RENZI, FORTE DELLA SUA POSIZIONE DA SEGRETARIO PD, CON L’ASSENSO DEGLI ALLEATI DI CENTRODESTRA AFFAMATI DI POTERE E SENZA AVER RICEVUTO IL MANDATO POPOLARE, LICENZIA LETTA E NE PRENDE IL SUO POSTO. LE SUE RECENTI DICHIARAZIONI E RASSICURAZIONI SI SONO RILEVATE DELLE GRAN MENZOGNE. L’AVEVO SEMPRE DETTO CHE ERA UN AMBIZIOSO ARRIVISTA SENZA SCRUPOLI.
Negli ultimi tempi ho cercato di evitare di parlare di politica italiana perché ormai il tutto era ridotto ad un vero disgusto. Il recente cambio della guardia a Palazzo Chigi è la conferma che ormai la democrazia è morta. Poteva andarmi bene un governo di emergenza, come lo era quello guidato da Enrico Letta, al fine di evitare di tornare immediatamente alle urne e sbrigare in pochi mesi le urgenze della nazione; il governo di Renzi non mi va affatto bene. Prima di tutto lo stesso non può proporre un governo di legislatura ora che al timone c’è lui, quando con Letta imponeva un patto di quindici mesi per poi tornare al voto; si trattava di una menzogna, come molte altre cose uscite dalla sua bocca: “non ci interessano rimpasti, rimpastini e staffette, roba da Prima Repubblica!”; “non farò mai il segretario Pd per destabilizzare Letta!”; “mai più larghe intese!”; “andrò al governo dopo aver vinto le elezioni!”.
Io avevo captato subito che tipo era, sin da quando lo vidi per la prima volta da candidato sindaco di Firenze in un programma televisivo e mi capitò di parlarne agli esordi di questo blog [14) L’IMPORTANTE È CHE LEGGANO del 20 maggio 2009]: “Non mi fece una buona impressione il trentaquattrenne candidato sindaco di Firenze Matteo Renzi in un programma televisivo: il giovane cresciuto con i cartoni animati e tutto Facebook; un quaquaraquà mi sembrò (un chiacchierone), tipo Lotito il presidente della Lazio.”
Allora vinse a sorpresa le primarie per la disputa della poltrona di sindaco della propria città, probabilmente ubriacando di chiacchiere i suoi concittadini del suo partito ed iniziò la sua scalata. Una volta eletto sindaco, invece di lavorare e concentrarsi totalmente per Firenze, sfruttò tale posizione per farsi notare e conoscere sempre di più all’interno della sua parte politica: attese uno ad uno la caduta dei dirigenti più noti per farsi largo e divenuto segretario del Partito Democratico al potere, gli si spalancarono le porte della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha colto l’attimo fuggente: evidentemente col voto non era così sicuro di raggiungere Palazzo Chigi. Il suo prossimo obiettivo sarà la Presidenza della Repubblica, sempre che non si bruci in pochi mesi e gli succederà un altro governicchio da Prima Repubblica, come il suo in mano ai poteri forti nazionali, alla Germania, alla Ue; in quel caso tornerà a fare il sindaco, facendo sfiduciare il suo successore a Firenze.
Alfano avrebbe potuto bloccarlo, minacciandolo col voto anticipato, non l’ha fatto perché il suo “Nuovo Centrodestra” è in caduta libera e ha temuto di finire come “Futuro e Libertà per l’Italia”; in secondo luogo i componenti del suo partito non hanno voglia di mollare le poltrone. Le riforme che vuol portare avanti questo nuovo governo avrebbe potuto tranquillamente gestirle quello vecchio.
Oggi ripropongono ciò che il governo Berlusconi produsse nel 2006 e che le sinistre fecero bocciare con il referendum: riduzione del numero dei parlamentari, fine del bicameralismo perfetto, maggiori poteri agli enti locali, eccetera. Ora la riforma elettorale non rientra più tra le priorità, lo credo bene: per rinviare il più possibile le elezioni! Personalmente non tollero l’introduzione di quote fisse distinte per sesso: al momento non c’è nessuna quota e volendo in una lista potrebbero essere presentate esclusivamente donne o al contrario esclusivamente uomini. Fanno solo un gran baccano per farsi belli con la storia della parità tra sessi e in questo modo avviene che si danno incarichi a chi non ha competenze solo per sbandierare l’uguaglianza di sesso, oppure di razza: basta guardare il caso della Kyenge, scelta nel Governo Letta solo perché di colore. Bisogna selezionare in base alla bravura: senza vietare a una donna di occuparsi di politica ma se ci sono più uomini che donne portati è giusto che sia così. Gli stessi problemi si verificano in tanti altri mestieri, dove è una questione di potenza, di testosterone, perciò sino a qualche anno fa tipicamente maschili.
In ultima cosa, questo avvicendamento di governo e la riabilitazione di Berlusconi da parte di Renzi per collaborare alle riforme, causerà ancor di più l’implosione del Partito Democratico.
Con la “parità di genere” si offende l’intelligenza di tante donne e viene umiliato il merito. Una richiesta autolesionista
RispondiEliminadi Gennaro Malgieri/lun 10 marzo 2014/11:28
Il punto
Questa storia delle quote di genere sta diventando stucchevole. Ritorna periodicamente per ricordarci lo spazio che le donne dovrebbe avere per legge nelle assemblee elettive. E a tal fine pretendono posti in lista che le garantiscono. In che misura è incerta e contraddittoria. Le fondamentaliste vorrebbero la parità assoluta. Ma c’è chi si accontenta di meno, del quaranta per cento o anche del trenta. Soltanto in virtù della oggettiva ”differenza” rispetto al maschio.
La democrazia si fonda anche sui numeri, com’è noto. Ma i numeri non possono garantire per legge una buona democrazia. E allora questa storia della parità che poi non sarà mai parità almeno nella normativa elettorale il discussione, si scontra proprio contro il senso profondo della democrazia qualitativa, un aspetto poco praticato in Italia dove, come si sa, la maggior parte delle donne che siedono in Parlamento, non diversamente dai maschi, sono state cooptate dalle segreterie dei partiti a forte prevalenza maschile. Il problema non quello di avere più donne in lista, in posizioni tali da essere “garantite”, ma trovare donne e uomini meritevoli di rappresentare il loro territorio, il loro partito, le loro idee politiche al meglio. Se in un collegio dovessero essere individuate più donne di valore rispetto ai maschi, per quale motivo non le si dovrebbe valorizzare al punto da metterle tutte in lista con buona pace dei maschi che non hanno le stesse qualità? Lo stesso discorso vale all’inverso, naturalmente. Insomma, il criterio dovrebbe essere semplicemente meritocratico piuttosto che di “genere”, come si dice oggi. E soltanto approcciando in tal modo la riforma stessa della democrazia forse è possibile avere una classe politica migliore.
Renzi ha sbandierato come una sua conquista l’aver portato otto donne al governo. Ma se ne avesse individuato dieci o dodici o anche di più tenendo conto di viceministri e sottosegretari, perché non metterle tutte nei posti-chiave con buona pace di maschi ottusi che inevitabilmente avrebbero gridato alla discriminazione?
E’ ridicolo, quindi, oltre che offensivo per le donne stesse pretendere posizioni blindate in lista (e non ci imbarchiamo in disquisizioni di carattere costituzionale) per legge. Non ha alcun senso. Se in applicazione di questo bizzarro criterio si dovesse sacrificare un maschio di alta levatura per favorire una donna modesta, chi potrebbe ritenerlo giusto oltre che utile per il Paese? E naturalmente vale anche il contrario.
Ultimo appunto. Un consistente numero di parlamentari donne pretende il quaranta per cento di posti nelle teste di liste. Ma si sono accorte che è passato il principio, dapprima negato, delle pluricandidature? Con questo sistema basta che una sola donna occupi tutte le caselle disponibili di capolista ed il gioco è bello che fatto. Perché farsi prendere perfino in giro da chi, magari in malafede – ed è certo che c’è - contesta la richiesta delle donne. Le quali una battaglia dovrebbero ingaggiarla: quella di vedersi riconosciuto il merito tante volte negato attraverso la riforma dei partiti stessi. Ma questo è un altro discorso…
La preferenza di genere e il merito: naturalmente incompatibili
RispondiEliminaDi Andrea Asole, il 7 marzo 2014 - # - Replica
Durante la discussione dell’Italicum alla Camera è spuntato un emendamento del Partito Democratico che propone, ancora, le cosiddette “preferenze di genere”, cioè la possibilità di indicare due preferenze su chi eleggere come parlamentare, una preferenza per un uomo e una preferenza per una donna in ossequio alle quote rosa.
Ma i parlamentari bisogna eleggerli sulla base di quale criterio? Gli elettori sono tenuti a votare i parlamentari su una mera distinzione di sesso oppure scelgono i loro rappresentanti in Parlamento sulla base di una valutazione di competenze?
Sappiamo tutti quanto in realtà in Italia il voto di preferenza sia influenzato dal clientelismo e quanto sia diffusa la pratica del voto di scambio, è verificabile ogni qual volta vi siano elezioni amministrative, ma il principio dovrebbe essere che un elettore sceglie il proprio rappresentante ad ogni livello in base a quanto lo ritenga competente, capace e meritevole di fiducia, indistintamente dal sesso, a maggior ragione quando un articolo della Costituzione, il 54, sancisce espressamente che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.
Adesso, posto che “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini” (art.48), per quale motivo un elettore deve essere obbligato a scegliere due eletti che lo rappresentino sulla base di una differenza biologica? E se un elettore ritenesse che le persone più competenti fossero due uomini o due donne? Siamo di fronte al caso secondo cui l’ideologia scavalca il merito.
Se si lotta per l’uguaglianza di genere, non si dovrebbe attuare una discriminazione alla rovescia per imporre le quote rosa. Il presidente americano Lyndon Johnson, quando negli Stati Uniti era acceso il dibattito sui diritti civili nei primi anni ’60, per spiegare la sua politica utilizzò questa metafora: “Supponiamo che un uomo abbia trascorso molti anni in catene. Viene liberato e condotto ai nastri di partenza di una corsa. Gli si dice: ora sei libero di partecipare insieme agli altri. Sarebbe questo un trattamento equo?”: in altre parole, secondo l’ex Presidente democratico, una precedente situazione di discriminazione la si bilancia con le discriminazioni alla rovescia, il che è paradossale; ancora più paradossale è il fatto che i progressisti di tutto il mondo abbiano adottato questa risibile argomentazione per giustificare tutte quelle legislazioni volte a introdurre discriminazioni alla rovescia. Quella, che trova largo uso nel femminismo radicale, secondo cui l’uomo opprime la donna, cavallo di battaglia di “Se non ora quando?”, non convince: per una effettiva parità non è necessario avvantaggiare chi è stato sinora sfavorito, ma metterlo sullo stesso piano; d’altronde uguaglianza vuol dire proprio questo: dare a tutti le stesse possibilità in partenza, dopodiché i più bravi e meritevoli andranno più avanti, e in questo non c’è nulla di iniquo.
Applicare il discorso della parità di genere ad una competizione elettorale vuol dire limitare di fatto quella che in teoria dovrebbe essere la libera scelta di indicare il parlamentare da cui ci si sente più rappresentati. Si è tanto criticato il Porcellum perché non dava possibilità di scelta, ora viene proposto un emendamento che vorrebbe indirizzare rigidamente tale scelta.
Partire dal presupposto che le donne prendano meno voti o non vengano elette in quanto donne, quindi voler imporre la preferenza di genere, significa avere poca fiducia o non avere affatto fiducia nella coscienza civile degli italiani. L’Italia anno 2014 non è più l’Italia del 1948 in cui la donna era a prescindere ghettizzata, gli italiani se ne sono accorti, il PD no: se un candidato sa costruirsi il consenso viene eletto, se non sa costruirselo non viene eletto. Il resto è ideologia, e questa ideologia è incompatibile col merito.