nel corso dei secoli ci sono stati terremoti a Frosinone e a Velletri ma il nostro paese né risentì in piccolissima parte: il Tempio di Ercole è ancora in piedi; secondo un detto antico si diceva che i fossi salverebbero Cori dalle onde telluriche. Un po’ in tutta Italia il rischio sismico è elevatissimo per via della zolla africana che spinge verso l’Europa e nel corso dei millenni ci sono stati moltissimi terremoti catastrofici. In base al rischio sismico, quando si costruisce o si restaura una casa bisognerebbe rispettare delle particolari normative che non rispetta quasi nessuno; in Abruzzo hanno fatto stupore alcuni edifici di nuova costruzione, in cemento armato, che sono venuti giù come castelli di carta: perché, per risparmiare e per non seguire le norme burocratiche, hanno edificato con materiali scadenti e non hanno rispettato i criteri antisismici in vigore dagli anni ’70. Alcuni anni fa a Salò ci fu un fortissimo terremoto, ma non fece né morti, né danni perché rispettarono i criteri di edificazione antisismici. In due aree soggette a violentissimi terremoti come il Giappone e la California i sismi non fanno alcun danno, quando la terra trema in maniera violenta, perché gli uomini sono molto abili a edificare quel tipo di costruzioni che fanno in modo che le abitazioni oscillino molto ma restino integre per una questione di pali maestri collegati. Dopo l’esperienza abruzzese da noi non starà più tranquillo nemmeno chi abita in edifici in cemento armato, si pensa: potrà venire giù qualche parete esterna ma lo scheletro dovrebbe resistere, bisognerà vedere con quali materiali sono stati costruiti; se dovesse accadere ci si dovrà posizionare al centro della stanza, attendere la fine della scossa e poi fuggire. Ma ci sono delle tecniche antisimiche pure per edifici storici e di vecchia edificazione che dovrebbero essere adottate al momento del restauro. Se qualche ingegnere o architetto dovesse imbattersi in questo blog ci farà piacere se potesse illustrarci questi argomenti in modo più dettagliato di come li ho illustrati io. Passata l’onta emotiva non ci penseremo più, torneremo a pensare alle nostre abitudini quotidiane e tutti noi festeggeremo la pasqua spensierati, con un minimo filo di tristezza, nonostante quella catastrofe: le Prime Comunioni che in genere si celebrano il giovedì santo, però per un fatto anomalo quest’anno al Monte non ci sono state, la messa secca del venerdì santo, la Via Crucis, le confessioni, la veglia pasquale, le omelie sacerdotali, le gite fuori porta, i pranzi, eccetera. Avrei impostato questo testo sulla pasqua se non ci fosse stato il terremoto e mi sarei concentrato sulle iniziative della pasqua corese che ho elencato.

Nnanzi ca zzicchi alla Madonna
ci stao le viacrùci e i levìti a tunno,
così se pò recampà bbè ssa riònna
e jo ngennóre óla péglio munno

(anonimo corese)


Finalmente quest’anno durante la quaresima sono tornate in uso le stazione della Via Crucis dislocate lungo la scalinata del Santuario del Soccorso: è proprio un luogo ideale, ricorda molto lontanamente la salita del Monte Calvario; sarebbe bello celebrarvi la Via Crucis pure il venerdì santo e c’è anche un ampio parcheggio all’area mercato per gli abitanti di Cori Valle che potrebbero organizzarsi con pulmini, che poi verrebbero sù a riprenderli. E’ bello soprattutto in momenti difficili come questo guardare a qualcosa che sta sopra di noi, penso anche ai tanti che avevano quel qualcosa a cuore più di me e che ora sono stati rapiti da altri interessi. Buona Pasqua a tutti comunque.

venerdì 3 aprile 2009

7) CIAO BAR DEI CACCIATORI



Ciao Bar dei Cacciatori, punto della mia vita dalla nascita ad oggi. Il bar ha cambiato gestione, dalla famiglia Cioeta è passato alla signora Anna Rita Del Ferraro, è stato completamente rinnovato ed è stato rinominato Art Cafè. Per molti anni quel caffè è stata l’unica attrattiva e l’unico luogo di ritrovo per i residenti di quello squallido quartiere, se non volevano scendere pochi metri più giù ed arrivare in Piazza Signina, il quale è sorto scompostamente, con le licenze edilizie che venivano rilasciate a vanvera. Dopo la ricostruzione della Cori storica dopo la guerra il sogno degli abitanti del centro storico di Cori Alto era farsi la casa al “lago”, che poi sarebbe divenuto il campo sportivo ed ora è l’area mercato. Mi racconta mia madre che quando era adolescente, una sua vicina disse alla madre: “se nnésce la palla ci facìmo la casa àglio laco!” (Se usciranno i numeri al lotto ci costruiremo una nuova casa vicino al lago). Piano, piano iniziarono a costruire intorno al campo sportivo, il culmine fu tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 e la generazione dei miei genitori, che si sposava in quegli anni, poteva acquistare nuovi alloggi a mutui agevolati. A nessuno venne mai in mente di creare marciapiedi, buone fognature e parcheggi lungo la via principale, solo le traverse interne di Via del Soccorso da quel punto di vista erano sistemate meglio, grazie ai privati però. Oggi la creazione dell’area mercato, con panchine, aiuole, campetto sportivo e baretto ha fatto in modo che quella zona ad altissima densità di popolazione avesse un nuovo luogo di ritrovo e non venisse classificata esclusivamente come quartiere dormitorio; il risanamento sarebbe proseguito su Via del Soccorso e Via del Casalotto se non fosse stato per cinque firme che ci hanno riportato indietro in un periodo tetro, cupo e di squallore che pensavamo fosse definitivamente alle spalle.


Per coloro che nacquero e crebbero lì, il degrado e l’incuria erano cose ovvie, scontate e non parve loro vero quando vennero realizzate opere di recupero. Ora i bambini e i ragazzi che popolavano quelle strade sono cresciuti, alcuni si sono sposati e sono andati a vivere in altre zone di Cori o in altre città, altri invece fanno gli “eterni ragazzi” o per scelta personale o per causa di forza maggiore: la colpa è della società in cui si vive e in cui si è cresciuti. Come già ho detto prima un punto fisso e di riferimento era il Bar dei Cacciatori, dove si incontravano il vecchio mondo contadino di Cori (già si nota dal nome) e le genti nuove della nuova società. I discorsi dei vecchi erano: la campagna, il frantoio, la caccia (alcuni entravano tutti sporchi di fango). I discorsi dei bambini, ragazzi, tra partite di pallone, o nelle strade o sù al campetto sportivo, erano molti: il calcio, dall’U.C. Cori ai grandi campioni stranieri in serie A, riprodotti negli album Panini; la scuola, quando si andava male la colpa era sempre dei professori “gli sono antipatico, mi ha preso di mira”, allora si andava “a segà fóri” o meglio “andare a far sega fòri”; le ragazze che si iniziavano a guardare in modo diverso nell’età dello sviluppo adolescenziale, ma spesso erano sogni impossibili perché erano molto più grandi. Si iniziavano a fare le prime fumate di nascosto, poi quando si cresceva e si andava fuori Cori con la macchina: quel caffè, insieme a quelli delle Piazze, erano sempre le basi. Saluto il Bar dei Cacciatori con una mia poesia omaggio che scrissi alcuni anni fa e che presentai ad un concorso di poesia; la feci leggere pure a Mario Cioeta, gli piacque, mi disse di mandargliela telematicamente che l’avrebbe messa nella sezione poesie dialettali del sito del suo bar. Da Ssina (con due esse) è il titolo, anche se Sina da alcuni anni è andata in pensione la denominazione del bar è rimasta quella ed anche ora che ha cambiato gestione; come i caffè di Piazza Signina, pure se hanno cambiato più gestioni, sono rimaste le denominazioni storiche per citarli: Jo Strammàro, La Coperativa, Ddèa. Grazie alla famiglia Cioeta ed auguriamo un “in bocca al lupo” ai nuovi proprietari.


Da Ssina                                                        DA SINA (dim. di Tomassina)
Alle casi mani jo lago, fatte a cazzo,                  Alle case attorno al Lago, costruite male,
ci sta, amméno, de Ssina jo caffè:               c’è almeno di Sina il caffè:

ndo’ Cori contadino e Cori recàzzo              dove Cori contadino e Cori ragazzo

se ntrùppano e se gghiàppano bbè;                 si scontrano e si prendono bene;
ci pò sta puro chiglio ‘sse nfrégna              ci può stare anche quello che si arrabbia
perché si jettàtto vastùni: comm'è?            
perché hai giocato bastoni: come mai?

E chine spera ca l’acqua no’ végna:               E chi spera che non piova:
«così chélla cria de vaca reccóglio            «così quel poco di olive raccoglierò
e jo montano me fa quìnici! Fregna!»          ed il frantoio mi farà 15 l x quintale! Caspita!» 

Jo cacciatore: «própia ’n ci ccóglio                 Il cacciatore: «sono proprio una frana
a schioppettà, mm'è scappato jo céglio!»         a sparare, mi è sfuggito l'uccello!»
Sbotta cóglio schioppo a tracóglio.                 Brontola con il fucile a tracollo

Jo recàzzo se ddimànna se è bbéglio        Il ragazzo si domanda se è bello
pe chélla: ci piaciarìa ìccela ‘ppetì;           per quella. gli piacerebbe chiedergliela;
la sonnarà “a mmodo sé”, è mméglio,       la sognerà a suo modo, è meglio,

’n casa. «Ma subbito, subbito ’n ci ì,           a casa.
«Ma subito, subito non andare,
levate de dosso jo fumo ‘lla saletta,          levati di dosso il fumo della saletta,
sennóra te assolecarào a ddì de sì            altrimenti ti picchieranno bene

 pecché te si fumata la pipparétta!»              perché hai fumato la sigaretta!»
«Jo strunzo professore me gguàglia!»           
«Lo stronzo professore mi rimprovera!»
«Pe chésso vé “a secà fóri” da’ retta!»    
«Per questo marina la scuola, dammi retta!»

«Dacci do’ petàte, no’ llo vì, se fraja!»     
«Dagli due patatine, non vedi, ha l'acquolina!»
«No’ le ò, se fa venì lo sango maro!»       
«Non le vuole, non vuol farsi compatire!»
«Mah, …jo pórcio refùta l’annàglia!»        «Mah, il maiale rifiuta la ghianda!»

«Platinì a Mmaradóna ci sarà paro?»      
«Platini sarà bravo quanto Maradona?»
«Méglio l’UcciCòri de Capoccìtto!»           
«E' meglio l'U.C. Cori di Capoccitto!»
Pélla raja de cazzotti ne tira no paro:        Per la rabbia tira un paio di pugni

tutti i sòrdi c’j’è panati jo giochìtto;           contro il videogioco, dove ha perso i soldi;

cóglio menatùro Ssina o Miliòtto
                con il mattarello Sina o Emilio
jo ngàrano allo largo che ss’éo restrìtto:   lo cacciano verso la loro area esterna allargata:

èo ntiso ssi discùrzi ‘glio giovenòtto,        hanno udito questi discorsi del giovanotto,
che ói la vita dàglio bare è levàto,            che  oggi la vita ha tolto dal bar,
delle Chiùse, 'gl'Arborìto e 'glio Casalòtto.   delle Vie Chiuse, V. Arboreto e V. Casalotto.

Ancora mo’ na biretta o nno ggelato,         Ancora oggi una birra o un gelato,
dai figli ‘Ssina, fa vedé nn’affanzia            dai figli di sina, fa vedere una fantasia

de nno munno ca tegno, ma è sbariàto!     di un mondo che ho dentro, ma è scomparso!