LO SCRITTORE ARRIGO PETACCO RACCONTA DETTAGLIATAMENTE MESE
PER MESE LA VITA
QUOTIDIANA DEGLI ITALIANI (E GLI EVENTI BELLICI) DAL 10
GIUGNO 1940 AL 25 APRILE 1945, CIOÈ NEGLI ANNI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE.
Lo scrittore, giornalista e storico Arrigo Petacco, già direttore de "La Nazione", de "La Storia Illustrata" e dello "Speciale Tg1", ha pubblicato un libro che racconta la vita quotidiana degli italiani dal 10 giugno 1940 al 25 aprile 1945: negli anni del Secondo Conflitto Mondiale. Si tratta di una piccola enciclopedia che, mese per mese nei cinque anni di guerra, narra la vita della gente comune, impegnata nella lotta per la sopravvivenza, tra i bombardamenti e tra la quantità di cibo scarso e razionato. Pochi prima d'ora avevano affrontato gli anni dell'ultima guerra in Italia da questo punto di vista: infatti i principali storici mettevano e mettono in primo piano gli eventi bellici e politici di quegli anni.
Già da mesi, prima del giugno 1940, si facevano le prove sugli allarmi aerei e si costruivano i rifugi; puntualmente i bombardamenti sulle città italiane settentrionali iniziarono subito dopo il 10 giugno 1940 e ci furono alcune vittime. Roma invece fu risparmiata dalle bombe fino al 1943: per rispetto dei suoi millenari monumenti e del Papa. Il primo militare caduto fu il milanese Carlo Milinverni che era impegnato sul fronte francese. Complessivamente l'Italia ebbe tra il 1940 ed il 1945 circa 450.000 morti (300.000 militari e 150.000 civili), un numero inferiore rispetto ai caduti italiani tra il 1915 ed il 1918 (600.000 e quasi tutti militari) e altresì un numero inferiore rispetto ai caduti degli altri stati europei nella Seconda Guerra Mondiale: ad esempio l'Unione Sovietica ebbe oltre 23 milioni di morti e la Germania oltre 7 milioni. In Italia gli effetti dei bombardamenti furono inferiori in confronto al resto d'Europa: per il fatto che le case erano costruite in pietra e ciò limitava il dilagare delle fiamme, ma quando una o più bombe cadevano nelle vicinanze dei rifugi antiaerei, spesso non c'era nulla da fare e si faceva la fine dei topi. Chi poteva fuggiva dalle grandi città e si rifugiava nelle campagne, già dall'estate del '40: i quotidiani cercavano di minimizzare, visto che tutti dicevano che la guerra sarebbe durata poche settimane (molti si affrettavano ad arruolarsi con la speranza di fare in tempo), dicendo che la fuga dalle città era una corsa anticipata alle vacanze. I giornali non descrivevano realmente la situazione sui vari fronti, particolarmente quando le nostre forze armate erano in difficoltà: quando c'erano le sconfitte non se ne parlava e si dava risalto ai successi dell'Asse nei fronti ove non era impegnata l'Italia. "L'Albo della Gloria" era una rubrica dei fogli d'informazione che riportava i nominativi dei nostri militi caduti in combattimento (alcune volte pubblicavano anche le fotografie), successivamente si limitò a fornire solamente i numeri dei morti, dei feriti e dei dispersi. Dei fatti di cronaca nera non se ne parlava sui media di allora: si dava notizie solo delle sentenze di morte, mediante fucilazione, per i reati più gravi, come gli omicidi, lo spionaggio militare pro - Alleati e in alcuni casi la borsa nera. Nel cuore della guerra, dopo circa vent'anni ricominciarono gli scioperi nelle fabbriche. I contadini e gli operai non avevano la certezza di conservare il posto di lavoro, una volta terminato il conflitto, spogliati dalle vesti militari e tornati alla vita civile, potevano solo sperare sul buon cuore dei padroni; gli impiegati invece erano privilegiati da quel punto di vista.
alcuni manifesti invitanti al silenzio, onde evitare lo spionaggio nemico
Insomma questo volume è un bel lavoro. Ora non so come l'autore del libro la pensi politicamente, ma sembra che sia molto obbiettivo: descriva gli eventi come cronaca senza schierarsi.
"La Resistenza è solo un falso mito. La retorica della Liberazione è finita"
RispondiEliminaParla Arrigo Petacco, giornalista, storico e scrittore. "Sono state dette molte balle"
«Il 25 aprile, finché c’è stato il Partito comunista italiano, è stato molto festeggiato. Adesso assai meno perché sulla Liberazione e sulla Resistenza ci hanno costruito sopra un sacco di castelli di carta». A parlare, in questa intervista a Il Tempo è Arrigo Petacco, giornalista, storico, scrittore, autore anni fa della celebre intervista ad Indro Montanelli in cui il giornalista toscano parlò della guerra in Abissinia cui aveva partecipato, dicendo che «era come il West per gli americani: la nuova frontiera, un paese nuovo dove costruirci un’esistenza diversa. Andammo laggiù pure per sfuggire alle liturgie del regime. Ma anche lì arrivarono i gerarchi tronfi e buffoni. Fu il trionfo delle bischerate di Starace. Ci sentimmo traditi».
Petacco, quali sarebbero i castelli di carta?
«Diciamolo chiaramente, se non ci fossero stati gli americani la Resistenza non ci sarebbe mai stata. Si tratta di una retorica enorme e anche di qualche balla. All’epoca al Pci della patria non gliene fregava niente e il gruppo storico dei comunisti "inventò" il mito della Resistenza affinché sembrasse una lotta di popolo».
Non starà esagerando?
«L’hanno fatta in ottantamila partigiani che, poi, non erano neppure comunisti. Io sono stato un partigiano quando avevo 16 anni. Pochi anni dopo la guerra scrissi un libro, senza mitologia, "I ragazzi del 44", la storia di un partigiano un po’ per caso alle prese con problemi più grandi di lui, che mi venne rifiutato. Trenta e passa anni dopo, quando ero divenuto famoso per altre cose, me lo pubblicarono. Mi viene in mente il mito dei garibaldini dopo l’Unità d’Italia».
Che c’entrano i garibaldini con il 25 aprile?
«Ai tempi dell’Unità nazionale i garibaldini erano degli eroi del momento poi, col passare del tempo ne rimase solo uno, ma tutti si dicevano garibaldini. Oggi i partigiani che hanno fatto la Resistenza son tutti morti. O quasi. Ma sul mito della Resistenza, come sull’essere stati partecipi alla spedizione dei Mille ai tempi di Garibaldi, sono state costruite carriere, anche da chi non c’era affatto. Molte persone, io li definisco i partigiani del giorno dopo, ne han fatto una professione, magari con un bel fazzoletto rosso al collo».
Se come lei sostiene la Resistenza è stata un falso mito, perché gli italiani ci credono da così tanto tempo?
«Ci han creduto perché gli italiani son fatti così, come hanno fatto a credere per 20 anni a Benito Mussolini?».
Vuol dire che al popolo italiano piace salire sul carro del vincitore?
RispondiElimina«Dopo il Risorgimento i famosi Mille di Garibaldi erano diventati 25mila. È normale salire sul carro del vincitore, lo fanno anche negli altri paesi, solo che in Italia lo facciamo con più entusiasmo».
C’è un libro che avrebbe voluto scrivere e non ha scritto?
«Sulla Resistenza "Il sangue dei vinti", l’ha scritto il giornalista Giampaolo Pansa, sulle esecuzioni e i crimini dei partigiani, un libro che ha avuto successo perché scritto da un giornalista che era visto come un uomo di sinistra».
Che intende dire?
«Che quelle critiche così feroci sulla Resistenza scritte da uno non di sinistra sarebbe state considerate una lesa maestà. Adesso le racconto una confidenza: negli anni Settanta, un editor della Mondadori, mi disse che era arrivato il tempo di scrivere un libro contro la Resistenza, ma io non ho mai avuto il coraggio di scriverlo. Pansa ha scritto la verità, verità che alcuni fascisti avevano già scritto prima di lui ma nessuno ci credeva, penso ad esempio a un fascista come Giorgio Pisanò. Non gli hanno creduto perché era ancora un fascista convinto e lo accusavano di essere un diffamatore».
Sul fascismo ha scritto diversi libri revisionisti. Lo rifarebbe?
«Io ho rotto un tabù, a sinistra mi hanno definito un revisionista, ma io me ne vanto».
Tempo fa sul Blog di Beppe Grillo ha sostenuto che Mussolini non fece uccidere Giacomo Matteotti. Ne è sicuro?
«Mussolini non aveva nulla a che fare con l’omicidio Matteotti, che fu ucciso dai fascisti che volevano impedire a Mussolini di fare un governo coi socialisti. Tenga presente che eravamo nel 1924, prima della svolta autoritaria. Mussolini ripeteva che gli avevano gettato il cadavere di Matteotti tra i piedi. Uno storico serio ha il dovere di spiegare che Mussolini non aveva nessun vantaggio dall’assassinio di Matteotti».
Una previsione: domani per il 25 aprile si riempiranno le piazze?
«In piazza andranno in pochi, la retorica della Liberazione e della Resistenza è finita».
Massimiliano Lenzi