“LA NOTTE IN CUI MUSSOLINI PERSE LA TESTA” è
UN LIBRO USCITO DI RECENTE, SCRITTO DA PIRLUIGI VERCESI, CHE PARLA DEGLI EVENTI
DEL 25 LUGLIO 1943, IN CUI MUSSOLINI FU DESTITUITO DA CAPO DEL GOVERNO DOPO
VENTI ANNI.
Il pomeriggio del 24 luglio 1943 si riunì il Gran Consiglio
del Fascismo su richiesta di alcuni gerarchi. Era dal 1939 che tale organo
supremo del Regime non si radunava. Il giornalista del Corriere della Sera
Pierluigi Vercesi ripercorre quei momenti e la preparazione nelle settimane
precedenti, avvalendosi delle testimonianze che a suo tempo rilasciarono i
protagonisti e di qualche documento scritto.
Nel 1943 la guerra per l’Italia, con lo sbarco degli Alleati
in Sicilia, era compromessa e tutti la davano per persa, così il Re, i
generali, altre alte cariche dello stato e gli stessi gerarchi del fascismo
trovarono in Mussolini il responsabile, il capro espiatorio. Già dalla fine del
1942 tramavano per la destituzione del Duce, al fine di far uscire la nazione
dalla guerra. Con gli eventi del 1943 e l’intensificarsi dei bombardamenti
Alleati sulle città italiane, due complotti paralleli furono portati avanti:
uno da parte dei generali fedeli alla monarchia, l’altro da parte dei gerarchi
fascisti, su cui spiccava Dino Grandi, il Presidente della Camera dei Fasci e
delle Corporazioni, che presentò un ordine del giorno, in cui chiedeva la
restituzione della carica di capo delle forze armate al Re. Quel Re che gli
aveva conferito il Collare dell’Annunziata, la massima onorificenza di Casa
Savoia, che ne faceva una sorta di cugino. Mussolini intendeva fare
pressioni su Hitler affinché chiedesse un armistizio con l’Urss per concentrare
le forze dell’Asse sul fronte italiano. I due dittatori si incontrarono il 19
luglio 1943, il giorno del primo bombardamento di Roma, a Feltre (Belluno); il
Capo di Stato Maggiore delle forze armate italiane, Generale Vittorio Ambrosio,
disse a Mussolini di riferire ad Hitler che l’Italia non era più in grado di
continuare la guerra, ma egli non aprì bocca per paura. Da parte tedesca
iniziava a profilarsi l’invasione della penisola italiana, da parte italiana si
prendevano precauzioni n caso di armistizio e cambio di nemici.
Su pressioni da più parti il Duce fu costretto a cedere e a
riunire il Gran Consiglio il 24 luglio a Palazzo Venezia, sua residenza
politica, e la riunione proseguì oltre la mezzanotte del 25 luglio. Molti
gerarchi avevano piene le tasche di armi e di bombe a mano, in caso di
un’eventuale resa dei conti. I più stretti consiglieri fidati di Mussolini
premettero sullo stesso per l’arresto dei ribelli, ma egli lasciò correre. I
gravi problemi di salute, causati dalla gastrite, resero Il Capo del Governo facile
a continui cambi di umore e di opinione. L’ordine del giorno Grandi fu
approvato con 19 voti a favore (poi 18 con la ritrattazione di uno), 7 voti
contrari ed un astenuto. Mussolini non prese iniziative e il pomeriggio del 25
luglio si recò a Villa Savoia dal Re, che l’aveva già sostituito con Badoglio,
pensando che il Sovrano non avrebbe preso in considerazione il voto del Gran
Consiglio che riteneva consultivo. Prima di andare egli passò anche nei luoghi
del bombardamento romano e fu sorpreso dalla reazione della folla, che anziché
inveire contro di lui, gli chiedeva aiuti. Terminato il colloquio col sovrano
alcuni ufficiali dei carabinieri presero in custodia l’ex capo del fascismo e
lo caricarono su un’autombulanza, al fine di proteggerlo, secondo la
motivazione ufficiale. A Villa Torlonia, dove Mussolini abitava con la
famiglia, quando giunse notizia della caduta del Fascismo, una folla immensa vi si
presentò davanti, ma la residenza era protetta dai militari. Donna Rachele,
moglie di Benito Mussolini, aveva raccomandato invano al marito di non andare
dal Re, prevedendo che sarebbe finita male. Quel giorno la moglie dell’ex Duce
seppe anche della relazione, che durava da anni, del marito con Claretta
Petacci. Alcuni militari di stazza a Villa Torlonia chiesero il permesso a
Rachele di prendere qualche ricordo di Mussolini e uno di questi si commosse quando vide
il ritratto del suo ex commilitone Bruno Mussolini, uno dei figli di Rachele e
Benito, morto due anni prima in un incidente aereo. Qualche giorno dopo arrivò
una lettera di Mussolini alla moglie (che festeggiò il suo 60° compleanno in
prigionia), in cui diceva che stava bene e chiedeva degli abiti. Il Governo
Badoglio si insediò, vi presero parte militari che avevano lavorato alla
destituzione di Mussolini, e dichiarò che la guerra continuava, al fine di
prendere tempo a prepararsi alla reazione tedesca quando sarebbe stato
annunciato l’armistizio con gli Alleati.
L’autore del libro fa anche dei paragoni tra la disfatta di
Caporetto del 1917 con quella del 1943 e le diverse reazioni che ci furono: nel
‘17 furono perse alcune province venete ma nessuno parlava di resa, nel ’43 fu
persa la Sicilia e tutti volevano arrendersi (Secondo me furono i bombardamenti
alleati, al fine di demoralizzare la popolazione civile, oltre che l’impreparazione
militare italiana nella Seconda Guerra Mondiale, che fecero la differenza nelle
due disfatte citate delle due guerre mondiali: infatti nel 15 – 18 l’aviazione
era al debutto e non causò molti danni con i bombardamenti delle città). I congiurati
del 25 luglio furono condannati a morte durante la Repubblica Sociale
Italiana, ma soltanto su Ciano (genero di Mussolini), De Bono, Marinelli,
Pareschi e Gottardi fu eseguita la sentenza di fucilazione, gli altri fuggirono.
Cianetti, che il 25 luglio ritrattò immediatamente il suo voto contrario, fu
condannato a 30 anni di reclusione. Secondo lo stesso scrittore se Mussolini
non fosse stato liberato dai tedeschi e messo a capo della RSI, nel
dopoguerra avrebbe subito un processo e forse sarebbe stato amnistiato da un
ministro comunista.