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sabato 12 marzo 2022

488) LA RIVOLTA CÒRSA NELL’INDIFFERENZA

NON C’È QUASI NESSUNA NOTIZIA SUI MEZZI D’INFORMAZIONE SULLA RIBELLIONE DEL POPOLO CÒRSO (A SEGUITO DELLA VIOLENTA AGGRESSIONE DI UN INDIPENDENTISTA IN CARCERE) CONTRO LE AUTORITÀ FRANCESI.

In questi giorni in Corsica è scoppiato il finimondo (degli scontri tra separatisti locali e forze militari francesi), ma pochissimi mezzi d’informazione italiani ne stanno parlando, poiché essi sono concentrati tutti sulla guerra in Ucraina. All’origine dei fatti ci sarebbe l’aggressione in carcere, da parte di un estremista islamico, su un noto esponente nazionalista còrso, Yvan Colonna, detenuto dal 1998 per l’uccisione del prefetto Claude Erignac. Ora l’aggredito è in coma e i rivoltosi non sono del tutto convinti sulla versione ufficiale, accusando il Governo francese di non aver fatto nulla per evitare il pestaggio del loro conterraneo. Nonostante i marinai còrsi abbiano cercato di impedirne lo sbarco, la Francia ha inviato le forze armate sull’isola per dare manforte alla gendarmeria nel contenere i dimostranti, formati da studenti, organizzazioni nazionaliste e sindacati. Gli scontri vanno avanti ormai da giorni. Nella notte tra mercoledì e giovedì fra Ajaccio, Bastia e Calvi, diverse barricate hanno preso fuoco. Si sono verificati anche moltissimi lanci di oggetti e di bombe molotov contro le forze dell’ordine. 

Manifestanti in Corsica

Nelle città italiane, tra il silenzio e l’indifferenza generale, si stanno organizzando delle manifestazioni di solidarietà e di vicinanza alla Corsica, da parte di coloro che sentono i còrsi come fratelli italiani. Non dimentichiamo che l’isola, pur appartenendo all’area geografica italiana, fa parte politicamente della Francia dal 1768, allorquando la Repubblica di Genova fu costretta a cederla ai transalpini, intervenuti per reprimere una rivoluzione, per i debiti contratti con essi, con la clausola che una volta saldati la Corsica sarebbe ritornata ai liguri. Gli indipendentisti Còrsi e gli irredentisti italiani puntano su questo punto, oltre che sul mancato plebiscito popolare per il passaggio di autorità (allora ancora non era prassi effettuare referendum e l’Organizzazione delle Nazioni Unite non esisteva). I nazionalisti còrsi, pur puntano sulla piena indipendenza e non intenzionati ad unirsi all’Italia, chiedono al nostro paese di far pressioni sulla Francia per far valere le clausole del Trattato di Versaglia del 1768, che sancì il passaggio della Corsica da Genova al Regno francese. Roma è troppo legata a Parigi per andare allo scontro (verbale) sulla Corsica. La soluzione finale, auspicata tra l’altro sia dai còrsi autonomisti, sia dagli italiani vicini alla loro causa, sarebbe quella di una Corsica indipendente: essendo un territorio povero, per non soccombere economicamente sarà costretta a legarsi all’Italia da qualche trattato, per giungere ad una sorta di Confederazione italo – còrsa. 


Bel dipinto a Pievepelago (Mo) con l'Italia includente la Corsica e non solo

Sarà molto difficile che questi raggiungeranno i loro obbiettivi e se ciò accadesse si aprirebbe un precedente pericoloso, incitando i separatisti di tutta Europa e anche d’Italia: ad esempio gli altoatesini potrebbero, dall’esempio della Corsica, staccarsi dalla Repubblica italiana ed unirsi all’Austria. Se così sarà probabilmente perderanno tutti i privilegi di regione autonoma italiana. Ma non andiamo troppo oltre, per ora seguiamo con attenzione l’evolversi degli eventi in Corsica.

lunedì 15 marzo 2021

464) CORSICA, ISOLA ITALIANA (PER GEOGRAFIA E CULTURA)


L’ITALIA FESTEGGIA I 160 ANNI DI UNITÀ POLITICA, MA ANCORA MANCANO DEI TASSELLI PER COMPLETARLA. IN CORSICA LA COSTITUITA ASSOCIAZIONE “PASQUALE PAOLI” HA LO SCOPO DI FAR RISCOPRIRE LE RADICI E LA CULTURA ITALIANA SULL’ISOLA, COME PRIMO PASSO VERSO LA DIFFICILE INDIPENDENZA DALLA FRANCIA.


IL 17 marzo 1861 a Torino fu proclamato il Regno d’Italia, dopo che c’erano stati vari conflitti per arrivarci. Per arrivare alla completa unità 160 anni fa mancavano ancora ampie porzioni di territorio italiano che furono redente negli anni, nei decenni successivi: 1866 Veneto, 1870 Roma, 1918 Trento, Trieste, Istria, Zara. L’Istria e Zara andarono perdute dopo l’ultima guerra mondiale, spopolandosi quasi interamente di italiani; oggi con la libera circolazione, nell’ambito dell’Unione Europea, alcune zone delle terre italiane che passarono alla Jugoslavia, potrebbero tornare a ripopolarsi dei discendenti italici dei giuliani – dalmati che scapparono per sfuggire alla pulizia etnica. In altri territori per geografia e per cultura italiani, come Nizza e Corsica, la scomparsa dell’italianità è avvenuta per altre ragioni. Soltanto la Savoia delle terre italiane passate alla Francia è sempre stata francofona. A Nizza, che diede i natali a Giuseppe Garibaldi e che appartenne a Casa Savoia per secoli, di italiano non c’è più nulla perché fu francesizzata completamente: i suoi abitanti dovettero cambiare i nomi e i cognomi dall’italiano al francese.

In Corsica invece solo in parte riuscì quell’operazione, poiché la lingua e la cultura corsa non riuscirono a cancellarla completamente. Oggi nell’isola la gente ha solo i nomi francesi, i cognomi sono molto simili a quelli italiani. La lingua corsa, parlata nella sua isola e anche a nord della Sardegna, deriva dal toscano (quindi dall’italiano); in molte parole (non in tutte) si differenzia dall’italiano solo per la u finale. Recentemente su quell’isola si stanno affermando dei movimenti politici autonomisti ed indipendentisti, i quali chiedono alla Francia il riconoscimento ufficiale dell’idioma isolano. Un tempo in Corsica anche l’italiano era lingua ufficiale, ma fu abolito a vantaggio del francese. Sono bene informato perché seguo attentamente un gruppo social della costituita “Associazione Pasquale Paoli” italo – corsa, il quale ha lo scopo di far riscoprire le radici e la cultura italiana sull’isola appartenente politicamente alla Francia. Questa associazione, fondata in parte da corsi trapiantati in Italia, ha come scopo finale l’indipendenza dell’isola e poi un’unione confederale con la Repubblica Italiana. Essa prende il nome dall’eroe corso Pasquale Paoli, che nei pochi anni di indipendenza dell’isola a metà ‘700, redasse una costituzione in italiano, nella lingua colta.

Statua al Pincio, Roma

"Siamo còrsi per nascita e sentimento ma prima di tutto ci sentiamo italiani per lingua, origini, costumi, tradizioni e gli italiani sono tutti fratelli e solidali di fronte alla storia e di fronte a Dio… Come còrsi non vogliamo essere né schiavi né "ribelli" e come italiani abbiamo il diritto di trattare da pari con gli altri fratelli d’Italia… O saremo liberi o non saremo niente… O vinceremo con l’onore o soccomberemo con le armi in mano... La guerra con la Francia è giusta e santa come santo e giusto è il nome di Dio, e qui sui nostri monti spunterà per l’Italia il sole della libertà." Pasquale Paoli

Il trattato di Versailles del 1769 (quando nacque il corso Napoleone Bonaparte che con la Francia sottomise l’Europa) stabilì il passaggio della Corsica dalla Repubblica di Genova (che la possedeva da cinque secoli circa) alla Francia, per i debiti contratti dai genovesi con i francesi, quando li invocarono per aiutarli a reprimere la rivolta corsa. In quel trattato c’era anche una clausola che stabiliva il ritorno della Corsica a Genova, se questa avesse pagato i debiti: su questo puntano gli indipendentisti odierni. Poiché la Repubblica ligure non esiste più, dovrebbe essere l’Italia a muoversi, ma al momento solo pochi parlamentari italiani si sono interessati a questa vicenda e non è neanche nell’attenzione mediatica. In un ipotetico referendum sull’indipendenza corsa vincerebbe sicuramente il no, per via dei molti francesi trapiantati sull’isola e a causa della paura di non disporre dei mezzi economici per essere un piccolo stato autosufficiente. Gli indipendentisti corsi puntano a far riprendere la residenza sulla loro isola ai loro corregionali emigrati in Francia e in Italia per affrontare senza paure l’eventuale referendum sul distacco dalla Francia e se raggiungeranno il loro obbiettivo, essi proporranno di stringere dei legami economici (e non) con l’Italia.

venerdì 30 novembre 2018

408) L’IRREDENTISMO ODIERNO



OGGI SONO UTOPIE E SOGNI LE RIVENDICAZIONI TERRITORIALI, CIOÈ IL PORTARE LO STATO ITALIANO AI SUOI CONFINI NATURALI. LA SITUAZIONE ATTUALE DEI TERRITORI APPARTENENTI ALL’ITALIA SOLO GEOGRAFICAMENTE.

A cent’anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale, l’ultimo conflitto in cui l’Italia annesse dei nuovi territori in forma permanente (successivamente una parte delle terre guadagnate furono perse: con la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale), i movimenti irredentisti stanno rinascendo silenziosamente. Questi chiedono, esattamente come un secolo fa, l’estensione dello stato italiano entro i suoi confini geografici naturali. Gli irredentisti di oggi, a differenza di ieri, non sono presi in grande considerazione dai mezzi d’informazione, dalla politica, dalle istituzioni, le quali nel diritto costituzionale nostrano ed internazionale non prendono iniziative in tal senso. Sono anche cambiate le mentalità degli stati europei occidentali, i quali è impensabile che facciano tra loro delle guerre sanguinarie, come hanno fatto per secoli, per contendersi una porzione di territorio. Con la diplomazia ed i trattati si potrebbe provare, però dubito sull’ottenimento di risultati concreti.
Come si può vedere nella mappa del Movimento Irredentista Italiano (https://movimentoirredentistaitaliano.wordpress.com/), i territori rivendicati sono i seguenti: Corsica, Nizza, Svizzera italiana (Canton Ticino, parte del Canton Grigioni), San Marino, Istria, Dalmazia, Malta. Di questi luoghi, non considerando San Marino, solo la Svizzera italiana è totalmente italofona, ma ben pochi italiani di Svizzera sognano di unirsi alla madrepatria: temono di perdere il loro alto tenore di vita con la dissoluzione della Confederazione Elvetica. In Corsica ed a Malta l’italiano è compreso bene, anche se è stato abolito come lingua ufficiale da tempo a favore del Francese e dell’Inglese, i cognomi della gente si può dire che siano italiani; anche in queste due isole non ci sono mai stati grandi sentimenti d’aspirazioni italiane da dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Malta ha molte leggi ispirate al cattolicesimo intransigente, se la piccola isola si unisse all’Italia dovrebbe rinunciarvi in nome della laicità dello stato. La Corsica più che l’Italia sogna l’indipendenza: la lingua corsa, riconosciuta ufficialmente dalla Francia, è molto simile alle parlate toscane, rappresenta l’orgoglio isolano. Quando la Repubblica di Genova cedette la suddetta isola alla Francia, per i debiti contratti, per far sedare la rivolta sull’isola dai francesi, nel trattato c’era una clausola che avrebbe potuto far ritornare la Corsica genovese, sotto pagamento di denaro, l’acquisizione non fu mai registrata agli organismi internazionali e sottoposta a plebiscito popolare: su questo puntano i separatisti corsi; oggi lo Stato Genovese è stato assorbito dalla Repubblica italiana, quindi……



Nizza era una città italianissima, tanto è vero che diede i natali a Giuseppe Garibaldi, il maggior artefice del Risorgimento, il quale soffrì molto per la perdita e provò nel 1871 a fare tornare italiana la sua città. Senza l’aiuto francese, i piemontesi non ce l’avrebbero mai fatta da soli a liberare la Lombardia e quindi ad unificare l’Italia, il prezzo di quell’alleanza fu altissimo: la cessione di Nizza e della Savoia (la terra natale della casa regnante del Piemonte, della Sardegna, poi dell’Italia). La Savoia era già francofona, Nizza lo diventò in fretta: i cognomi dei nizzardi furono francesizzati in fretta e senza che nessuno gridasse al razzismo, alla discriminazione etnica (ad esempio Bianchi divenne Le Blanc, Del Ponte fu trasformato in Dupoint). La Repubblica di San Marino è l’ultimo piccolo stato indipendente dell’era dei liberi comuni medioevali; nel periodo risorgimentale non fu unito al resto d’Italia, sia perché, non essendo uno stato assoluto ma liberale, il popolo godeva di alcuni diritti, sia perché vi avevano trovato rifugio molti patrioti ed esuli ricercati dai molti regimi preunitari (incluso lo stesso Garibaldi seguito dalla moglie Anita). Istria e Dalmazia sono appartenute per secoli a Venezia, la percentuale degli italiani presente era alta fino all’ultimo conflitto mondiale, dopo ci furono le foibe e l’esodo ed oggi in quelle terre si contano pochi italofoni. Gli istriani e i dalmati, dopo il loro esodo, formarono interi quartieri nelle maggiori città d’Italia, oggi i discendenti potrebbero tornare nei luoghi d'origine e convivere con Croati e Sloveni. La “Grande Italia” nelle condizioni attuali è solo un sogno, domani chissà.

domenica 15 febbraio 2015

258) L’IRREDENTISMO ITALIANO DOPO LA GRANDE GUERRA

DOPO L’UNIFICAZIONE D’ITALIA E L’ANNESSIONE DI TRENTO E TRIESTE C’ERANO ALTRE TERRE CONSIDERATE ITALIANE E DA UNIRE ALLA PATRIA: UNA DI QUESTE ERA MALTA. CARMELO BORG PISANI, MALTESE NATURALIZZATO ITALIANO, PAGÒ CON LA VITA IL PROPRIO PATRIOTTISMO.

Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale l’Italia aveva annesso il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia e la città di Zara. Quest’ultima città era collocata nella costa dalmata, abitata da popolazioni italiche: ci fu malcontento per la mancata assegnazione di quei territori ad eccezione di Zara. Altre zone non appartenenti al Regno d’Italia erano considerate italiane e l’obbiettivo, presto o tardi, era quello di unirle alla patria, come si può vedere nella carta: Nizza (città natale del principale artefice dell’unificazione italiana: Garibaldi), l’isola della Corsica, i cantoni svizzeri del Ticino e del Grigioni, le isole di Corfù e di Malta. Poi arrivò il Fascismo ed inserì anche la Savoia, la terra natale della Casa Reale ma che non era abitata da italiani, tra gli obbiettivi d’annessione.

In quei tempi l’irredentismo non era solo un fenomeno italiano, un po’ tutte le nazioni europee aspiravano ad unire sotto un unico stato i popoli dalla stessa lingua e della medesima cultura. Anche per quanto riguarda il colonialismo tutte le nazioni europee cercavano di crearsi degli imperi in Africa ed in Asia, dopo che se li erano creati nelle Americhe, le cui nazioni nel novecento erano ormai indipendenti. L’Italia era arrivata per ultima in questa corsa alla colonia e si era dovuta accontentare della Libia, della Somalia, dell’Eritrea e le sue mire di espansione erano concentrate nell’intero Corno d’Africa e nella vicina Tunisia. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale molti esponenti dell’irredentismo italiano a Nizza, in Corsica, nella Dalmazia e a Malta erano molto attivi per unire le citate terre alla madrepatria italiana: uno di questi uomini era il maltese Carmelo Bog Pisani. Studiò in Italia riuscì ad ottenere la cittadinanza italiana e ripudiò quella della Gran Bretagna, di cui Malta era detenuta. La canzone del video che seguirà è “Mediterraneo”, il cui testo  parla delle aspirazioni territoriali dell’Italia Fascista, colui che l’ha inserito in YouTube lo dedica proprio al patriota maltese Pisani. Segue "O Malta"  del solito Daniele Serra: il componimento preconizza la "liberazione" di Malta da parte degli italiani; l'operazione avrebbe potuto facilmente essere realizzata nei primi giorni di guerra, invece non fu mai portata a termine, con gravissime conseguenze sui risultati della guerra nel Mediterraneo.


Nizza, Savoia, Corsica fatal/Malta baluardo di romanità,/Tunisi nostre sponde monti e mar/suona la libertà, la libertà.
Va gran Maestrale/urla, romba, ruggi con furor/stranier, via!/Duce col rostro che Duilio armò/Roma fedele a te trionferà./In armi camicie nere/in piedi fratelli corsi
voi ritrovate al fin/la Patria santa, la gran madre/che vi amò, che vi chiamò/con la spada Corsi, con la fede/l'invitto Duce vi rivendicò./Di Malta lo strazio grida/nel cuore d'Italia,/l'audacia che irrompe e sfonda/Britannici navigli schianterà./Noi ti riconquistiam con Garibaldi./Nizza, Nizza col tuo biondo marinar/vinceremo, Duce, vinceremo/tu sei la gloria e l'avvenir.


Rombano i motori in cielo e mare/si torna a marciare, è un dono del Re!/La vittoria ancor sarà italiana,/già squilla la diana e tuona il cannon…
O Malta, o Malta!/Ancora schiava nel tuo mare;/noi ti verremo a liberare/ti strapperemo all'oppressore!
Fratelli maltesi/che ci aspettate con amor/il bel vessillo tricolor/potrete ancor baciar!
Il leone [l’Inghilterra ndr] rugge inutilmente,/lontano si sente e fugge di già!/Con il frutto delle sue rapine/è giunto alla fine, pagare dovrà…

Allo scoppio dell’ultimo conflitto mondiale a Malta ci furono delle sollevazioni antibritanniche e pro italiane: le autorità arrestarono e deportarono i più facinorosi. Pisani si arruolò nella milizia fascista e clandestinamente tornò a Malta per pianificarne l’invasione italiana. A causa di una forte tempesta perse tutti i viveri e fu costretto a chiedere aiuto ad un amico, che lo denunciò agli inglesi. Arrestato fu processato e condannato a morte per tradimento, mediante impiccagione. La stessa sorte toccò ad alcuni irredentisti corsi dopo la fine della guerra. Il Re Vittorio Emanuele III insignì di una medaglia d’oro al valor militare alla memoria del patriota Carmelo Borg Pisani. Oggi i protagonisti dell’irredentismo italiano nell’ultima guerra sono stati dimenticati, mentre a quelli che tra fine ottocento ed inizio novecento in Tentino e a Trieste, si rivoltarono contro gli austriaci e pagarono con la vita, come Oderban, Sauro e Battisti, sono intitolate strade, piazze, scuole. Potrà iniziare così una controtendenza nel rivalutare degli eroi dimenticati per l’esito negativo di quel conflitto, che come i citati antiaustriaci sono morti per il medesimo ideale: unire all’Italia le terre estere popolate da italiani.  Infine tengo a precisare che le mie analisi e le mie narrazioni sono solo dal punto di vista storico, non faccio propaganda, faccio notare quali erano le mentalità dell’epoca, oggi considerate superate: in questo caso si parla di martiri italiani dimenticati che meritano la rivalutazione.

giovedì 10 febbraio 2011

81) IL GIORNO DEL RICORDO DELLE FOIBE


 IL DISASTRO DELLE FOIBE






Oblio e istituzione della giornata del ricordo

Nel 2004 è stata istituita dal parlamento italiano quasi all’unanimità (tranne sporadici ceppi di sinistra estrema) la giornata del 10 febbraio per ricordare le vittime italiane morte per mano jugoslava e gettate nelle foibe durante e al termine della Seconda Guerra Mondiale. Per lunghissimo tempo non si seppe nulla di questa tragedia, o meglio non se ne parlò, ne era al corrente solo chi l’aveva vissuta, e si bollavano erroneamente le vittime come appartenenti ad una determinata ideologia politica. Enciclopedia Universale Fabbri, anno 1971, alla voce Foiba c’è scritto: (dal dialetto friulano foibe, fossa), termine locale usato per indicare delle grandi conche chiuse, molto diffuse nella regione istriana, derivanti dal collegamento di più doline e al fondo delle quali è presente un inghiottitoio.


Storia, rivendicazioni italiane, dramma e revisionismo





 Nemmeno una riga è stata scritta per decenni a testimonianza di ciò che avvenne nelle italianissime terre dell’Istria e della Dalmazia, che erano appartenute per secoli alla Serenissima Repubblica di Venezia: nelle coste erano tutti italiani, veneti precisamente, all’interno erano presenti popolazioni slave. All’Italia in caso di successo dell’Intesa nella Grande Guerra promisero tutte le terre che erano di Venezia, quelle che durante le guerre napoleoniche furono cedute dalla Francia all’Austria, ponendo fine all’indipendenza veneziana; le promesse non furono mantenute: all’Italia andò solo l’Istria, la città di Zara e successivamente venne annessa anche Fiume e naturalmente venne annesso anche il Trentino Alto Adige. L’Alto Adige non ha nulla di italiano, è tedesco, dell’Istria e della Dalmazia non si può dire altrettanto, anche se nella città di Bolzano la comunità italiana è numerosa, costituisce la maggioranza, un’eccezione in mezzo ad una provincia tedesca, per cui gli italiani presenti sentono forte il sentimento di patria e premiano i partiti di destra. A Trieste e in altre zone di confine succede lo stesso: un sentimento che emerge dagli orrori del passato. Dopo l’annessione della Venezia Giulia nel 1919 ci fu un momento di riscatto italiano, nei tempi dell’Impero Austro – Ungarico comandavano gli slavi. La tragedia delle Foibe avvenne in due fasi: nel 1943 e dopo il 1945. Dopo l’armistizio italiano del 1943 i partigiani jugoslavi di Tito rastrellarono moltissimi italiani nelle zone di confine, li fucilarono gettandoli nei fossi con i polsi legati. Peggio fu nel 1945 allorquando la Jugoslavia pretese l’annessione dell’intera Venezia Giulia, di Gorizia e di Trieste; i triestini si erano liberati dai tedeschi e accolsero con volantini di benvenuto i partigiani jugoslavi, che ricambiarono massacrando molti cittadini: in questa fase i gettati nei fossi furono di gran lunga di numero superiore rispetto al ’43. Tra gli stessi partigiani italiani, quelli comunisti ammazzavano i partigiani di altre tendenze e scappavano in Jugoslavia. Le vittime furono oltre 20.000 e circa 300.000 persone fuggirono dall’Istria: nelle città italiane dove arrivavano non venivano accolti bene perché definiti fascisti in fuga, a Roma crearono addirittura un quartiere. La Jugoslavia chiese all’Italia l’estradizione dei militari che durante la guerra si erano macchiati di crimini durante l’occupazione militare, ma nulla furono al confronto delle Foibe. Durante la Conferenza di pace di Parigi nel 1947 all’Italia, nazione sconfitta, venne tolta l’Istria che fu assegnata alla Jugoslavia, la città di Trieste rimase territorio libero, tornerà all’Italia nel 1954. Il revisionismo storico dopo l’oscurantismo e l’oblio è iniziato negli anni ’90, fino all’istituzione della giornata del ricordo che ricade quest’oggi.
 



L’amore per la patria nella destra e il ricordo dei caduti


Revisionismo che ha coinvolto anche la Resistenza: oltre ai crimini nazifascisti si sono tirati fuori dall’insabbiatura anche i crimini commessi dai partigiani. Deve essere stato molto duro essere di destra per il cinquantennio successivo al termine della guerra: persone che non avevano nulla a che fare col fascismo, ma che credevano in alti ideali patri ed erano forti nell’impegno di socialità, si videro trattati peggio dei lebbrosi, alcuni finirono anche trucidati per la militanza in un Msi, perfettamente integrato nel sistema democratico, il cui motto del segretario Giorgio Almirante era: “non restaurare e non rinnegare!” Una destra che da più di un quindicennio è tornata protagonista grazie a Silvio Berlusconi, la quale attualmente guida il paese. Allora per tutte le vittime delle persecuzioni, delle foibe, della militanza missina, di tutto il resto scorrerà il vecchio inno del Msi, un po’ di commozione certamente ci prenderà, pensando a tutto ciò che è accaduto prima di oggi, quando la destra è tornata protagonista. Un amarcord per Fini e i suoi segugi e un premio a Storace, il quale in An fu il primo a capire di che pasta fosse fatto, che oggi col suo movimento torna al governo: il giusto premio per la sua coerenza. 



Inno Msi
 

martedì 3 novembre 2009

28) RICORRENZA PATRIOTTICA DEL 4 NOVEMBRE



Per celebrare la ricorrenza del 4 novembre, 91mo anniversario della vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale, ho scelto di pubblicare un pezzo del film “Don Camillo e l’onorevole Peppone” che si appropria per l’occasione: Peppone ascoltò le note della Canzone del Piave, si commesse, gli tornarono in mente i ricordi da reduce e stravolse completamente il suo discorso iniziale.


Nel 1918 con l’annessione del Trentino e della Venezia Giulia terminò il processo di unità dei popoli italici, sotto un’unica nazione, iniziato nell’800, anche se rimanevano fuori dall’Italia altre entità italiane come Nizza, Canton Ticino, Corsica, Malta e Costa Dalmata soprattutto: che fu promessa all’Italia in caso di vittoria dell’Intesa nella Grande Guerra, ma quella promessa non fu mantenuta e così la vittoria italiana divenne la vittoria mutilata.



Le parti colorate verdi, viola e rosse indicano le terre irridente italiane dopo la Prima guerra Mondiale: manca la Savoia, terra d'origine della dinastia regnante in Italia, ma di italiani non ce n'erano in quella regione, il Fascismo la inserirà lo stesso tra le mire espansionistiche italiane.


La Venezia Giulia sarà interamente perduta, tranne le città di Gorizia e Trieste, con la Seconda Guerra Mondiale e gli italiani in Istria e Dalmazia ormai sono ridotti a pochissime unità. L’altare della Patria a Roma è il simbolo della nostra nazione: raccoglie le spoglie di un milite ignoto, caduto nella Prima Guerra Mondiale, che fu scelto a caso, egli rimembra tutti i caduti italiani che si sono immolati per l’Italia e per Roma, la sua capitale. Gli italiani, residenti in Italia e all’estero, guardano fieri il loro altare, si sentono orgogliosi di appartenere alla loro nazione e pregano per i loro caduti.

La Dea Roma posta sull'altare della patria.



ITALIA

NOME UFFICIALE "REPUBBLICA ITALIANA"
  • Nascita: 17 marzo 1861 (Regno d'Italia)
  • Nascita repubblica: 2 giugno 1946
  • Forma di Governo: repubblica democratica parlamentare
  • Capitale: Roma
  • Presidente della Repubblica: Giorgio Napolitano
  • Presidente del Consiglio dei Ministri: Silvio Berlusconi
  • Popolazione residente: 60.157.214 ab.
  • Lingua: italiano (derivante dal fiorentino)
  • Religione: cristiano cattolica romana nella stragrande maggioranza
  • Inno nazionale: Canto degli Italiani o Inno di Mameli
  • Bandiera: tricolore a bande verticali verde, bianco, rosso
  • Feste nazionali: 25 aprile e 2 giugno

ITALIANI

Complessivamente gli italiani sono tra i 120/140 milioni in tutto il mondo e sono così distribuiti:
  • Italiani in Italia: 56.000.000 circa
  • Italiani con cittadinanza italiana residenti all’estero: 3.297.605
  • Italiani, di lingua e di fatto, ma con cittadinanza della Svizzera, di San Marino, della Croazia e della Slovenia: 403.000 circa
  • Discendenti di italiani che hanno acquisito altre cittadinanze in Europa, nelle Americhe e in Oceania: sono stimati tra i 60 e gli 80 milioni.