La sigla di chiusura dell’Italia
di Marcello Veneziani
Con soli settantun’anni di ritardo, l’Italia s’è desta e nel mese dei morti si è data
ufficialmente l’inno nazionale; ma a questo punto diventa la sua sigla di
chiusura.
Erano anni che la destra,
in solitudine, proponeva senza successo – neanche con i governi di
centro-destra – di riconoscere l’Inno di Mameli come Inno nazionale; macché,
l’inno figurava come il primo clandestino senza permesso di soggiorno.
Alla fine, di riffa o di raffa, con una proposta pieddina, Mameli entra con glorioso ritardo nella Gazzetta
Ufficiale, ma nel frattempo il suo Canto degli italiani diventa il canto del
cigno nazionale.
Il suo debutto come inno ufficiale sarebbe stato naturalmente con la Nazionale di calcio ai
mondiali di Mosca, perché l’inno diventa veramente nazionale e popolare solo
quando c’è di mezzo il calcio e la tv e viene cantato in tv, negli stadi, per
le strade e nelle case; ma l’Italia – come ben sapete – si è giocata i
mondiali.
Ergo,
l’inno ufficiale servirà solo come colonna sonora delle performance di
Mattarella e dintorni.
Considerando questa Italia con gli indicatori in picchiata – denatalità, mortalità, anzianità da record,
evasione all’estero di ragazzi e pensionati, invasione di migranti, crescita
del disavanzo, colonizzazione commerciale e da ultimo declino del calcio,
bandiera nazionale – l’inno di Mameli arriva come una specie di marcia funebre
o quantomeno sigla di chiusura, mentre scorrono i titoli di coda di uno Stato
che non riesce a darsi una prospettiva di futuro.
Per decenni è stato impossibile dare dignità e rilievo all’inno nazionale; lo cantavano solo nello sport e nei raduni
militari. Anche la destra lo rispettava fino a un certo punto, perché i
monarchici e i nazional-risorgimentali preferivano la Marcia reale, i nostalgici
della destra sociale e nazionale preferivano l’Inno a Roma se non i canti
fascisti, e a sinistra trionfava il canto del lavoro, l’inno
dell’Internazionale.
Inni con una solennità epica e storica più grandiosa e più coinvolgente, forse più poetici.
Ma gli inni sono come i nomi di battesimo, non vanno distinti tra belli e
brutti, in o out, ma tra significativi e insignificanti.
E l’Inno di Mameli evoca il legame nazionale, anche se propriamente più che la Patria evoca la Fratria, non la terra dei
Padri ma la terra dei fratelli d’Italia.
Erano in pochi ad amare un inno nato nel risorgimento ma nel versante perdente, quello repubblicano.
L’inno non ci accompagnò nelle due guerre mondiali né le imprese più
significative della storia d’Italia. Restò come un’invocazione a Roma capitale
in versione repubblicana e dunque apertamente antimonarchica e sottilmente
anticattolica.
Senza dire, poi, che la musica di Novaro è sempre stata dimenticata come se di un inno valessero solo le parole un po’
retoriche e poco rispondenti al temperamento nazionale.
Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte… Però la morte precoce di Mameli a Roma combattendo
per la repubblica romana, lo elevò al rango di eroe e di mito: desta
ammirazione quel ragazzo che cantò l’Italia e si sacrificò in suo nome, non si
limitò a scrivere un testo che esortava a esser pronto alla morte per l’Italia
ma ci rimise davvero la vita.
Neanche per i 150 anni dell’Unità d’Italia, lo scorso 2011, fu possibile al governo Berlusconi
dare solennità istituzionale all’Inno nazionale, per non scontentare la Lega di Bossi e per non
irritare gli esterofili e gli internazionalisti di casa nostra.
In
seguito nacque perfino un partito dall’inno, Fratelli d’Italia, guidato però da una sorella, Giorgia
Meloni, che già dai tempi in cui era ministro della gioventù aveva cantato le
lodi di Mameli in una mostra tricolore.
Ora, la scena pubblica non offre figure in cui riconoscersi, lo Stato è un’entità a cui nessuno mostra
attaccamento; e sul piano politico avanza il deserto: cala l’ultimo astro
Renzi, la sinistra si spappola, il centrodestra si ritrova intorno al corpo
imbalsamato di Berlusconi, alcune regioni cercano autonomia e tanta Italia
contro si vota a Grillo.
Ma
ora, proprio ora, in piena decomposizione, ti arriva questo colpo di coda
nazionale, questo inno retroattivo. Abbiamo
l’Inno ma non c’è più l’Italia. L’Italia è morta, viva
l’Italia.
M. V. Il Tempo 19
novembre 2017
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