Polonia: il rosario
'sui confini della Patria'
Appuntamento di
preghiera e speranza fissato per il 7 ottobre
29/09/2017 08:57
Si svolgerà il prossimo 7 ottobre, in Polonia, la manifestazione
religiosa “Rosario alle frontiere”, organizzata dai fedeli laici cristiani
della Fondazione “Solo Dios Basta”. I cui responsabili hanno spiegato che quel
giorno “una catena umana di persone si posizionerà lungo i confini della
nazione e reciterà il rosario, per la Polonia e per il mondo intero”. All'iniziativa ha
aderito anche la Conferenza
episcopale locale: “Chiediamo a tutti i fedeli di partecipare. Preghiamo
insieme: clero, persone consacrate e fedeli laici, adulti, giovani e bambini”
si legge nella nota dei vescovi polacchi.
La giornata di preghiera (i dettagli sono illustrati nel sito www.rozaniecdogranic.pl) celebra anche il centenario delle apparizioni di Fatima
nonché festa della Madonna del Rosario. Tale ricorrenza è stata introdotta dopo
la grande battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, quando la flotta della Lega
Santa sconfisse quella dell'Impero ottomano salvando l'Europa
dall'islamizzazione. Una vittoria che secondo i cristiani oltre al valore dei
combattenti è dipesa anche dall'intervento divino, invocato appunto attraverso
la recita del rosario. “La preghiera potente del Rosario – si legge nel sito
dell'associazione organizzatrice dell'evento - può influenzare il destino della
Polonia, dell'Europa e anche del mondo intero”. Oggi come allora.
Una Carta
senza amor patrio
Terza e ultima puntata del viaggio nella
Costituzione
Di amor patrio non si accenna minimamente nella nostra Costituzione e si può capire la ragione storica
contingente: venivamo da una guerra perduta e dall’ubriacatura fascista e
nazionalista, da un patriottismo esibito e guerresco, ed eravamo diventati di
fatto un paese a sovranità limitata.
Tutto
questo impose la sordina all’amor patrio.
Infatti di patria si parla nella Costituzione solo all’art. 52 a proposito della difesa dei confini; un tema per
certi versi oggi più urgente che nel passato e per altri superato dopo Schengen
e nella società globale. Ma l’idea difensiva della patria non può esaurire
l’amor patrio che non si esercita solo in caso di necessità estrema, ma anche
in positivo come un legame d’affetto, di identità e di storia.
Sparisce l’amor patrio, la cultura dell’identità italiana e la mazziniana religione
della patria; di sacro restano i confini, oggi impunemente violati, e la difesa
in caso di pericolo. La nostra Costituzione è troppo recente per fondare
l’amor patrio e troppo vecchia per essere immutabile col nuovo millennio e a 70
anni dalla nascita.
La
Costituzione non è immodificabile nel nome di una visione teologica della Carta, che Ciampi
definì la nostra Bibbia laica; ogni Carta è figlia del suo tempo e nella nostra
carta c’è tutto il sapore del Novecento, delle sue ideologie, dei suoi conflitti,
del suo linguaggio.
Oggi per esempio difficilmente si esordirebbe dicendo che la nostra è una repubblica “fondata sul lavoro”,
considerando che un’affermazione del genere non riguarda più l’assoluta
maggioranza degli italiani. È un’asserzione nobile e significativa ma non è
universalmente rappresentativa, se si considera che il prolungamento dell’età
media e dell’età giovanile, più i flussi migratori hanno reso il nostro paese
abitato in maggioranza da cittadini che non lavorano più o non lavorano ancora.
Meglio sarebbe in linea di principio stabilire che la nostra è una repubblica
fondata sul rispetto della persona e della comunità, mediante i diritti e i
doveri di ciascuno e di tutti, e dunque la libertà, il lavoro e la dignità dei
suoi cittadini.
E sarebbe opportuno esplicitare nella Costituzione l’amor patrio e fondare
la nostra democrazia sul principio di responsabilità personale e comunitaria e
sulla finalità del bene comune. Sul piano degli ordinamenti, alcune modifiche
ci sono già state, come la modifica del titolo quinto della Costituzione
riguardo l’assetto federale.
Non sarebbe affatto inconcepibile se la nostra democrazia si riconfigurasse
da repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, come la Francia o gli Stati Uniti.
Ipotesi che i padri costituenti non presero allora in considerazione perché
uscivamo dall’esperienza di una dittatura e si temeva il risorgere di
leadership forti, autoritarie; ma oggi il presidenzialismo sarebbe pienamente
legittimo e sacrosanto.
Peraltro c’è una lunga e rispettabile storia di proposte in
questo senso: da
Pacciardi a Craxi passando per Almirante, e poi il gruppo democristiano di
Europa ’70 e il gruppo di Milano guidato da Miglio. Certo, le modifiche della
Costituzione vanno fatte con maggioranze qualificate e non semplici, risicate e
occasionali, perché devono esprimere una volontà larga, profonda e duratura.
Ma altre modifiche potranno darsi se si considera che siamo oggi nell’Unione
Europea, viviamo in una società globale, ci sono i flussi migratori, nuovi
scenari e nuovi reati legati alle nuove tecnologie, alla bioetica e alle
violazioni della privacy. Senza considerare gli sconfinamenti dei poteri
istituzionali.
La
Costituzione in Italia non ha né i meriti né le colpe che le vengono attribuite; è rimasta sulla
carta, non ha dato frutti, non è stata causa di progressi né di sciagure. Le
carte costituzionali, soprattutto nei paesi mediterranei come il nostro, sono
cornici, ma nessun’opera d’arte è stata giudicata dalla cornice.
Sono norme, carte da visita, ideologiche e rituali, regolamenti astratti, dichiarazioni di
principio e di intenzioni generiche; ma la vita è altrove, la realtà è un’altra
cosa, il mondo va per la sua strada.
Il problema vero non è quel documento, utile per capire lo spirito di un’epoca, i
valori e i compromessi di una stagione, ma non per rigenerare un paese e dare
una prospettiva di vita e di sviluppo.
Il nodo è un altro: dove si è cacciata l’Italia, qual è e dov’è il suo tratto
comune, la sua presente e concreta fisionomia, i suoi punti salienti che la
distinguono dagli altri paesi e la accomunano al suo interno?
Insomma bisogna avere una visione “laica” e non teologica della
Costituzione,
considerarla figlia e non madre della storia, dettata dal proprio tempo, dalle
sue esigenze e dalle forze prevalenti dell’epoca e non dettata da Dio a Mosè
sul Monte Sinai.
Una Costituzione da rispettare, non da imbalsamare e adorare; quindi modificarla nelle sue parti
più deperibili è un modo per rispettarla sul serio, rendendola viva e aderente
alla vita di una nazione e al suo avvenire.
E
comunque l’anno che verrà prima di essere il 70° della Costituzione sarà il
centenario della Vittoria, il
4 novembre 1918. Se fosse quella la priorità, e se meritasse di
essere ripristinata almeno per il centenario come festa nazionale solenne?
In
fondo è l’unica data condivisa che ricorda l’unità degli italiani.
Se il comune proposito è rifondare l’Italia, il pericolo prioritario da cui dobbiamo
salvarla è lo sfascismo trasversale e molecolare che la sta distruggendo.
Occorre allora rifondare l’Italia sulla resistenza allo sfascismo imperante e
su una vera lotta di liberazione antisfascista.