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domenica 6 novembre 2016

332) SINDROME DA ONNIPOTENZA



TROPPA LIBERTÀ SU INTERNET? SI, MA È UN MEZZO A DISPOSIZIONE DI TUTTI. COSA DIRE ALLORA DEI PERIODICI CARTACEI DI INFORMAZIONE NEI PAESI, AD ESCLUSIVO USO DI UNA RISTRETTA CERCHIA DI PERSONE, CHE SI ACCANISCONO SENZA PIETÀ CONTRO CHI NON LI GARBA (COSTORO SENZA LA RETE VIRTUALE NON POTREBBERO FAR NULLA PER DIFENDERSI) O SI AGGIUSTANO LE NOTIZIE A LORO MODO, SPESSO NON DANDO LA POSSIBILITÀ DI REPLICA? 


Ormai su internet c’è di tutto e di più: la quasi totale popolazione mondiale vi accede ed in assoluta libertà vi immette di tutto, compreso ciò che è penalmente perseguibile. Per chi fa abuso di questo strumento scatta la denuncia penale e la chiusura dei suoi vari siti. Bisogna innanzitutto vedere il lato positivo: cioè descrivere il mondo dal proprio punto di vista e non deformando l’informazione come i principali media di regime. Esprimere il proprio parere in questi nuovi mezzi di comunicazione è un fenomeno di massa globale, non è un’anomalia; semmai lo è farsi ossessionare da uno solo in mezzo a miliardi, tirando fuori la collera che si porta dentro, quando basterebbe ignorare o pensare agli affari propri, oppure contrastare le posizioni altrui, direttamente o indirettamente, con i dovuti modi. Basta usare questa tecnologia con moderazione, senza divenirne schiavi: sarebbe più opportuno per tutti noi preoccuparci di più delle faccende di casa o d’altre cose prioritarie, anziché stare dalla mattina alla sera appiccicati ad uno schermo o ad un telefono mobile a guardare i fatti degli altri. Tutti possono accedere facilmente alle reti informatiche, a differenza degli altri mezzi di informazione grandi e piccoli. 

  
È nei paesi che coloro che riescono a pubblicare dei fogli di informazione con continuità, godendo di un quasi monopolio, si sentono onnipotenti, importanti. Come fanno coloro che non sono di Roma e che per darsi un tono d’importanza si fissano col linguaggio popolare della metropoli (con i tempi che corrono non mi sembra un gran vanto passare per romano). Va bene la critica (oltre a quella, quali posizioni? Quali idee?) sui fatti paesani, sui personaggi più in vista e sul loro pubblico operato, ma non la cattiveria, la denigrazione e gli insulti (Che cosa manca loro? A me sembra che stanno molto meglio rispetto agli altri). Perseguitare i vari personaggi paesani che non garbano, per avversità politiche, personali, per gelosie, da parte dei micro – media locali di oggi e di ieri, è più grave dell’uso improprio della rete virtuale: vuoi perché questi fogli locali raggiungono tutti, anche coloro che non hanno dimestichezza con i computer, sputtanando i malcapitati nel luogo in cui vivono, e vuoi perché i perseguitati non dispongono di mezzi altrettanto potenti per difendersi o per replicare (ad esempio a me una volta non fu concessa la possibilità di rispondere ad un articolo in cui si commentava una mia composizione personale, dove se ne uscirono con argomenti che non c’entravano nulla). Oggi qualcuno in parte si salva tutelandosi su internet (ma non avrà mai l’utenza globale di un giornale paesano); venti o trent’anni fa cosa avrebbe fatto? Con un attacco diretto avrebbe potuto rispondere dattiloscrivendo un manifestino, facendo delle fotocopie ed affiggendole nei vari punti del suo paese; il guaio è che coloro che hanno inveito da sempre, è raro che lo abbiano fatto direttamente, a viso aperto e guardando in faccia. La pazienza della gente non è infinita: alla lunga si stufa di essere pubblicamente denigrata sul piano personale, di essere ferita, umiliata e quant’altro. Non è una questione del sentirsi di avere la coda di paglia; il fattore più fastidioso è il divertimento di chi comprende. Uno fa di tutto per essere superiore, per pensare ad altro, per non abbassarsi anch’egli a quei miseri livelli e per non ripagare con la stessa moneta. Mi capita di sentire le omelie domenicali cattoliche, in cui il sacerdote ci ripete con severità che il cristiano non giudica, non si vendica. Penso che è meglio scaricarsi, liberarsi, rispondere a tono, piuttosto che tenersi tutto dentro, far finta che vada tutto bene e poi sfogare il proprio malumore con chi non c'entra nulla. Tempo fa ad un signore che era molto religioso venne l’esaurimento a furia di essere superiore e di  perdonare chi gli faceva contro qualcosa. Uno in condizioni normali se ne guarderebbe bene di entrare nei fatti privati altrui: ma se lo fa, avrà le sue buone ragioni, spinto dall’esasperazione, poiché non si sono fatti scrupoli di entrare più volte nella sua sfera personale e di sfregiarlo. Parlando per me, non mi sembra di essere mai entrato nella vita privata delle singole persone, di qualcuno/a in particolare (se non rientrano nella mia cerchia dei parenti o delle amicizie intime non mi importa nulla di chi sono e di quello che fanno): ho sempre parlato a livello generico, totale. 

Le persone sconosciute,  con cui non si ha nulla a che fare, che non hanno i titoli per giudicare gli altri e spettegolando stampano delle sentenze indirette: che ne sanno chi sono i giudicati, cosa fanno, chi frequentano, se sono fidanzati, sposati, divorziati, ri – fidanzati, zitelli; per caso presentano loro settimanalmente delle relazioni dettagliate sui loro fatti privati? La risposta più semplice e banale è quella più efficace: non sono fatti loro. 


Conservo i fogli mensili locali in cui ho scritto qualcosa: tirandoli fuori dopo tanto tempo ho notato un fatto. Potrei continuare parlando di una contraddizione nel giudicare diversamente, prima in positivo e poi in negativo (quando preferii non rispondere, pure se fui aggredito brutalmente), un mio testo pubblicato due volte (su carta ed in rete), ma mi fermo qui.  

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