L’UNITA’ DOPO 1400 ANNI DI DIVISIONI
Il Risorgimento Italiano, ciò quella fase storica e quei processi che portarono l’Italia dopo circa un millennio e mezzo ad essere una nazione unica ed indipendente, prese avvio con la Rivoluzione Francese: senza di essa non ci sarebbe mai stato il riscatto italiano. Quando Napoleone invase l’Italia portò nelle penisola gli ideali di uguaglianza, libertà e fratellanza; gli italiani, senza naturalmente far mancare l’avversione verso l’invasore, li mantennero dentro di loro dopo la fine dell’Impero di Napoleone. Il tricolore italiano, ispirato a quello francese, fu la bandiera della libertà e dell’unità. Ci pensate che gran momento fu? Dopo secoli e secoli di sottomissioni, invasioni, privilegi di pochi, si trovò finalmente il coraggio di porre fine a tutto, ridestarsi e pensare di tornare alla grandezza dell’Italia antica, schiava di Roma, la quale per prima unificò la penisola italiana e la cispadania: “bastone tedesco l’Italia non doma/non crescono al gioco le stirpi di Roma…..la terra dei fiori, dei suoni e dei carmi/ritorni qual era la terra dell’armi…” Versi tratti da “L’Inno di Garibaldi” La causa della nostra gloria medievale e rinascimentale, nell’arte, nella letteratura e nella musica, è stata un po’ la nostra rovina perché smettemmo di essere guerrieri per immetterci nel campo artistico ed arrivarono coloro più furbi di noi che ci sottomisero, in combutta con i nobili locali. I potentati locali nelle rare occasioni che sbaragliarono gli eserciti stranieri (a Legnano la Lega Lombarda contro Federico Barbarossa, nei Vespri Siciliani e in altre circostanze) hanno sempre rinunciato all’idea di costituire uno stato unito per non perdere gli antichi privilegi, così come la Chiesa, la quale non si sognava minimamente di rinunciare al potere temporale e nessuno si sarebbe mai permesso di andarvi contro, sino all’arrivo degli illuministi. Nel 476 d.c., cioè alla data tradizionale della fine dell’Impero Romano d’Occidente, l’Italia mantenne l’unità entrando a far parte del Regno degli Ostrogoti, fu mantenuta anche con la riconquista bizantina, ma comandavano sempre gli invasori in entrambi i casi. Nel IV secolo l’unità territoriale iniziò a disintegrarsi con l’invasione dei Longobardi, dopo arrivò Carlo Magno che inaugurò il nuovo impero, comprendente tra l’altro l’Italia centrosettentrionale. Nel Centro Nord dopo gli Imperi e le lotte tra guelfi e ghibellini arrivarono i comuni e le signorie; il sud invece si costituì in uno stato unitario, allorquando i normanni sbarcarono in Sicilia cacciando gli arabi, sul continente scacciarono i bizantini, riunendo sotto un unico regno i ducati longobardi con le terre liberate e costituendo il Regno di Sicilia, che poi sarà il Regno di Napoli e infine il Regno delle Due Sicilie.
QUESTIONE E PROBLEMA MERIDIONALE
Fu per secoli uno stato molto arretrato, basato sul latifondo, dominato dalla Spagna e non fu certo quello stato modello, all’avanguardie su cui si basano le teorie degli antirisorgimentali e dei nostalgici (senza peraltro averci mai vissuto o aver conosciuto quella realtà). Adorano un reame in cui se solo chiedevi diritti, pane, costituzioni ecc. venivi incatenato o ti uccidevano. Il centro nord essendo stato diviso in signorie, ducati, principati era più florido per il semplice fatto che ogni sovrano voleva lasciar traccia della propria grandezza attraverso l’arte, l’artigianato, le maestranze. Al momento dell’unificazione del paese il nord aveva il 50% della popolazione analfabeta, quella percentuale al sud toccava addirittura il 90%, le ferrovie al nord erano moltissime, al sud c’era solo la prima realizzata in Italia, la “Napoli – Portici”. I bilanci statali del sud erano in attivo per il semplice fatto che i sovrani non spendevano nulla, comprese le spese per lo sviluppo. Se il Regno delle Due Sicilie fosse stato uno stato così all’avanguardia, efficiente, non si sarebbe certo fatto distruggere da poco più di mille sventurati, a cui si aggiunsero molti locali e in tutte le città liberate i liberatori furono accolti con entusiasmo dalla popolazione. I briganti esistevano da secoli, il fenomeno si ingrossò con l’arrivo dei piemontesi, perché erano manovrati dai Borbone in esilio: tutti parlano delle stragi compiute dai piemontesi ma non rammentano gli eccidi compiuti dai briganti sui soldati e sulla popolazione. Oggi qualcuno del sud elogia il regio esercito che pose fine al fenomeno del brigantaggio. Però è vero che i “redentori” non fecero nulla per lo sviluppo del sud, per la sua arretratezza, per l’estrema povertà e per porre fine alle disuguaglianze sociali: questa fu l’unica nota stonata del Risorgimento. Si vorrebbe trasformare un riscatto millenario in una sconfitta, allora che dire della Rivoluzione Francese, di cui la moderna società ne è figlia? Anche in quel caso ci furono migliaia di morti e di massacri: sarebbe stato meglio senza, così ancora oggi ci sarebbero le monarchie assolute, i privilegi dei nobili, del clero e la miseria per il resto della popolazione? Nel 1946 il sud, al referendum istituzionale, votò compatto per la monarchia: significa che non vi era più traccia degli avvenimenti successivi all’unità. Negli altri stati preunitari la situazione non era migliore: vi sarebbe piaciuto vivere nella Roma papalina dove venivano tagliate le teste agli oppositori politici?
IL RUOLO DELLA CHIESA E DEL PIEMONTE
L’elezione del pontefice Pio IX fu salutata con entusiasmo dai liberali italiani, in lui riponevano molte aspettative, alcuni addirittura auspicavano una confederazioni di stati sotto la sua guida. Il Pontefice in un primo momento aderì alle lotte: inviò addirittura un corpo di volontari nella I Guerra di Indipendenza, nominò dei ministri laici nel suo governo, concesse riforme; successivamente non se la sentì più di mettersi contro una nazione cattolica come l’Austria, per le sommosse dovette fuggire a Gaeta e così a Roma venne proclamata la Repubblica Romana, con l’intento di unirvi tutta Italia. L’esperimento fallì per le potenze straniere che intervennero e repressero nel sangue i tentativi di resistenza dei volontari giunti da tutta Italia. I ducati e i granducati nell’Italia settentrionale erano degli stati fantocci in mano all’Austria - Ungheria, il Lombardo - Veneto era parte integrante di quell’impero, solo il Piemonte godeva di una certa autonomia, per cui era visto da tutti come l’unico in grado di muoversi contro il principale ostacolo all’unione dei popoli italici. Il sovrano del Regno, Carlo Alberto di Savoia, per via della sue indecisioni e dei suoi ripensamenti era detto il Re Tentenna, tuttavia fu il primo in Italia a concedere la costituzione, così da porre fine alla monarchia assoluta ed entrando in netto contrasto con gli altri membri di Casa Savoia già nel 1821, quando da reggente anticipò lo Statuto Albertino del 1848, che fu soppresso al ritorno del legittimo sovrano Carlo Felice. Le speranze dei liberali italiani erano riposte tutte in Carlo Alberto, il quale nel 1848 intraprese la campagna militare contro l’Austria con l’apporto dei volontari giunti da tutta Italia: il piccolo Piemonte cosa poteva mai fare contro un grande impero? Alla sua sconfitta Carlo Alberto, da uomo d’altri tempi, cercò invano la morte in battaglia e rifiutò di obbedire agli ordini di Radetzky, il quale imponeva di abrogare lo statuto (“Mai!” – esclamò l’abdicante sovrano- “la nostra stirpe conosce la strada dell’esilio, non quella del disonore!”). Alla salita al trono di Vittorio Emanuele II, si capì che da soli non si poteva far nulla, allora il nuovo capo del governo, Camillo Benso Conte di Cavour, intraprese la strada della diplomazia per garantirsi l’appoggio delle potenze europee. Ciò avvenne con la partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea e lo stato si avvicinò alla Francia: ebbe un ruolo decisivo nelle mediazioni la Contessa di Castiglione, la quale fu inviata da Cavour a “trattare” con Napoleone III. Quest’ultimo più che ad aiutare l’Italia pensava a sostituire l’egemonia austriaca con quella francese e il prezzo dell’aiuto sarebbero state Nizza e Savoia, terre di Garibaldi e della casa regnante. “La mia anima è in lutto! Se il re si rassegna a perdere la sua terra, io non mi rassegno a perdere la mia!” - esclamò il generale. Per Cavour Nizza era una pretesa assurda. A Solferino e a San Martino i franco – piemontesi sconfissero gli austriaci, guidati dal loro imperatore in persona, e cedettero la Lombardia; Cavour entrò in collisione col Re, che in combutta con Napoleone III aveva firmato l’armistizio, rinunciando a liberare il Veneto, si dimise, esclamando che egli era il vero re. Ci son volute tre vittorie straniere per fare l’Italia unita: Solferino, Sodowa e Sedan; l’unica impresa (e che impresa!) italiana fu la spedizione dei mille: in quel momento si capì che era possibile realizzare uno stato solo, rinunciando all’idea della confederazione guidata dai Savoia al Nord, dal Papa al Centro e dai Borbone al Sud perché si pensava che fosse un sogno impossibile realizzare una sola Italia. 17 marzo 1861: l’Italia vide la luce senza un quarto di territorio di quella odierna, dieci anni più tardi fu completa con l’annessione del Veneto nel 1866 e del Lazio nel 1870, in entrambi i casi grazie ai Prussiani. I piemontesi e i lombardi furono i principali protagonisti delle lotte per l’indipendenza, erano anche le regioni più avanzate ed istruite di uno stato povero, analfabeta e contadino, dove la lingua italiana era parlata solo dai pochissimi istruiti; la Grande guerra sarà la prima occasione di incontro e la televisione unificherà il linguaggio da nord a sud. A tal proposito ho questo interessante editoriale del primo numero del Corriere della Sera, pubblicato a Milano (città che riassaporava la libertà dopo secoli di dominazioni spagnole prima e austriache dopo) nel febbraio 1876:
1° NUMERO CORRIERE DELLA SERA
"Pubblico, vogliamo parlarci chiaro. In diciassette anni di regime libero tu hai imparato di molte cose. Oramai non ti lasci gabbare dalle frasi. Sai leggere fra le righe e conosci il valore delle gonfie dichiarazioni e delle declamazioni solenni d'altri tempi. La tua educazione politica è matura. L'arguzia, l'esprit ti affascina ancora, ma l'enfasi ti lascia freddo e la violenza ti dà fastidio. Vuoi che si dica pane al pane e non si faccia un trave d'una fessura. Sai che un fatto è un fatto ed una parola non è che una parola, e sai che in politica, più che nelle altre cose di questo mondo, dalla parola al fatto, come dice il proverbio, v'ha un gran tratto. Noi dunque lasciamo da parte la rettorica [sic] e veniamo a parlarti chiaro.
Non siamo conservatori. Un tempo non sarebbe stato politico, per un giornale, principiar così. Il Pungolo non osava confessarsi conservatore. Esprimeva il concetto chiuso in questa parola con una perifrasi. Ora dice apertamente: "Siamo moderati, siamo conservatori". Anche noi siamo conservatori e moderati. Conservatori prima, moderati poi. Vogliamo conservare la Dinastia e lo Statuto; perché hanno dato all'Italia l'indipendenza, l'unità la libertà, l'ordine. In grazia loro si è veduto questo gran fatto: Roma emancipata da' papi che la tennero durante undici secoli. [...]
Siamo moderati, apparteniamo cioè al partito ch'ebbe per suo organizzatore il conte di Cavour e che ha avuto finora le preferenze degli elettori, e - per conseguenza - il potere.[...] L'Italia unificata, il potere temporale de' papi abbattuto, l'esercito riorganizzato, le finanze prossime al pareggio: ecco l'opera del partito moderato.
Siamo moderati, il che non vuol dire che battiamo le mani a tutto ciò che fa il Governo. Signori radicali, venite tra noi, entrate ne' nostri crocchi, ascoltate le nostre conversazioni. Che udite? Assai più censure che lodi. Non c'è occhi più acuti degli occhi degli amici nostri nel discernere i difetti della nostra macchina politica ed amministrativa; non c'è lingue [sic] più aspre, quando ci si mettono, nel deplorarli. [...] Gli è che il partito moderato non è un partito immobile, non è un partito di sazi e dormienti. È un partito di movimento e di progresso.
Sennonché, tenendo l'occhio alla teoria, non vogliamo perdere di vista la pratica e non vogliamo pascerci di parole, e sdegniamo i pregiudizii liberaleschi. E però ci accade di non voler decretare l'istruzione obbligatoria quando mancano le scuole ed i maestri; di non voler proscrivere l'insegnamento religioso se tale abolizione deve spopolare le scuole governative; di non voler il suffragio universale, se l'estensione del suffragio deve porci in balia delle plebi fanatiche delle campagne o delle plebi voltabili [sic] e nervose delle città. [...]
[Conclusione] A' giornali dello scandalo e della calunnia sostituiamo i giornali della discussione pacata ed arguta, della verità fedelmente esposta, degli studi geniali, delle grazie decenti, rialziamo i cuori e le menti, non ci accasciamo in un'inerte sonnolenza, manteniamoci svegli col pungolo dell'emulazione, e non ne dubitiamo, il Corriere della sera potrà farsi posto senza che della sua nascita abbiano a dolersi altri che gli avversari comuni".
MORTE DEI PROTAGONISTI AD UNIONE COMPIUTA
La corrente politica di Cavour, la Destra Storica, fu la protagonista dell’unificazione, proprio in quegli anni (quandò uscì il Corriere), a causa della tassa sul macinato, cedette il potere alla Sinistra Storica di Agostino Depretis. La città più rappresentativa venne fatta capitale per rivivere il mito e la grandezza di un tempo (In Piazza del Quirinale arrivano di corsa i reggimenti, i bersaglieri, la cavalleria. Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta tra i soldati plaudendo” Edmondo De Amicis). Cavour in punto di morte nel 1861 confessandosi esclamò: “padre, padre, libera chiesa, in libero stato!” Negli ultimi mesi di vita in stato di sofferenza pensò appunto a Roma, al Veneto, al Tirolo, alla Dalmazia, ma riteneva che già era stato fatto moltissimo e al seguito ci avrebbe pensato un’altra generazione (l’unione completa ci sarà appunto nel 1918). Garibaldi rinunziò alle faraoniche offerte del Re, fu solo eletto senatore, una volta annesse Venezia e Roma, le sue fisse, le sue ossessioni, che lo avevano fatto entrare in guerra addirittura con i soldati piemontesi, si ritirò a Caprera, dove l’eroe dei due mondi visse serenamente gli suoi ultimi anni di vita in pace, e soddisfatto, prima di spegnersi nel 1882. Giuseppe Mazzini morì nel 1872, anche egli dopo aver visto nascere un’Italia che non gli piaceva in quanto l’avrebbe preferita repubblicana. Vittorio Emanuele II, il Re Galantuomo, il Padre della Patria, se ne andò nel 1878; esclamò all’annessione di Roma: “l’Italia è libera e una: ora non dipende che da noi che farla grande e felice!”
LE TAPPE DELL’UNITA’ D’ITALIA
1797– a Reggio Emilia, con l’arrivo di Napoleone Bonaparte e l’istituzione della Repubblica Cisalpina, nacque la futura bandiera italiana, di colore verde, bianco e rosso, ispirata alla bandiera rivoluzionaria francese.
1815– Congresso di Vienna e Restaurazione delle monarchie assolute in tutta Europa e in un Italia, frammentata e dominata direttamente o indirettamente dall’Austria. Nacque la società segreta della Carboneria, il cui motto era “liberare la foresta dai lupi”.
1821 - concessione delle costituzioni nel Regno di Napoli e in Piemonte, a seguito di sommosse popolari, ma dopo un po’ vennero ritirate per l’opposizione della Santa Alleanza Europea, repressioni terribili delle potenze straniere, specialmente nella Sicilia separatista, impiccagioni di Silvati e Morelli, arresto di Silvio Pellico. Guglielmo Pepe e Santore di Santarosa si salvarono con la fuga.
1830– fallita sommossa di Ciro Menotti nel Ducato di Modena e condanna a morte.
1831– l’esule Giuseppe Mazzini fondò l’associazione Giovine Italia a Marsiglia. L’aderante Jacopo Ruffini, arrestato a Genova, si suicidò per non far nomi.
1834– fallita insurrezione di Ramorino, su ordine di Mazzini, in Savoia; per la disgregazione della Giovine Italia Mazzini fondò a Berna la Giovane Europa.
1842– il compositore e musicista Giuseppe Verdi compose il Nabucco, in cui si denunciava di nascosto la situazione italiana. Stessa cosa aveva fatto anni prima Alessandro Manzoni con il libro I Promessi Sposi.
1844– i fratelli Bandiera, sperando nell’aiuto della popolazione, si introdussero in Calabria per provocare sommosse, ma vennero traditi, catturati e fucilati.
1846– elezione di Pio IX al soglio pontificio: sovrano illuminato e liberale concesse riforme e nominò ministri laici per poi ripensare a tutto. Nello stesso periodo il sacerdote, filosofo e politico piemontese Vincenzo Gioberti nella sua opera “Primato Civile e Morale degli Italiani” auspicava la creazione di una confederazioni di stati italiani sotto la guida del Sommo Pontefice.
1847– Goffredo Mameli compose il Canto degli Italiani, futuro inno nazionale italiano, il quale fu musicato da Michele Novaro.
1848– rivolta di Palermo guidata da Ruggero Settimo, anche Napoli insorse e Ferdinando II fu costretto a concedere la costituzione. In Piemonte a furor di popolo fu osannato il sovrano illuminato Carlo Alberto, che concesse lo statuto, che diverrà la legge fondante del futuro Regno d’Italia, e la libertà di stampa. Rivolta di Milano (le cinque giornate), rivolta di Venezia, guidata da Daniele Manin, che si proclamò indipendente dall’Austria, fuga di Pio IX a Gaeta.
1848 – 49 – Prima Guerra d’Indipendenza: Carlo Alberto, Re di Sardegna (e Piemonte), dichiarò guerra all’Austria, approfittando delle rivolte e mettendosi a capo dei liberali italiani, per la prima volta gli eserciti adottarono la bandiera italiana con lo stemma dei Savoia. 50.000 soldati, di cui 7.000 forniti da Pio IX, 16.000 dal Re di Napoli e molti studenti toscani, vinsero a Pastrengo e raggiunsero Verona, controffensiva austriaca comandata da Radetzky, che presidiava il quadrilatero (Peschiera, Mantova, Legnano, Verona), eccidio degli studenti toscani a Curtatone e a Montanara. Vittoria piemontese a Goito e sconfitta decisiva a Custoza. Ritorno all’Austria di Milano e Venezia, fuga di Garibaldi e di altri volontari (in futuro saranno i cosiddetti “Cacciatori delle Alpi” dalle suggestive camice rosse) in Svizzera. Dopo 7 mesi i Piemontesi ci riprovarono e furono sconfitti a Novara, Ramorino (quello di Mazzini) venne fucilato per tradimento. Brescia si ribellò e fu denominata “la leonessa d’Italia”, reazione austriaca che massacrò più di 1.000 persone. Carlo Alberto abdicò in favore di suo figlio Vittorio Emanuele II e andò in esilio ad Oporto, dove morì poco dopo.
1849– a seguito della fuga di Pio IX a Roma venne proclamata la Repubblica Romana, con a capo il triunvirato Mazzini- Saffi-Armellini. Reazione francese in soccorso del papa e furiosi combattimenti a Villa Spada, al Gianicolo e al Vascello: accorsero in difesa della repubblica Garibaldi, Manara, Mameli, gli ultimi 2 persero la vita. Fuga di Garibaldi e degli altri esuli a Venezia per difenderla e morte di Anita Garibaldi, moglie del generale, durante il viaggio. Fucilazione a Cesenatico di Ciceruacchio (con i suoi 2 figli), Livraghi e Ugo Bassi, esuli della repubblica.
1852– a Valletta di Belfiore vennero impiccati alcuni mazziniani: Carlo Poma, Bernardo Canal, Giovanni Zambelli, Angelo Scarsellini, Tito Speri e Pier Fortunato Calvi; erano guidati dal sacerdote Enrico Tazzoli.
1854– il giovane Presidente del Consiglio, Camillo Benso Conte di Cavour, inviò un contingente di bersaglieri, comandati da Alfonso Lamarmora, in Crimea, affiancando Inghilterra e Francia, e sconfissero il nemico russo presso Sebastopoli. Al Congresso di Parigi il piccolo Piemonte mise sotto accusa l’Austria e suscitò simpatie.
1857– Carlo Pisacane penetrò in nave a Sapri, con 300 persone, per tentare una sommossa, la popolazione si schierò dalle parte dei Borbone e li massacrò con l’appogio dei soldati, quando tutto era perduto Pisacane si suicidò (“eran trecento, eran giovani e forti e sono morti” La Spigolatrice di Sapri)
1858– Felice Orsini, ultimo difensore della Repubblica Romana e mazziniano, organizzò un attentato a Parigi contro Napoleone III che fallì e fu condannato a morte. Incontro a Plombières tra Cavour e Napoleone III, in cui si decise la guerra contro l’Austria – Ungheria.
1859 – Seconda Guerra d’Indipendenza: alleanza del Regno di Sardegna con la Francia e dichiarazione di guerra all’Austria – Ungheria, vittorie decisive dei franco – piemontesi, forti di 180.000 soldati, a Palestro, Magenta, Solferino, San Martino e ingresso trionfale dei sovrani Vittorio Emanuele II e Napoleone III a Milano; annessione della sola Lombardia al Regno di Sardegna.
1860– a Torino si inaugurò la VII legislatura con i rappresentanti della nuove regioni: Lombardia, Toscana ed Emilia; queste ultime 2 regioni si sollevarono contro i loro sovrani, i quali vennero cacciati, e con dei plebisciti chiesero di entrar a far parte del Regno, per contropartita a tutto ciò bisognò cedere Nizza e Savoia alla Francia. In maggio partenza da Quarto di 1072 volontari, i quali si imbarcarono, guidati da Garibaldi, per liberare il Regno delle Due Sicilie, certi dell’appoggio della popolazione: sbarco a Marsala in Sicilia, primo scontro vittorioso contro le truppe borboniche a Catalafini, con un tranello si aggirarono i nemici e si arrivò in una Palermo sguarnita, apporto dei picciotti siciliani, che si unirono ai mille, e si liberò il resto della Sicilia. Garibaldi si proclamò dittatore in nome di Vittorio Emanuele, passò lo Stretto di Messina e sul continente batté ripetutamente i borbonici, entrando trionfalmente in una Napoli festante. Vittoria decisiva dei garibaldini sul fiume Volturno, riscattando una precedente sconfitta, fuga del Re delle Due Sicilie Francesco II a Gaeta; frattanto i piemontesi scesero dal nord, sconfissero le truppe pontificie, occupando Marche e Umbria. Incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II presso Teano, consegna del defunto regno borbonico al sovrano e assalto finale alla roccaforte di Gaeta. Garibaldi, consigliato dal re, rinunciò alla presa di Roma perché era sotto protettorato francese e si ritirò momentaneamente a Caprera, senza volere gli ori e gli allori che avrebbe voluto concedergli il sovrano. Nello stesso periodo ci furono violente repressioni in Sicilia: contadini uccidevano i proprietari terrieri, per sedare le sommosse Garibaldi inviò Crispi, il quale non fu certo tenero con i rivoltosi.
1861– 17 marzo: il parlamento a Torino, all’inizio dell’VIII legislatura e con i rappresentanti delle regioni liberate, proclamò solennemente il Regno d’Italia, re venne proclamato Vittorio Emanuele II; il paese aveva 22 milioni di abitanti e una superficie di 260.000 m2, restavano fuori il Lazio e le Venezie. Pochi mesi dopo a Torino morì Cavour, che fu tra l’altro il primo Presidente del Consiglio d’Italia.
1862 – Garibaldi, intenzionato a prendere Roma, con alcuni volontari sbarcò in Calabria per proseguire verso la città eterna, ma fu fermato da una guarnigione piemontese in Aspromonte e rimase ferito. Il governo italiano non poteva mettersi contro la Francia, per cui in quel momento aveva rinunciato alla liberazione di Roma per farla capitale.
1861 – 1865– fenomeno del brigantaggio nell’Italia meridionale: i briganti, spronati dal governo borbonico in esilio, si diedero alla guerriglia assaltando e compiendo massacri sui soldati piemontesi, i quali risposero molto duramente sino a reprimere completamente il fenomeno. Ci furono vittime tra i civili.
1865 – trasferimento della capitale d’Italia da Torino a Firenze, proteste da parte dei torinesi che auspicavano di perdere il primato di prima città d’Italia solo in favore di Roma.
1866– Terza Guerra d’Indipendenza: alleanza tra Italia e Prussia, quest’ultima era intenzionata ad unificare la Germania, e guerra contro l’Austria per l’appropriazione del Veneto e del Trentino. Sconfitte italiane a Custoza in terra e a Lissa in mare, solo Garibaldi in Trentino salvò l’onore dell’Italia a Bezzeca, ma puntando su Trento con un telegramma gli fu ordinato di fermarsi per l’armistizio: infatti i prussiani avevano rifilato una sonora batosta agli austriaci a Sodowa. Il Veneto entrò a far parte del Regno d’Italia.
1867– Garibaldi non si rassegnò alla presa di Roma, il governo italiano lo fece arrestare per
prevenzione; a Villa Gori i fratelli Cairoli vennero sconfitti dopo aver risalito il Tevere. Garibaldi fuggendo riuscì a penetrare nel Lazio con alcuni volontari, ma venne sconfitto a Mentana dai francesi.
1869– Concilio Ecumenico (Concilio Vaticano I) indetto da Pio IX: stabilì l’infallibilità del papa in materia di fede. Sommosse contadine nella Romagna e nelle Marche represse sanguinosamente.
1870– sconfitta francese a Sedan per mano prussiana, caduta di Napoleone III e ritiro della guarnigione a difesa di Roma; gli italiani, approfittando, entrarono trionfali a Roma, aprendo una breccia a Porta Pia. Il papa non accettò le offerte “degli usurpatori” (Leggi delle Guarentigie), lanciando scomuniche si chiuse in Vaticano e si considerò prigioniero dello stato italiano. Inaugurazione a Firenze del nuovo parlamento comprendente anche i rappresentanti del Lazio.
1871– Roma divenne capitale del Regno d’Italia.
1872– morte di Mazzini a Pisa.
1878– morte di Vittorio Emanuele II e di Pio IX a Roma.
1882– morte di Garibaldi a Caprera.
1918 – a seguito della vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale il Trentino, il Sud Tirolo e la Venezia Giulia entrarono a far parte dell’Italia.
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