PER CELEBRARE IL GIORNO DEL RICORDO DELLE FOIBE (UN DRAMMA A CUI SI CERCA DI NON DARE LA GIUSTA IMPORTANZA) CI SONO “LA CANZONE DEL QUARNARO” DI D’ANNUNZIO, CHE CELEBRA L’UNIONE DELLA VENEZIA GIULIA ALL’ITALIA, E “ANCHE LE PIETRE PARLANO ITALIANO”, PER OMAGGIARE I MARTIRI GIULIANI E IL LORO ESODO, CULMINATO CON LA SLAVIZZAZIONE DI QUELLE ITALIANISSIME TERRE.
In questi giorni ci sono state delle polemiche per gli annunci
delle massime autorità dello Stato Italiano alla rinuncia a partecipare alle
commemorazioni delle foibe, nei luoghi in cui furono trucidati gli italiani
istriani – dalmati. Addirittura si sono tenute delle conferenze negazioniste.
Il dramma dei Giuliani – Dalmati, che alla fine della Seconda Guerra Mondiale
furono costretti ad un esodo di massa dalle loro terre per sfuggire alla
pulizia etnica (che già aveva colpito molti loro conterranei), venendo
malaccolti nelle maggiori città italiane, è stato per lungo tempo occultato;
ancora oggi si cerca di non dargli molta considerazione. Molte località
dell’Istria e della Dalmazia, appartenenti per molti secoli alla Serenissima Repubblica di Venezia, erano
italianissime, anche oggi lo sono nello spirito. Esse fecero gran festa nel
1918 per l’annessione alla madrepatria italiana (anche se furono escluse delle
città della costa dalmata, ad eccezione di Zara), così come la città di Fiume
(la Conferenza di Pace di Versailles nel 1919 stabilì che fosse una cittadina indipendente) che accolse a braccia aperte Gabriele
D’Annunzio e i suoi volontari, i quali tentarono invano di unirla all’Italia nel primo dopoguerra (l'annesione ci sarà definitivamente nel 1924). Oggi
molti toponimi italiani sono stati mutati in croato e sloveno: Pula (Pola),
Rijeka (Fiume), Rovinj (Rovigno), Koper (Capodistria), Cres (Cherso), Krk
(Veglia), Opatija (Abbazia), Dubrovnik (Ragusa) e molti altri ancora. Ora, col
politicamente corretto, non si sente un briciolo d’orgoglio nazionale e la
maggioranza si adatta ai mutamenti, chiamando quelle località con i nomi slavi
(“Pensa agli stolti che in
televisione/Chiamano Dubrovnik Ragusa la bella”, recitano dei versi de “In Istria e in Dalmazia Anche le pietre parlano italiano”), tra
le amare nostalgie dei giuliani – dalmati e riaprendo le loro antiche ferite. Il
grido di dolore, che nonostante si è fatto di tutto per non farlo sentire, è
più vivo che mai: tutta la patria italiana civile, nelle sue molteplici forme e
caratteristiche da nord a sud, partecipa al dolore dei suoi figli, che erano
collocati nei suoi naturali confini del Quarnaro: così aveva già stabilito l’Antica
Roma, per delimitare le sue province italiane.
La canzone del Quarnaro
(La canzone del Quarnaro commemora l'impresa di tre MAS della Marina da guerra italiana, alla quale partecipò anche D'Annunzio.)
Siamo trenta d’una sorte,/e trentuno
con la morte.
EIA, l’ultima!/Alalà!
Siamo trenta su tre gusci,/su tre tavole di ponte:/secco fegato, cuor duro,/cuoia dure, dura fronte,/mani macchine armi pronte,e la morte a paro a paro.
Siamo trenta su tre gusci,/su tre tavole di ponte:/secco fegato, cuor duro,/cuoia dure, dura fronte,/mani macchine armi pronte,e la morte a paro a paro.
EIA, carne del Carnaro!/Alalà!
Con un’ostia tricolore/ognun s’è comunicato./Come piaga incrudelita/coce il rosso nel costato,/ed il verde disperato/rinforzisce il fiele amaro.
Con un’ostia tricolore/ognun s’è comunicato./Come piaga incrudelita/coce il rosso nel costato,/ed il verde disperato/rinforzisce il fiele amaro.
EIA, sale del Quarnaro!/Alalà!
Tutti tornano, o nessuno./Se non torna uno dei trenta/torna quella del trentuno,/quella che non ci spaventa,/con in pugno la sementa/da gittar nel solco avaro.
Tutti tornano, o nessuno./Se non torna uno dei trenta/torna quella del trentuno,/quella che non ci spaventa,/con in pugno la sementa/da gittar nel solco avaro.
EIA, fondo del Quarnaro!/Alalà!
Quella torna, con in pugno/il buon seme della schiatta,/la fedel seminatrice,/dov’è merce la disfatta,/dove un Zanche la baratta/e la dà per un denaro.
Quella torna, con in pugno/il buon seme della schiatta,/la fedel seminatrice,/dov’è merce la disfatta,/dove un Zanche la baratta/e la dà per un denaro.
EIA, pianto del Quarnaro!/Alalà!
Il profumo dell’Italia/è tra Unie e Promontore./Da Lussin, da Val d’Augusto/vien l’odor di Roma al cuore./Improvviso nasce un fiore/su dal bronzo e dall’acciaro.
Il profumo dell’Italia/è tra Unie e Promontore./Da Lussin, da Val d’Augusto/vien l’odor di Roma al cuore./Improvviso nasce un fiore/su dal bronzo e dall’acciaro.
EIA, patria del Quarnaro./Alalà!
Ecco l’isole di sasso/che l’ulivo fa
d’argento./Ecco l’irte groppe, gli ossi/delle schiene, sottovento./Dolce è ogni
albero stento,/ogni sasso arido è caro.
EIA, patria del Quarnaro!/Alalà!
Il lentisco il lauro il mirto/fanno incenso alla Levrera./Monta su per i valloni/la fumea di primavera,/copre tutta la costiera,senza luna e senza faro.
EIA, patria del Quarnaro!/Alalà!
Dentro i covi degli Uscocchi/sta la bora e ci dà posa./Abbiam Cherso per mezzana,/abbiam Veglia per isposa,/e la parentela ossosa/tutta a nozze di corsaro.
EIA, mirto del Quarnaro!/Alalà!
Festa grande. Albona rugge/ritta in piè su la collina./Il ruggito della belva/scrolla tutta Farasina.
EIA, patria del Quarnaro!/Alalà!
Il lentisco il lauro il mirto/fanno incenso alla Levrera./Monta su per i valloni/la fumea di primavera,/copre tutta la costiera,senza luna e senza faro.
EIA, patria del Quarnaro!/Alalà!
Dentro i covi degli Uscocchi/sta la bora e ci dà posa./Abbiam Cherso per mezzana,/abbiam Veglia per isposa,/e la parentela ossosa/tutta a nozze di corsaro.
EIA, mirto del Quarnaro!/Alalà!
Festa grande. Albona rugge/ritta in piè su la collina./Il ruggito della belva/scrolla tutta Farasina.
Contro sfida leonina/ecco ragghio di
somaro.
EIA, guardie del Quarnaro!/Alalà!
Fiume fa le luminarie/nuziali. In tutto l’arco/della notte fuochi e stelle./Sul suo scoglio erto è San Marco./E da ostro segna il varco/alla prua che vede chiaro.
EIA, sbarre del Quarnaro!/Alalà!
Dove son gli impiccatori/degli eroi? Tra le lenzuola?/Dove sono i portuali/che millantano da Pola?/A covar la gloriola/cinquantenne entro il riparo?
EIA, chiocce del Quarnaro!/Alalà!
Dove sono gli ammiragli/d’arzanà? Su la ciambella?/Santabarbara è sapone,/è capestro ogni cordella/nella ex voto navicella/dedicata a san Nazaro.
Fiume fa le luminarie/nuziali. In tutto l’arco/della notte fuochi e stelle./Sul suo scoglio erto è San Marco./E da ostro segna il varco/alla prua che vede chiaro.
EIA, sbarre del Quarnaro!/Alalà!
Dove son gli impiccatori/degli eroi? Tra le lenzuola?/Dove sono i portuali/che millantano da Pola?/A covar la gloriola/cinquantenne entro il riparo?
EIA, chiocce del Quarnaro!/Alalà!
Dove sono gli ammiragli/d’arzanà? Su la ciambella?/Santabarbara è sapone,/è capestro ogni cordella/nella ex voto navicella/dedicata a san Nazaro.
EIA, schiuma del Quamaro!/Alalà!
Da Lussin alla Merlera,/da Calluda ad Abazia,/per il largo e per il lungo/siam signori in signoria./Padre Dante, e con la scia/facciam "tutto il loco varo".
EIA, mastro del Quarnaro!/Alalà!
Siamo trenta su tre gusci,/su tre tavole di ponte:/secco fegato, cuor duro,/cuoia dure, dura fronte,/mani macchine armi pronte,/e la morte a paro a paro.
EIA, carne dal Carnaro!/Alalà!
Da Lussin alla Merlera,/da Calluda ad Abazia,/per il largo e per il lungo/siam signori in signoria./Padre Dante, e con la scia/facciam "tutto il loco varo".
EIA, mastro del Quarnaro!/Alalà!
Siamo trenta su tre gusci,/su tre tavole di ponte:/secco fegato, cuor duro,/cuoia dure, dura fronte,/mani macchine armi pronte,/e la morte a paro a paro.
EIA, carne dal Carnaro!/Alalà!
Gabriele D’Annunzio 11 febbraio 1918.
Anche le pietre parlano italiano
Portami veloce sulla costa polesana,/Corri più in fretta come una volpe verso la tana,/E tu signora bella non sarai più sola:/Danzeremo insieme nell'arena di Pola.
Ascolta in silenzio la voce delle onde/Ti porterà sicura verità profonde/Perché in Istria non ti sembri strano:/Anche le pietre parlano italiano,/Anche le pietre parlano italiano.
Siamo nel Quarnaro e sempre più vicini/Solo ci circonda la danza dei delfini./E poi Arbe e Veglia ci guardano passare,/Anche dopo cinquant'anni non si può dimenticare.
Ascolta in silenzio la voce delle onde/Ti porterà sicura verità profonde/Perché in Dalmazia non ti sembri strano:/Anche le pietre parlano italiano,/Anche le pietre parlano italiano.
Nave che mi porti sulla rotta di Junger,/Nave quanta gente è scappata da Fiume/Pensa agli stolti che in televisione/Chiamano Dubrovnik Ragusa la bella.
Ascolta in silenzio la voce delle onde/Ti porterà sicura verità profonde/Perché in Italia non dimentichiamo/Quanto ha sofferto il popolo istriano,/Perché in Italia non dimentichiamo/Quanto sta soffrendo il popolo istriano.
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