“IL DELITTO DI AGORA” è L’ULTIMO LIBRO DI ANTONIO PENNACCHI CHE
MODIFICA IL VOLUME “UNA NUVOLA ROSSA” DEL 1998, ISPIRATO AL DELITTO DI CORI DEL
MARZO 1997.
Lo scorso dicembre è uscito l’ultimo libro di Antonio Pennacchi, il
noto scrittore di fama nazionale di Latina, “Il
delitto di Agora” (Mondadori), liberamente ispirato al delitto di Cori del
9 marzo 1997, il quale ancora oggi presenta dei misteri rimasti tali. L’autore
si era già cimentato in qualcosa di simile nel 1998 con “Una nuvola rossa” (Doninzelli editore); questa volta egli ha
modificato e integrato il vecchio libro.
Noto che lo stesso autore si è documentato a fondo, leggendo i
verbali del delitto, gli articoli pubblicati allora sui quotidiani; a suo tempo
venne nel paese del fattaccio, ascoltando opinioni sulle persone in un modo o
nell’altro coinvolte, pettegolezzi di paese, maldicenze, illazioni, voci di popolo,
opinioni e ipotesi su chi potesse avere commesso il delitto e i più fantasiosi
moventi. Non tutto però rispecchia il vero: infatti alcune parte sono state
inventate, o meglio romanzate, e gli squallidi particolari non sono stati
tralasciati. Anche se le querele non si rischiano, per uno che non è del luogo è più facile scrivere su argomenti così delicati e tragici rispetto ad uno del posto, il quale sarebbe costretto ad affrontare quotidianamente le ostilità di coloro che non hanno gradito quanto esposto.
In questo romanzo il delitto viene fatto risalire a fine febbraio
1996 ad Agora, un paesaccio dei Monti
Lepini vicino Roma (proprio dietro l’angolo), che ha per monumento simbolo
il Tempio di Minerva, dal quale si
ammira tutta la Pianura Pontina, il Circeo, le Isole Ponziane, la sua principale piazza è Piazza Norbana e nel Ponte di
Silla, situato ad Agora Bassa, i giovani fanno l’autostop per recarsi nella
parte alta del paese. Agora è nota per essere il paese dei matti: sarebbe il
tabacco che anticamente si coltivava dentro casa che avrebbe tarato i cervelli
degli agoresi. L’autore descrive anche i cambiamenti radicali che ha subito
Agora nel giro di un decennio: da paese contadino, in cui circolavano muli e
somari, senza fogne e senza acqua nelle case, dove si faceva la fila nelle
fontane pubbliche nel 1960, si passò alle comodità moderne e alla motorizzazione
di massa nel 1970 e le antiche strette scalinate in selciato di Agora vecchia
vennero spianate e ritoccate con il cemento e l’asfalto per consentire la
circolazione dei veicoli a motore, le stalle degli animali divennero rimesse per veicoli a motore. Si diede priorità al progresso piuttosto che
alla salvaguardia del tessuto storico urbano. (sembrano quasi delle colpe, perché
la maggioranza della popolazione del resto d’Italia non campava di agricoltura
e di pastorizia? Gli animali non erano ovunque i mezzi di trasporto? Le
comodità tecnologiche e il progresso arrivarono dapprima nelle grandi città, solo
qualche anno più tardi giunsero nei piccoli paesi) Nel palazzo del potere di
questo centro abitato tutti sono rossi; se uno non lo è non avrà mai i
privilegi che hanno coloro che lo sono. I rossi Lepini diffidano della gente di
pianura, anche di quei pochi che hanno le loro stesse idee, come lo stesso
Pennacchi: il loro peccato originale politico rimane sempre (politicamente le cose sono cambiate dopo il
1997: sia in qualche paese dei monti, sia in qualche città di pianura). I
dialoghi nel libro vengono riportati anche in dialetto agorese, ma non è sempre
perfetto.
Domenica 25 febbraio 1996 ad Agora Alta, in una casa di Via della
Fortuna, due giovani fidanzati Emanuele e Loredana, vengono uccisi con 244
coltellate; a scoprire i cadaveri sono il fratello e il padre di Loredana,
maresciallo dei carabinieri in congedo, e Giacinto, amico delle vittime. Il caso
sembra risolto con l’arresto di Giacinto, però dopo viene scagionato. L’omicidio
col movente passionale omosessuale, condensato da storie di droga, potrebbe
essere solo una copertura, infatti dietro questa orribile storia potrebbe
celarsi qualcosa di molto più grosso, forse legato al lavoro dell’ex
maresciallo dei carabinieri o ai grossi debiti di droga di Emanuele: si va dai
ai servizi segreti e si arriva a qualche grossa organizzazione criminale (Banda della Magliana). Alla fine tra i
vari indagati ed indiziati viene incriminato Luigi Imperiali di Cisterna, forse
discendente di Augusto Imperiali che batté Buffalo Bill in una gara equestre
nel 1890. Nei pantaloni di Imperiali sono state trovate delle macchie di sangue
compatibili con quelle delle vittime. L’autore tenta di scagionarlo, dicendo
che quelle macchie sono troppo piccole per giustificare un delitto con fiumi di
sangue e sembra credere alla sua versione secondo cui, nel primo pomeriggio,
entrò in casa delle vittime e vide i due ragazzi già morti, andando contro le
testimonianze di coloro che videro in vita nella tarda serata del 25 febbraio
1996 le due vittime. Per lui sembra poco probabile che quei testimoni si siano
messi d’accordo nel mentire: essi videro le anime dei due ragazzi che facevano
l’ultimo giro nei luoghi del loro amore prima di salire in cielo. Nel libro non
mancano le teorie sull’omosessualità (secondo l’autore presente un po’ in
tutti, soprattutto in coloro che fanno di tutto per dimostrare il contrario),
sulla rabbia che quasi sempre uno reprime, non sfogandola contro chi vorrebbe
per non rovinarsi, e qualche aneddoto sui colleghi di lavoro di fabbrica di
Pennacchi, compresi quelli di Agora quando dicevano di voler “spanzare”
qualcuno solo nella loro mente. Ovviamente come in tutti i paesi ci sono i
personaggi tipici e le autorità: il sindaco compagno, scrittore e poeta, il
parroco sezzese, il maresciallo dei carabinieri, gli avvocati padre e figlio, l’orefice,
i baristi del Bar Giovannino di Piazza Norbana, eccetera. Qualche
imprecisione è presente: nel febbraio 1996 i telefoni cellulari, acquistati
dalle vittime e dagli indagati di questo delitto, erano ancora un lusso per
pochi, mentre l’anno dopo, con l’introduzione di quelli con la scheda,
divennero economicamente accessibili per molti; la serie televisiva “Noi siamo angeli” non fu trasmessa nel
1996, la sera del 9 marzo 1997 si.
Io invece penso che l’incriminato di questo delitto (sia di quello
narrato nel romanzo, sia di quello reale) centra in un modo o nell’altro, se
hanno trovato delle prove così schiaccianti sui suoi pantaloni e molti
testimoni hanno smentito la sua versione. Certo se egli fosse stato reo
confesso non rimarrebbero più dubbi, ma visto che ha sempre negato l’evidenza
e, come ha scritto Pennacchi, quelle macchie di sangue sono troppo piccole per poterlo
incriminare da solo di un delitto così efferato, gli enigmi rimangono.
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