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domenica 23 febbraio 2020

439) LA NOTTE IN CUI MUSSOLINI PERSE LA TESTA

“LA NOTTE IN CUI MUSSOLINI PERSE LA TESTAè UN LIBRO USCITO DI RECENTE, SCRITTO DA PIRLUIGI VERCESI, CHE PARLA DEGLI EVENTI DEL 25 LUGLIO 1943, IN CUI MUSSOLINI FU DESTITUITO DA CAPO DEL GOVERNO DOPO VENTI ANNI.



Il pomeriggio del 24 luglio 1943 si riunì il Gran Consiglio del Fascismo su richiesta di alcuni gerarchi. Era dal 1939 che tale organo supremo del Regime non si radunava. Il giornalista del Corriere della Sera Pierluigi Vercesi ripercorre quei momenti e la preparazione nelle settimane precedenti, avvalendosi delle testimonianze che a suo tempo rilasciarono i protagonisti e di qualche documento scritto. 

Nel 1943 la guerra per l’Italia, con lo sbarco degli Alleati in Sicilia, era compromessa e tutti la davano per persa, così il Re, i generali, altre alte cariche dello stato e gli stessi gerarchi del fascismo trovarono in Mussolini il responsabile, il capro espiatorio. Già dalla fine del 1942 tramavano per la destituzione del Duce, al fine di far uscire la nazione dalla guerra. Con gli eventi del 1943 e l’intensificarsi dei bombardamenti Alleati sulle città italiane, due complotti paralleli furono portati avanti: uno da parte dei generali fedeli alla monarchia, l’altro da parte dei gerarchi fascisti, su cui spiccava Dino Grandi, il Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che presentò un ordine del giorno, in cui chiedeva la restituzione della carica di capo delle forze armate al Re. Quel Re che gli aveva conferito il Collare dell’Annunziata, la massima onorificenza di Casa Savoia, che ne faceva una sorta di cugino. Mussolini intendeva fare pressioni su Hitler affinché chiedesse un armistizio con l’Urss per concentrare le forze dell’Asse sul fronte italiano. I due dittatori si incontrarono il 19 luglio 1943, il giorno del primo bombardamento di Roma, a Feltre (Belluno); il Capo di Stato Maggiore delle forze armate italiane, Generale Vittorio Ambrosio, disse a Mussolini di riferire ad Hitler che l’Italia non era più in grado di continuare la guerra, ma egli non aprì bocca per paura. Da parte tedesca iniziava a profilarsi l’invasione della penisola italiana, da parte italiana si prendevano precauzioni n caso di armistizio e cambio di nemici. 

Su pressioni da più parti il Duce fu costretto a cedere e a riunire il Gran Consiglio il 24 luglio a Palazzo Venezia, sua residenza politica, e la riunione proseguì oltre la mezzanotte del 25 luglio. Molti gerarchi avevano piene le tasche di armi e di bombe a mano, in caso di un’eventuale resa dei conti. I più stretti consiglieri fidati di Mussolini premettero sullo stesso per l’arresto dei ribelli, ma egli lasciò correre. I gravi problemi di salute, causati dalla gastrite, resero Il Capo del Governo facile a continui cambi di umore e di opinione. L’ordine del giorno Grandi fu approvato con 19 voti a favore (poi 18 con la ritrattazione di uno), 7 voti contrari ed un astenuto. Mussolini non prese iniziative e il pomeriggio del 25 luglio si recò a Villa Savoia dal Re, che l’aveva già sostituito con Badoglio, pensando che il Sovrano non avrebbe preso in considerazione il voto del Gran Consiglio che riteneva consultivo. Prima di andare egli passò anche nei luoghi del bombardamento romano e fu sorpreso dalla reazione della folla, che anziché inveire contro di lui, gli chiedeva aiuti. Terminato il colloquio col sovrano alcuni ufficiali dei carabinieri presero in custodia l’ex capo del fascismo e lo caricarono su un’autombulanza, al fine di proteggerlo, secondo la motivazione ufficiale. A Villa Torlonia, dove Mussolini abitava con la famiglia, quando giunse notizia della caduta del Fascismo, una folla immensa vi si presentò davanti, ma la residenza era protetta dai militari. Donna Rachele, moglie di Benito Mussolini, aveva raccomandato invano al marito di non andare dal Re, prevedendo che sarebbe finita male. Quel giorno la moglie dell’ex Duce seppe anche della relazione, che durava da anni, del marito con Claretta Petacci. Alcuni militari di stazza a Villa Torlonia chiesero il permesso a Rachele di prendere qualche ricordo di Mussolini e uno di questi si commosse quando vide il ritratto del suo ex commilitone Bruno Mussolini, uno dei figli di Rachele e Benito, morto due anni prima in un incidente aereo. Qualche giorno dopo arrivò una lettera di Mussolini alla moglie (che festeggiò il suo 60° compleanno in prigionia), in cui diceva che stava bene e chiedeva degli abiti. Il Governo Badoglio si insediò, vi presero parte militari che avevano lavorato alla destituzione di Mussolini, e dichiarò che la guerra continuava, al fine di prendere tempo a prepararsi alla reazione tedesca quando sarebbe stato annunciato l’armistizio con gli Alleati.

L’autore del libro fa anche dei paragoni tra la disfatta di Caporetto del 1917 con quella del 1943 e le diverse reazioni che ci furono: nel ‘17 furono perse alcune province venete ma nessuno parlava di resa, nel ’43 fu persa la Sicilia e tutti volevano arrendersi (Secondo me furono i bombardamenti alleati, al fine di demoralizzare la popolazione civile, oltre che l’impreparazione militare italiana nella Seconda Guerra Mondiale, che fecero la differenza nelle due disfatte citate delle due guerre mondiali: infatti nel 15 – 18 l’aviazione era al debutto e non causò molti danni con i bombardamenti delle città). I congiurati del 25 luglio furono condannati a morte durante la Repubblica Sociale Italiana, ma soltanto su Ciano (genero di Mussolini), De Bono, Marinelli, Pareschi e Gottardi fu eseguita la sentenza di fucilazione, gli altri fuggirono. Cianetti, che il 25 luglio ritrattò immediatamente il suo voto contrario, fu condannato a 30 anni di reclusione. Secondo lo stesso scrittore se Mussolini non fosse stato liberato dai tedeschi e messo a capo della RSI, nel dopoguerra avrebbe subito un processo e forse sarebbe stato amnistiato da un ministro comunista.

sabato 8 febbraio 2020

438) REGNO UNITO: CIAO, CIAO EUROPA


IL REGNO UNITO, USCENDO DALL’UNIONE EUROPEA, rispettando la volontà popolare, HA DIMOSTRATO CHE è POSSIBILE REALIZZARE CIò CHE SI RITENEVA IMPOSSIBILE. LA PROPRIA ECONOMIA è RIMASTA AVANZATA, NON FACENDOSI COIVONGERE DA MONETA UNICA E DA ALTRE INIZIATIVE EUROPEE.



Il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, noto semplicemente come Gran Bretagna o Inghilterra, è riuscito finalmente ad uscire dall’Unione Europea, come sancì il referendum popolare di oltre tre anni fa. La democrazia e la volontà del popolo sono state rispettate. Uscire è stato un percorso difficilissimo, con molti ostacoli, a causa dei troppi bastoni tra le ruote che metteva il parlamento. Dal referendum, cioè dal giugno 2016, ben tre governi si sono succeduti: Cameron (che si dimise perché voleva rimanere in Europa alle sue condizioni), May (costretta a gettare la spugna per l’assemblea legislativa che bocciava i suoi piani di uscita) e Boris Jhonson che ce l’ha fatta ed ha superato l’ostacolo delle urne, al fine di rinnovare un parlamento ostile, mutandolo in favorevole. L’odierno Primo Ministro britannico in quattro e quattr’otto ha organizzato le elezioni e le ha vinte, aumentando i parlamentari favorevoli al cosiddetto brexit: sono state una sorta di secondo referendum. Da tre anni a questa parte c’erano coloro che chiedevano un secondo referendum, poiché ritenevano i britannici pentiti del risultato; la netta vittoria di Jhonson alle elezioni parlamentari ne è stata la smentita. Se ci fosse stato un secondo referendum la democrazia e la volontà popolare sarebbero state stravolte. Se al referendum avesse vinto il sì all’Europa, i sostenitori del no ne avrebbero potuto chiedere un altro?

Probabilmente noi in Italia, se fossimo stati al posto dei britannici, ne avremmo viste di tutti i colori per far trionfare quello che decide una ristretta oligarchia seguace del corretto politicamente: dai brogli elettorali, all’annullamento delle elezioni, dai ricatti degli speculatori finanziari tedeschi, al passaggio dei parlamentari da uno schieramento all’altro, accroccando nuove maggioranze, per impedire nuove elezioni, con la scusa dei provvedimenti urgenti da approvare. Un po’ quello che avviene alla Regione Lazio da due anni a questa parte: il Presidente Zingaretti è stato rieletto senza maggioranza, ma le opposizioni si guardano bene dallo sfiduciarlo, per non rischiare la loro poltrona nelle nuove elezioni e così perdere le favolose prebende da consiglieri regionali.  Certo rispetto alla Gran Bretagna, per l’Italia sarebbe stato molto più complicato uscire dall’Unione Europea, considerando, che a differenza degli inglesi, è dentro l’euro e dentro l’area di libero scambio Schengen.



Per una nazione, che fino al 1945 possedeva direttamente e indirettamente mezzo mondo, e ancor oggi la monarca britannica regna in qualche ex colonia tramite il Commonwealth, sarebbe stato troppo umiliante sminuire il proprio prestigio e sacrificarlo agli altari del super stato europeo. La Gran Bretagna, non facendosi coinvolgere troppo dall’Ue quando era dentro e mantenendo la storica e potente sterlina, ha dimostrato di saper tener testa alla Germania, che assieme alla Francia sono state le maggiori beneficiarie e di quest’unione tra stati europei, facendo impoverire gli stati mediterranei: infatti insidia ai tedeschi il primato di stato più ricco europeo.

Un marco tedesco equivale ad un euro e per i tedeschi non è cambiato granché, se non in meglio, per noi italiani altroché: il valore di un euro è quasi di 2.000 delle vecchie lire, ma con un euro compri tutto quello che costava 1.000 lire (circa 0,5 €); il cambio lire/euro per stipendi e salari è rimasto tale e quale, con gli anni ci sono stati dei lievi aumenti ma difficilmente si riesce a fare tutto quello che si faceva con le lire. Chissà se anche l’Italia avesse fatto come il Regno Unito, evitando di dire sì a priori a tutto, oggi sarebbe tutta un’altra storia anche per noi.

Sentiamo dire spesso che ci sono dei processi irreversibili come Unione Europea, immigrazioni di massa e non si poteva fare nulla per contrastarli e per tornare indietro: l’uscita dei britannici dall’Ue ha smentito quelle parole. Io sono per l’Europa ma a determinate condizioni: no al grande stato europeo dove comandano unicamente francesi e tedeschi, sì ad un’aggregazione di stati per favorire gli scambi commerciali e qualche organo istituzionale europeo potrà essere mantenuto, ridimensionandone fortemente le funzioni, sì al ritorno alle valute nazionali da affiancare all’euro, che resterà moneta unica per i commerci tra nazioni dall’Ue.