Bombe a Bruxelles: salta in aria l’Europa “eunuco”
di Paolo Di
Caro, il
Adesso metterete le vostre idiote bandierine
belghe sul profilo facebook, pronti a piangere i morti dell’ennesima strage
perpetrata dal nemico invisibile, ma che grida “Allah Akbar” prima di farsi
esplodere.
Lo farete dopo aver difeso la società
multirazziale che a Bruxelles, come nei sobborghi di mezza Europa,
semplicemente non esiste.
Siete mai stati a Molenbeeck, il
quartiere della città-burocrazia nel quale si applica la legge coranica?
Avete mai respirato quell’odore
acre nel quale fanatismo, delinquenza e impunità si mescolano fino a farti
mancare il respiro?
Bruxelles è un simbolo dell’Europa senza spina
dorsale: forte coi deboli, i Popoli costretti a subire normative vessanti e
cervellotiche, debole coi forti, quelli che con le armi e dietro il paravento
di un testo sacro si prendono interi quartieri e li trasformano in “enclave”
terroristiche protette e inaccessibili alle forze di polizia locali.
Verrebbe da dire che chi ha
difeso una finta società multiculturale e multirazziale senza regole e senza
rispetto di identità e tradizioni oggi si meriti quello che accade, ma proprio
la nostra cultura e le nostre tradizioni ci impediscono di gioirne.
Certo solo l’ipocrisia finto
egualitarista di certo pensiero debolissimo poteva e può tollerare la
proliferazione e il consolidamento di sacche di fanatismo religioso ingrassate
da condizioni economiche e sociali aberranti, pronte ad esplodere (sic!) al
primo accenno di reazione e di fastidio degli annoiati e imbelli Popoli di
quello che enfaticamente definiamo “Occidente”.
Ieri catturiamo nel cuore di
Molenbeeck il ricercatissimo Salah e oggi il terrore spappola cervelli, braccia
e gambe all’aeroporto e in metropolitana, semina il panico, si fa beffe di
misure di sicurezza, metal detector, cani-artificieri.
Eppure stamattina i burocrati di
Schumann, di Berlaymont, di Charlemagne, di Justus Liptus andranno a lavoro nei
palazzi di vetro e acciaio di questa piccola Europa, continueranno a pensare al
debito pubblico della Grecia e a bacchettare le finanziarie di Spagna e Italia,
mentre a casa loro, a due fermate di metropolitana, centinaia di
fondamentalisti islamici insediati nel fortino di Molenbeeck esulteranno per la
morte degli infedeli, protetti persino da una legge ridicola che vieta le
perquisizioni notturne per non disturbare la quiete pubblica.
La guerra asimmetrica del
terrorismo islamico è il poligono che entra convesso nelle debolezze concave di
questo ventre molle: veniamo a casa vostra, ci aprite le porte, ci regalate le
vostre case, i vostri quartieri, le vostre Città, ma se vi azzardate a reagire,
o a fingere di farlo, vi facciamo saltare in aria dove vi sentite più protetti.
Le guerre sono fatte di simboli e
di azioni simboliche.
Prima ancora di interrogarsi sui
propri errori, una Nazione degna di questo nome e della propria lettera
maiuscola farebbe irruzione in quel quartiere e se lo riprenderebbe anche con
la forza, smettendola di piangersi addosso sul lettino dello psicologo e
citando manuali di sociologia.
Invece metteremo bandiere del
Belgio sui profili, fingeremo di intensificare la missione in Siria,
insisteremo sulle politiche di integrazione e di accoglienza, senza
preoccuparci minimamente del fatto che entrambi i vocaboli andrebbero declinati
come sinonimi di convivenza civile, rispetto delle regole e delle tradizioni di
chi ospita, garanzia di condizioni di vita che non favoriscano conflitti
sociali e guerre fra poveri.
Troppo difficile, vero?
Meglio lucrare sul business
dell’immigrazione, lavandosi la coscienza con un corso di formazione per
mediatori culturali e un simposio sul dialogo interreligioso, tanto quanto
basta per potersi accomodare nei salotti fighetti dove si predica solo il
politicamente corretto.
Avete preferito questa Europa
“eunuco” al conclave di Popoli e Culture che la storia vi aveva affidato,
quindi risparmiate le lacrime e lasciate che a piangere siano i soli che
saltano per aria mentre voi guardate la skyline di Bruxelles dai palazzi di vetro
della Città-burocrazia.
Che riposino in pace.
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