LA RIFORMA
COSTITUZIONALE È PASTICCIATA, NON SEMPLIFICA LA LEGISLAZIONE E
RIDUCE DI POCO I COSTI DELLA POLITICA. NON SI CAPISCE NEANCHE A COSA SERVIRÀ IL
NUOVO SENATO: NON ERA MEGLIO ELIMINARLO DEL TUTTO? LE PROVINCE VANNO ABOLITE
COME ISTITUZIONI MA NON COME ENTITÀ GEOGRAFICHE.
Da molto tempo e senza avere il minimo dubbio ho scelto di
votare no alla proposta di riforma costituzionale del Gabinetto Renzi. In quella riforma non si capisce che funzione avrà
il nuovo Senato: sarà il dopolavoro
di cento sindaci che potranno dare indicazioni alla Camera dei Deputati sulla modifica alle proposte di legge, ma nella
maggioranza dei casi essa se ne fregherà di quello che dirà il Senato. Nei casi di riforme costituzionali,
col sistema proposto, servirà il doppio voto: sarà facile che Camera e Senato avranno colori politici diversi e difficilmente si
metteranno d’accordo. Il ruolo dei nuovi senatori sarà quello di fare le “belle statuine”. Le loro immancabili
trasferte saranno molto costose e ricadranno sul contribuente: non c’è nessuna
norma che dica il contrario. Un altro aspetto controverso è che i senatori
eletti dai consigli regionali avranno scadenza quinquennale, mentre in nominati
dal Capo dello Stato dureranno un
settennato. Che senso ha dire di abolire il Senato
(e in passato le province) e poi i loro membri verranno nominati dall’alto e
non dal popolo? O si elimina del tutto o non si elimina affatto: si potranno
ridurre i loro membri, si potranno cambiarne le funzioni, ma se si terrà in
vita sarà meglio che il senato verrà eletto dai cittadini.
Era meglio la proposta di riforma costituzionale del 2006 che fu
bocciata tramite referendum: in quel caso il Senato avrebbe regolato e promosso le leggi delle regioni, che
sarebbero diventati dei piccoli stati nello stato; allora sì che quell’organo
sarebbe servito a qualcosa. Inoltre c'era anche la norma anti-ribaltone, non presente in questa riforma: cioè i parlamentari eletti in un partito non avrebbero potuto cambiare casacca e dare vita a governi non eletti. Nella riforma costituzionale che fu promossa dal Governo Berlusconi non solo il numero
dei senatori sarebbe stato ridotto, anche quello dei deputati; mentre nella
proposta di riforma odierna il numero dei deputati rimarrà invariato. Nel 2001
il centrosinistra approvò una riforma per dare più potere alle regioni; oggi
invece vorrebbe tornare allo stato centralizzato. Per adesso secondo il mio parere è meglio far restare tutto com’è, in
seguito si studieranno proposte più serie di riforme costituzionali, attraverso
una vastissima collaborazione politica, e non come adesso: con un governo
imposto dall’alto e non eletto dai cittadini, che incrementa i consensi con i
regali elettorali.
Per quanto riguarda le province non si capisce se verranno abolite totalmente, o solo come
istituzioni; a gennaio prossimo ci dovrebbero essere le elezioni (ristrette per
pochi) per eleggere i loro consiglieri. Boh, non si capisce nulla. Una cosa
però è certa: io tengo molto a (LT), che è sempre stato presente nel mio
indirizzo e voglio che non sia rimosso. Sarebbe importante lasciare le sigle
delle province per indicare la provenienza geografica; va bene poi eliminare i
consiglieri provinciali, i presidenti e gli assessori, soprattutto dopo che
hanno cambiato la formula per eleggerli.
A conti fatti il no a questo referendum dovrebbe prevalere sul
si: il centrodestra è contrario, il M5S
è contrario, un terzo del Pd è
contrario, la sinistra estrema è contraria; per il si ci sono soltanto la
maggioranza Pd e quel poco di centro
che c’è. Ma non si sa come finirà: l’elettore potrebbe decidere di non seguire
le indicazioni dei vari partiti. Sarà soprattutto un referendum su Renzi, per
giudicare le sue politiche: a destra intendono punirlo per l’immigrazione
clandestina di massa, a sinistra per le politiche sociali, in disaccordo con la Cgil, e per sbarazzarsi di un
non ex comunista. La tendenza mondiale odierna è quella di andare contro i
poteri forti: si vedano le recenti elezioni presidenziali americane e il
referendum britannico sull’Ue. Sarebbe
il colmo se l’Italia andasse controcorrente, attraverso l’ennesima sorpresa
elettorale. C’è da preoccuparsi del giornale Economist che dà indicazioni negative a questo referendum: di
solito avviene tutto il contrario di ciò che quel settimanale consiglia.