Ridateci Saddam e Gheddafi per sconfiggere Al Qaida
Le loro mani, come quelle di Assad, grondavano sangue ma abbatterli è stata una pessima idea: ora dilaga il terrore
Livio Caputo- Ven, 13/06/2014 - 09:11
Alla luce degli ultimi avvenimenti in Medio Oriente e dell'apparentemente irresistibile avanzata dei fanatici dello Stato Islamico di Iraq e Siria (Isis) verso Bagdad, ecco quattro domande politicamente scorrette.
1) Gli americani sono pentiti di avere scatenato la guerra contro l'Iraq (sulla base di false premesse) e abbattuto Saddam Hussein, che sia pure con metodi disumani riusciva a tenere insieme un Paese artificiale senza farlo precipitare, come sta accadendo oggi, nella guerra civile?
2) I politici occidentali si sono finalmente resi conto di quanto sconsiderato sia stato il loro intervento in Libia, neppure concordato in anticipo tra gli alleati, che ha portato alla caduta e all'assassinio di Gheddafi e in due anni ha trasformato il Paese in uno Stato fallito, ormai privo di un potere centrale, che invece di due milioni di barili di greggio riesce a malapena a produrne un decimo?
3) I politici americani ed europei si stanno infine rendendo conto di quanto sia stato imprudente appoggiare la rivolta contro Bashar el Assad, con il risultato di avere moltiplicato per dieci i morti in Siria, di avere messo in grave pericolo le minoranze etniche e religiose e di avere trasformato il Paese in un magnete per tutti i jihadisti del mondo che poi torneranno nei Paesi d'origine a commettere attentati?
4) La amministrazione Obama ha capito di avere sbagliato a scaricare da un'ora all'altra il vecchio e fedele alleato Mubarak, ad appoggiare - solo perché (apparentemente) eletto dal popolo - il presidente Morsi dei Fratelli musulmani e ora di snobbare il suo successore generale Al-Sisi, l'unico che sembra in grado di riportare l'ordine nel Paese, solo perché è arrivato al potere con un colpo di Stato?
Ufficialmente, alla base di queste strategie occidentali stavano due obbiettivi: primo, salvare la popolazione civile in qualche modo coinvolta nella «primavera» dalle rappresaglie dei vari dittatori; secondo, convogliare i rispettivi Paesi verso la democrazia.
Ebbene, è stato un fallimento su tutti i fronti. L'Iraq, non appena nel 2011 Obama ha ritirato le truppe americane, che avevano lasciato sul terreno molti morti e feriti, è scivolato gradualmente verso l'anarchia, con un governo a predominio sciita sempre più sottomesso all'Iran, incapace di trovare un minimo comun denominatore tra sciiti, sunniti e curdi e - come si sta vedendo in queste ore - di addestrare un esercito degno di questo nome nonostante 14 miliardi di aiuti statunitensi.
La lezione è che interferire con quanto avviene nel mondo arabo è sempre sbagliato. Perciò, lasciamo almeno in pace l'Egitto, che sia pure ritornando al passato sta ritrovando l'equilibrio e ha tutto l'interesse a che torni un po' d'ordine nei Paesi che lo circondano.
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