GLI
INTRECCI TRA MAFIA, ANTIMAFIA E POLITICA.
Gli anni che vanno dal 1992 al 1994 furono anni drammatici e bui
e sancirono il passaggio dalla Prima
a alla Seconda Repubblica. Quel
biennio fu contrassegnato da “Tangentopoli”
e dalle stragi di mafia. È notizia di questi giorni dell’assoluzione e della
condanna di alcuni politici e militari portati a processo per presunte
trattative con la mafia nei mesi successivi alle prime stragi. Se veramente ci
fosse stata la trattativa Stato – Mafia, l’avvenimento sarebbe gravissimo:
dimostrerebbe la debolezza dello Stato
Italiano privo di autorità e di potenza che scende a patto con dei
criminali per timore di nuovi eccidi, quando avrebbe dovuto intensificare la
repressione mafiosa con misure eccezionali, addirittura avrebbe dovuto
dichiarare lo stato di guerra in Sicilia. I mafiosi per far cessare le stragi
chiedevano la revisione dei processi e l’eliminazione del carcere duro,
previsto dall’articolo 41 bis del codice penale. Lo Stato Italiano non si piegò ed intensificò il contrasto alla
criminalità organizzata; quando fu arrestato il capomafia Salvatore Riina gli
successe Bernardo Provenzano e poco tempo dopo cambiò strategia, facendo
cessare quelle azioni eclatanti che facevano troppo rumore. I pentiti mafiosi hanno
sempre giocato un ruolo ambiguo: sono stati fondamentali per le azioni di
contrasto, ma allo stesso tempo alcune volte se ne sono sempre usciti con
storie assurde, come ad esempio quella che Berlusconi sarebbe l’ideatore delle
stragi di mafia ’92 – ’93. La notizia è talmente ridicola che si commenta da
sé. Per le politiche di contrasto alla criminalità organizzata Berlusconi ha
ricevuto più volte delle serie minacce. Non so se qualche collaboratore di
giustizia sia manovrato con la promessa di avere ulteriori agevolazioni, oppure
agisca di propria iniziativa con la speranza d’ingraziarsi chi sa lui.
Alcuni giudici come abbandonano la magistratura si ficcano in
politica, dichiarando in quale partito stanno e ottenendo delle cariche
prestigiose: Pietro Grasso, per molto tempo a capo della Dia (Direzione Investigativa Antimafia), che alla prima esperienza
politica lo fecero immediatamente Presidente
del Senato, ne è l’esempio. Precedentemente i pentiti hanno tirato fuori
altri nomi della politica altrettanto eccellenti, come ad esempio Giulio
Andreotti, il quale fu assolto dai processi che lo vedevano imputato per
collusione mafiosa. Si dice che il suo luogotenente in Sicilia, Salvo Lima, sia
stato assassinato come ritorsione per le esemplari condanne confermate dalla Corte di Cassazione nei maxiprocessi di
mafia palermitana, la cui istruttoria fu condotta dai giudici Falcone e
Borsellino e si basarono sulle testimonianze del pentito Tommaso Buscetta. Penso
che se Andreotti ha avuto dei contatti con la criminalità li ha avuti in modi impropri ed indiretti, attraverso i siculi del
suo partito che avevano contatti con la piovra. Molti politici si sono
dimostrati collusi con la mafia, come Vito Ciancimino, già assessore e sindaco
a Palermo, che avrebbe fatto da tramite nelle trattative stato – mafia.
Come detto precedentemente, lo Stato, con le politiche che
avviò, ha dimostrato di non essersi piegato ai ricatti, ma neanche avrebbe
dovuto avviare il dialogo con dei delittuosi. Ancora oggi il più corrotto dei
sistemi è duro a morire in una patria che fu creata e glorificata con i
sacrifici di uomini umili e con l’ingegno e le alte conoscenze di personaggi
illustri. A tal proposito mi torna in mente un commento di una distinta signora,
mentre qualche anno fa assistevo ad un raduno militare a Latina, in cui
ottantenni e novantenni sfilavano fieri e con l’orgoglio di aver servito la
loro patria, la quale diceva: “questi
erano disposti a farsi ammazzare e hanno visto cadere molti loro commilitoni
per un’Italia che oggi gli altri si sono mangiata tutta!”