I CALCIATORI DELLA NAZIONALE HANNO PIANTO PER DELLE SCIOCCHEZZE E
OVVIAMENTE PER FAR SCENA, COME GLI ATTORI, MENTRE C’ERANO COLORO CHE PIANGEVANO
PER I LORO CARI ASSASSINATI IN BANGLADESH.
Ormai oggi è diventata una moda: quando i calciatori professionisti
strapagati perdono una partita importantissima iniziano a piangere a dirotto. È
esattamente quello che è accaduto con l’eliminazione della nazionale di calcio italiana dall’ultimo Campionato Europeo per Nazioni. Anni addietro tutti prendevano in
giro Diego Armando Maradona che piangeva quando perdeva, ma ai tempi in cui giocava
a calcio per uno sportivo era raro piangere per una sconfitta, e gli dicevano: “grande e grosso, piange come un bambino!”
Oggi invece tutti sono contenti vedere i calciatori italiani piangere per la
nazionale: è considerato un segno di vero attaccamento alla casacca che
indossano. Per chi è abituato a vincere facile (almeno in Italia), come gli
juventini, di cui la nazionale è zeppa, è durissima accettare una sconfitta. Saranno
anche l’eccessiva eccitazione, l’enfasi, la concentrazione, la tensione per
l’alta posta in palio, sotto la visione di milioni e milioni di persone, la
paura di fare errori grossolani, la miscela di sostanze farmaceutiche consentite
di ingerire, che porteranno a sfogare la delusione nei dopogara. Inoltre si
farà un po’ di scena, per far vedere alle masse che si tiene veramente a quella
competizione. La gente abbocca, sono pochi quelli che vedono al di là del naso.
Per fare un paragone stupido è un po’ quello che accade nel mondo
teatrale professionistico e dello televisione; tutti, dopo uno recitazione,
dopo una proiezione, esclamano: “che
bravi interpreti, che storie commuoventi!” Raramente si va ad indagare
su quello che c’è dietro le quinte: non ci si pongono quesiti sugli
sceneggiatori che vogliono dare lezioni morali e sugli attori che recitano i
buoni, domandandosi se effettivamente nella vita reale si comportano come nella
finzione; o ancora: non vengono dei dubbi se nel mondo dello spettacolo le donne non molto brave ma dai facili costumi. Il
paragone regge a pennello tra i calciatori e gli attori, perché entrambe le
categorie sono in mano agli impresari, agli agenti, ai procuratori, dentro ci sono dei retroscena e degli impicci che nessuno saprà mai e perché anche
i primi spesso recitano: oltre che per i motivi accennati pocanzi, anche per le
sceneggiate che effettuano in campo, come ad esempio accentuando una caduta o
il dolore per un fallo subìto.
Nell’ultima gara della nazionale
italiana i giocatori avrebbero potuto tenere un atteggiamento più
dignitoso, considerando l’ennesimo eccidio di matrice islamica avvenuto in
Bangladesh, che questa volta ha colpito particolarmente l’Italia. Gli italiani
hanno giocato con il lutto al braccio dopo aver effettuato un minuto di
raccoglimento, successivamente hanno dimenticato i loro connazionali uccisi e
le loro famiglie duramente segnate, che versavano vere giustificate lacrime di
dolore. Per una forma di rispetto verso i morti, la compagine italiana avrebbe potuto concedere le interviste ai
giornalisti il giorno seguente alla sconfitta, una volta smaltita la tensione
della partita, tenendo un atteggiamento più dignitoso, evitando pianti, comportandosi
da veri uomini, non da bambini viziati abituati ad avere tutto. Potranno aver perduto una partita, non i loro miliardi. È soprattutto nei
momenti tragici come questi che dovremo ricordarci di essere italiani, tirando fuori
i tricolori. Dovremmo esporli pure negli anniversari della nostra storia
gloriosa, non possiamo sentirci italiani principalmente per il pallone.
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