Da Karl Marx a Maometto. La diabolica alleanza spagnola tra
sinistra e fondamentalisti
Nel 2004, la Fallaci
nella "Forza della ragione" scrisse: "A Madrid il processo di
islamizzazione procede spedito"
Sab, 19/08/2017 - 19:21
Ma,
soprattutto, il discorso vale per la Spagna. Quella Spagna dove da Barcellona a
Madrid, da San Sebastian a Valladolid, da Alicante a Jerez de la Frontera, trovi i
terroristi meglio addestrati del continente.
(Non
a caso nel luglio del 2001, cioè prima di stabilirsi a Miami, il neodottore in
architettura Mohammed Atta vi si fermò per visitare un compagno detenuto nel
carcere di Tarragona ed esperto in esplosivi). E dove da Malaga a Gibilterra,
da Cadice a Siviglia, da Cordova a Granada, i nababbi marocchini e i reali
sauditi e gli emiri del Golfo hanno comprato le terre più belle della regione.
Qui finanziano la propaganda e il proselitismo, premiano con seimila dollari a
testa le convertite che partoriscono un maschio, regalano mille dollari alle
ragazze e alle bambine che portano lo hijab. Quella Spagna dove quasi tutti gli
spagnoli credono ancora al mito dell'Età d'Oro dell'Andalusia, e all'Andalusia
moresca guardano come a un Paradiso Perduto. Quella Spagna dove esiste un
movimento politico che si chiama «Associazione per il Ritorno dell'Andalusia
all'Islam» e dove nello storico quartiere di Albaicin, a pochi metri dal convento
nel quale vivono le monache di clausura devote a san Tommaso, l'anno scorso s'è
inaugurata la Grande
Moschea di Granada con annesso Centro Islamico. Evento reso
possibile dall'Atto d'Intesa che nel 1992 il socialista Felipe González firmò
per garantire ai mussulmani di Spagna il pieno riconoscimento giuridico. Nonché
materializzato grazie ai miliardi versati dalla Libia, dalla Malesia,
dall'Arabia Saudita, dal Brunei, e dallo scandalosamente ricco sultano di
Sharjah il cui figlio aprì la cerimonia dicendo: «Sono qui con l'emozione di
chi torna nella propria patria». Sicché i convertiti spagnoli (nella sola
Granada sono duemila) risposero con le parole: «Stiamo ritrovando le nostre
radici»
***
Forse
perché otto secoli di giogo mussulmano si digeriscono male e troppi spagnoli il
Corano ce l'hanno ancora nel sangue, la Spagna è il paese europeo nel quale il processo
di islamizzazione avviene con maggiore spontaneità. È anche il paese nel quale
quel processo dura da maggior tempo. Come spiega il geopolitico francese
Alexandre Del Valle che sull'offensiva islamica e sul totalitarismo islamico ha
scritto libri fondamentali (e naturalmente vituperati insultati denigrati dai
Politically Correct) l'«Associazione per il Ritorno dell'Andalusia all'Islam»
nacque a Cordova ben trent'anni fa. E a fondarla non furono i figli di Allah.
Furono spagnoli dell'Estrema Sinistra che delusi dall'imborghesimento del
proletariato e quindi smaniosi di darsi ad altre mistiche ebbrezze avevan
scoperto il Dio del Corano cioè erano passati da Karl Marx a Maometto. Subito i
nababbi marocchini e i reali sauditi e gli emiri del Golfo si precipitarono a
benedirli coi soldi, e l'associazione fiorì. Si arricchì di apostati che
venivano da Barcellona, da Guadalajara, da Valladolid, da Ciudad Real, da León,
ma anche dall'Inghilterra. Anche dalla Svezia, anche dalla Danimarca. Anche
dall'Italia. Anche dalla Germania. Anche dall'America. Senza che il governo
intervenisse. E senza che la
Chiesa cattolica si allarmasse. Nel 1979, in nome
dell'ecumenismo, il vescovo di Cordova gli permise addirittura di celebrare la Festa del Sacrificio (quella
durante la quale gli agnelli si sgozzano a fiumi) nell'interno della
cattedrale. «Siamo-tutti-fratelli.» La concessione causò qualche problema.
Crocifissi sloggiati, Madonne rovesciate, frattaglie d'agnello buttate nelle
acquasantiere. Così l'anno dopo il vescovo li mandò a Siviglia. Ma qui
capitarono proprio nel corso della Settimana Santa, e Gesù! Se esiste al mondo
una cosa più sgomentevole della Festa del Sacrificio, questa è proprio la Settimana Santa di
Siviglia. Le sue campane a morto, le sue lugubri processioni. Le sue macabre
Vie Crucis, i suoi nazarenos che si flagellano. I suoi incappucciati che
avanzano rullando il tamburo Gridando «Viva l'Andalusia mussulmana, abbasso
Torquemada, Allah vincerà» i neofratelli in Maometto si gettarono sugli ex
fratelli in Cristo, e giù botte. Risultato, dovettero sloggiare anche da
Siviglia. Si trasferirono a Granada dove si installarono nello storico
quartiere di Albaicin, ed eccoci al punto. Perché, malgrado l'ingenuo
anticlericalismo esploso durante il corteo della Settimana Santa, non si
trattava di tipi ingenui. A Granada avrebbero creato una realtà simile a quella
che in quegli anni fagocitava Beirut e che ora sta fagocitando tante città
francesi, inglesi, tedesche, italiane, olandesi, svedesi, danesi. Ergo, oggi il
quartiere di Albaicin è in ogni senso uno Stato dentro lo Stato. Un feudo
islamico che vive con le sue leggi, le sue istituzioni. Il suo ospedale, il suo
cimitero. Il suo mattatoio, il suo giornale «La Hora del Islam». Le sue case editrici, le sue
biblioteche, le sue scuole. (Scuole che insegnano esclusivamente a memorizzare
il Corano). I suoi negozi, i suoi mercati. Le sue botteghe artigiane, le sue
banche. E perfino la sua valuta, visto che lì si compra e si vende con le
monete d'oro e d'argento coniate sul modello dei dirham in uso al tempo di
Boabdil signore dell'antica Granada. (Monete coniate in una zecca di calle San
Gregorio che per le solite ragioni di ordine pubblico il Ministero delle
Finanze spagnolo finge di ignorare). E da tutto ciò nasce l'interrogativo nel
quale mi dilanio da oltre due anni: ma com'è che siamo arrivati a questo?!?