C’ERA UNA VOLTA
ANDREOTTI DI MASSIMO FRANCO
In occasione del centenario della nascita di Giulio
Andreotti, nel gennaio di quest’anno, il giornalista Franco Romano ha scritto
un volume a lui dedicato, partendo dall’infanzia e arrivando alla morte.
L’autore cerca di rivalutare una figura storica della storia d’Italia. La
famiglia Andreotti era originaria di Segni (Roma), che viene definito centro
ciociaro, e si trasferì a Roma. Giulio perse suo padre, insegnante, a quasi tre
anni e sua madre dovette crescere da sola lui, suo fratello maggiore e sua
sorella che morì giovanissima. Da bambino, d’estate, egli tornava con la
famiglia a Segni, dove il nonno vendeva cappelli: giocava con gli altri
bambini, al quale rispondeva con quell’ironia, che lo avrebbe caratterizzato in
futuro, se lo prendevano in giro per i suoi difetti fisici, aiutava i sacerdoti
nella cattedrale del paese e andava in escursione sul Monte Lupone. A Roma si
intrufolava di nascosto nelle udienze del Papa Pio XI e vedeva le partite di
calcio a Testaccio, arrampicandosi sugli alberi. A Giulio l’attività fisica non
è mai piaciuta, tant’è vero che al liceo era esentato dalle ore di ginnastica
perché c’erano i figli di Mussolini, a loro volta esentati, perché praticanti
di molti sport. Nel 1942 Andreotti successe alla presidenza degli universitari
cattolici (Fuci) ad Aldo Moro e già entrò in antipatia a sua moglie Nora;
quell’ostilità si ingigantirà nella sua drammaticità nel 1978. Esentato dal
servizio militare e dalla guerra a causa del suo fisico gracile e gobbo e per i
continui mal di testa: gli diagnosticarono sei mesi di vita; anni dopo
Andreotti andò a cercare il medico che lo aveva condannato per fargli sapere
che era vivo e ministro della difesa
ma era morto lui. Nel 1945, dopo essersi laureato in giurisprudenza, convolò a
nozze con Livia Danese, laureata anch’ella, ed ebbe quattro figli. Conobbe De
Gasperi nella biblioteca vaticana e il primo statista del dopoguerra lo elesse
a figlio prediletto, nominandolo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio
dei Ministri. Andreotti fu presente alle assemblee legislative italiane
ininterrottamente dal 1945 all’anno della sua morte, nel 2013. Era monarchico
perché nel linguaggio popolare romano repubblica
è sinonimo di disordine, caos. Fu sette volte Presidente del Consiglio, il
primo nato a Roma (tra il 1972 – 1973, tra il 1976 – 1979, tra il 1989 – 1992)
e quasi sempre ministro nei governi a guida democristiana e socialista. Il suo
feudo elettorale era il Lazio sud, in particolare la Ciociaria, alla quale
attuò moltissimi piani d’investimento e di sviluppo, dove arrivò a raccogliere
oltre 330.000 preferenze personali; Ciociari erano i suoi fidati e devoti
luogotenenti Evangelisti e Ciarrapico. In una campagna elettorale ad Affile Andreotti fraternizzò con il Generale del Fascismo e di Salò Rodolfo Graziani e tutti
dissero che era di destra Dc; all’inizio, con il Vaticano e le alte sfere
militari, fu contrario al centrosinistra e fu nemico di Fanfani, poi si adeguò.
Attuò delle lottizzazioni nei dintorni di Roma che riguardavano terreni
appartenenti a quell’antica nobiltà legata al papato. Andreotti ogni domenica
aiutava personalmente i suoi elettori, e non, bisognosi e le sue segretarie
snellivano le pratiche per le richieste di aiuti e di raccomandazioni. Fu più
volte coinvolto in inchieste giudiziarie (P2, Sindona, eccetera) senza mai
essere processato. Quando A. seppe del rapimento di Aldo Moro reagì con degli
attacchi di vomito e non volle aprire (come quasi tutti i partiti) trattative
con i criminali per la sua liberazione. Nel 1992, nell’anno della sua mancata
elezione alla Presidenza della Repubblica, con l’uccisione del suo amico
palermitano Salvo Lima, iniziarono per lui i veri guai che lo avrebbero
perseguitato per un decennio. Riuscì ad essere assolto e uscì vivo soprattutto
dalle accuse di associazione mafiosa e di essere uno dei mandanti dell’omicidio
di Mino Pecorelli, grazie soprattutto alla testardaggine e alla dinamicità di
una sconosciuta avvocatessa di nome Giulia Bongiorno, la quale negli anni dei
processi divenne una di casa per la famiglia Andreotti, e il suo prestigio
crebbe a tal punto da far passare in secondo piano l’avvocato di fama internazionale
Franco Coppi, di cui la giovane era praticante. Non furono trovate mai prove
concrete per quelle accuse: c’erano solo le parole dei pentiti, forse, secondo le versioni degli innocentisti, manovrati
da qualcuno, forse era in atto una vendetta nei confronti di Andreotti da parte degli
americani per la sua politica filoaraba, non troppo antisovietica, per le
rivelazioni sull'affare Gladio, forse era una manovra per incastrare uno che non era stato
accusato di tangenti, al fine di cancellare definitivamente una classe politica. I
magistrati accusatori e i politici avversi non vollero archiviare, vollero
andare fino in fondo, forse sperando che l’eccellentissimo imputato morisse
durante i processi, così da non dover emettere delle sentenze; alla fine si
lamentarono che la storia del bacio tra Andreotti e Riina aveva rovinato tutto:
era troppo inverosimile. Il Papa e l’intero Vaticano furono vicini ad Andreotti
negli anni delle persecuzioni con benedizioni e preghiere. Si parla anche
dell’Andreotti familiare ed intimo, oltre che della sua casa sul lungotevere, davanti
Castel Sant’Angelo, che aveva acquistato con un mutuo trentennale: egli era goloso
di leccornie, non era particolarmente severo con i figli a differenza della
signora Livia, partecipava alle messe alle sei del mattino, le sue battute
sarcastiche ed ironiche che diffondeva, le tre volte nella vita in cui pianse,
il mantello regalatogli da Saddam Hussein, le partite a carte dagli amici, la passione per l'ippica, la
sua partecipazione al film “Il tassinaro”
di Alberto Sordi e l’immagine distorta che ne ha fatto il film su di lui “il divo”. Negli ultimi tempi i figli
dello statista si lamentavano col padre perché grazie al suo appoggio al Senato
teneva in piedi il Governo Prodi, le cui componenti, secondo essi, erano le responsabili
di tutti i guai giudiziari del loro genitore. Oggi i figli e i nipoti di
Andreotti sono impegnati a contrastare notizie false e infanganti che circolano
su internet sul loro defunto parente. Giulio Andreotti ha rappresentato ed è stato protagonista di un’epoca
di profondi cambiamenti in positivo per l’Italia, nonostante le trame oscure e
drammatiche che ci sono state.
L’ITALIA NON
è Più ITALIANA DI MARIO GIORDANO
Dall’Italia che cresceva in
passato, con allegati e risvolti tragici, si passa a quella in decadenza di
oggi descritta dal giornalista Mario Giordano. Mentre oggi noi, dopo ¾ di
secolo, ancora pensiamo e litighiamo per la Seconda
Guerra Mondiale (di chi fu la colpa, se causarono più vittime i tedeschi,
gli americani, i fascisti, i partigiani) in silenzio ci stanno portando via la
nostra nazione. Il Made in Italy che
ci ha fatti grandi nel mondo non è più italiano: ogni 48 ore un’azienda passa
in mani straniere; di solito sono le imprese in crisi, nate nei sottoscala
durante il miracolo economico, ma
anche quelle sane i cui proprietari si stancano di gestirle. Tutti sono
contenti che il lavoro è salvo, però dopo qualche mese i nuovi proprietari
chiudono baracche e burattini e delocalizzano all’estero, dove la manodopera
costa meno, e di solito non si dà neanche un preavviso ai dipendenti
licenziati. Franza o Spagna, chiunque ci magna: grosse catene di supermercati
estere schiacciano quelle nostrane senza che ci sia reciprocità, gli edifici
storici dei centri delle città italiani, con le attività commerciali antiche,
se li comprano gli americani, i cinesi, i turchi (l’istituto della zecca dello
stato è diventato cinese, nella laguna veneta un’isoletta è divenuta turca), le
squadre di calcio diventano di proprietà straniera. La lingua italiana si sta
estinguendo con l’avanzare delle nuove tecnologie; a Milano piazze, strade ed
edifici cominciano ad avere delle intestazione relative a supporti tecnologici
e della telefonia mobile (Piazzetta Apple, gli edifici Spark One e Spark Two
nel business district, eccetera); i giovani entrando nei posti di lavoro sono
costretti a sostituire i nomi delle varie mansioni con il corrispondente
inglese. Siamo invasi da cibi italiani falsi, brutte imitazioni dei prodotti
nostrani di fama internazionale. Non siamo neanche più padrini a casa nostra:
le mafie nigeriana e cinese si ramificano su tutto il territorio nazionale
colpendo sei volte al giorno e potrebbero scatenare delle guerre tra loro. Il Caso
di Castel Volturno, divenuto un ghetto nigeriano, dove applicano la legge voodoo.
Le mafie nostrane si dicono rassegnate: non hanno abbastanza “picciotti” per
contrastare le nuove (comunque tutte le organizzazioni criminali sono da
condannare, sia italiane che straniere). Le forze dell'ordine sono impotenti, essendo in inferiorità numerica. Ci sono grandi comunità cinesi
invisibili che non si integrano: aprono mega centri commerciali dove vendono
roba di marca non originale, hanno un’economia sommersa, illegale, infliggono
punizioni corporali ai loro dipendenti, anche italiani, le loro giornate hanno
trenta ore. Anche gli sceicchi arabi si
stanno comprando l’Italia, dagli alberghi, alla Costa Smeralda, e finanziano la
costruzione di moschee con all’interno potenziali jihadisti. L’Italia si sta
spopolando di italiani: per le poche nascite e per crescente fuga all’estero.
Coloro che non vogliono adattarsi al ribasso dei salari che ha causato l’immigrazione
dall’estero sono costretti ad andarsene; anche i professionisti vanno via
perché altrove guadagnano molto di più. Il caso di Monfalcone (fino ad alcuni anni fa roccaforte rossa, ora invece è passata alla Lega), dove nei cantieri navali hanno importato massiccia manodopera straniera; alcuni mesi fa un operaio è morto: era uno dei pochi italiani che aveva accettato le stesse dure condizioni lavorative degli extraitaliani. In molte scuole non ci sono quasi più
alunni italiani: infatti il limite del 30% di alunni stranieri poco viene
rispettato. L’Europa vorrebbe portarci via quel poco di nostro che è rimasto,
come ha cercato di fare con la Grecia. L’autore, che ha percorso l’Italia da
nord a sud, trovando molti piccoli centri spopolati o abitati da due o tre
abitanti, non vuole rassegnarsi e sprona i suoi quattro giovani figli a
rimanere in Italia a non rassegnarsi alle negatività e a combattere per
migliorare questa società.
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