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venerdì 10 maggio 2013

185) GIULIO ANDREOTTI

Da costituente a senatore a vita

Ha attraversato tutta la storia della nostra repubblica 

Giulio Andreotti, politico, scrittore e giornalista. Nato a Roma da genitori originari di Segni, è stato uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana, protagonista della vita politica italiana per tutta la seconda metà del XX secolo. Ha ricoperto più volte numerosi incarichi di governo: sette volte Presidente del Consiglio (tra cui il governo di «solidarietà nazionale» durante il rapimento di Aldo Moro (1978-1979), con l'astensione del Partito Comunista Italiano, e il governo della «non-sfiducia» (1976-1977), con la prima donna-ministro, Tina Anselmi, al dicastero del Lavoro); otto volte ministro della Difesa; cinque volte ministro degli Esteri; tre volte ministro delle Partecipazioni Statali; due volte ministro delle Finanze, ministro del Bilancio e ministro dell'Industria; una volta ministro del Tesoro, ministro dell'Interno (il più giovane della storia repubblicana, a soli trentaquattro anni), ministro dei beni culturali (ad interim) e ministro delle Politiche Comunitarie. È sempre stato presente dal 1945 in avanti nelle assemblee legislative italiane: dalla Consulta Nazionale all'Assemblea costituente, e poi nel Parlamento italiano dal 1948, come deputato fino al 1991 e successivamente come senatore a vita. È stato Presidente della Casa di Dante in Roma. Il 2 maggio 2003 è stato giudicato dalla Corte d'Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Assolto in primo grado, il 23 ottobre 1999, fu condannato con sentenza d'Appello. Nell'ultimo grado di giudizio, la II sezione penale della Corte di Cassazione ha citato il concetto di «concreta collaborazione» con esponenti di spicco di Cosa Nostra fino alla primavera del 1980, presente nel Dispositivo di Appello. Il reato commesso è stato considerato estinto per sopravvenuta prescrizione e quindi si è dichiarato il «non doversi procedere» nei confronti di Andreotti.

Il Tempo Redazione online



SCALFARI VS ANDREOTTI 




Giulio Andreotti era uno dei nomi politici più noti e ricorrenti, assieme a Spadolini e Craxi, sentiti al telegiornale negli anni della mia infanzia ed adolescenza: il Ministro degli Esteri Andreotti (del Governo Craxi), il Presidente del Consiglio Andreotti (1989 – 1992). Fu allievo di De Gasperi, il quale lo volle sottosegretario sin da giovanissimo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, fu uno stratega di politica internazionale, troppo filoarabo, nella Democrazia Cristiana era a capo di una nota corrente di cui gli esponenti maggiori erano: Evangelisti, Cirino Pomicino, Ciarrapico, Sbardella, il Cardinal Fiorenzo Angelini, Lima. Figura controversa: era la causa di tutti i problemi in Italia, come oggi lo è Berlusconi. “Guerre puniche a parte, mi hanno accusato di tutti i guai e problemi di questo paese!”  Per Montanelli o era il più grande scaltro criminale o era il più grande perseguitato della storia. Belzebù, il Gobbo e il Divo Giulio erano i suoi soprannomi più frequenti, il vignettista Forattini lo massacrava, ma egli non sporse mai querela perché possedeva il senso dell’umorismo; quando doveva far tacere qualcuno tirava fuori dal suo immenso archivio personale del materiale e chi di dovere come per incanto taceva. Durante la visita di leva un ufficiale medico lo riformò, diagnosticandogli sei mesi di vita: anni dopo Andreotti divenne Ministro della Difesa, andò a cercare quel medico per farglielo sapere ma era morto lui. Tanti aforismi come questo di Andreotti si possono sentire nel film di Paolo Sorrentino il Divo: Andreotti all’inizio criticò quel film, definendolo una mascalzonata, perché, a suo parere, lo avevano descritto eccessivamente cinico, successivamente fece i complimenti a Sorrentino. Le scene degli incontri con i mafiosi e il famoso bacio a Totò Riina rientrano nell’immaginario dei testimoni mafiosi pentiti, non sono convinzioni del regista; anzi in un'altra scena c’è Andreotti che confessandosi dichiara al sacerdote di non avere nulla a che fare con la mafia. Salvo Lima, espressione della corrente andreottiana della Dc in Sicilia, fu ucciso perché il Governo Andreotti non mosse un dito per ammorbidire le condanne in Cassazione degli esponenti di Cosa Nostra.  Le parole di Aldo Moro, con il suo fantasma, scritte ad Andreotti Presidente del Consiglio durante la prigionia, rimbombano sempre nel film, pesando come un macigno durante gli anni della sua persecuzione giudiziaria, provando rimorso per non aver fatto nulla per salvarlo e per aver rifiutato, da Presidente del Consiglio, qualsiasi trattativa con le BR.


La scena madre è quella dell’autoconfessione in cui Giulio Andreotti ammette quanto sia sporca la politica e le malefatte che il politico deve compiere per il raggiungimento del bene comune ed è tutto giustificato dalla sua grande fede in Dio.




Le opere di beneficenza verso i bisognosi hanno caratterizzato la sua vita. Anche per Roccamassima, posta vicina al suo paese d’origine, Segni, fece tanto. Dalla vita e dalla politica ebbe tutto: successo, età; gli mancò solo la Presidenza della Repubblica, quel vuoto fu compensato dalla nomina a senatore a vita che gli consentì di continuare a fare politica da pensionato. Secondo me certamente non sarà stato un santo, un po’ come tutti i politici, ma non era neanche quel criminale del secolo, come intendevano ritrarlo alcuni. È stato il maggiore protagonista della storia repubblicana italiana, contribuendo a trasformare il paese da agricolo e distrutto dalla guerra, a uno delle maggiori potenze economiche del globo: così almeno ci fecero credere in quegli anni della grande abbondanza oltre i nostri limiti; oggi tutti i nodi vengono al pettine e ne paghiamo le conseguenze.

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