IN QUESTO TEMPO DI EPIDEMIA L’OSCENO LINGUAGGIO ITANGLESE, CHE
DESCRIVE LE SUE FASI, CI SOMMERGE CON NEOLOGISMI ANGLOFONI, SPESSO INAPPROPRIATI
E STORPIATI.
Nelle ultime settimane, da quando le attenzioni mediatiche
sono concentrate esclusivamente sul Coronavirus, sentiamo e leggiamo dai mezzi
di comunicazione tante nuove parole di matrice anglosassone irrotte prepotentemente, che vogliono
imporci a tutti i costi, danneggiando sempre di più la lingua italiana:
lockdown (coprifuoco, quarantena, isolamento), smart working (lavoro
intelligente, agile), covid hopital (ospedale per il coronavirus), droplet
(goccioline), termoscanner (termometro), screening (mappare, tamponare), covid pass (certificato di
idoneità fisica), wet market di Wuhan (mercato degli animali di Wuhan), task
force (squadra di esperti). Idem in campo economico: eurobond o coranabond (buoni europei), fund recovery (fondi di ripresa o di emergenza). Ora
proviamo ad effettuare delle ricerche nei principali siti di informazione di
lingua spagnola o francese e constateremo che nessuno di questi neologismi
anglofoni è presente.
Alle prime avvisaglie del virus in Cina, i giornali italiani
parlavano di città cinesi chiuse, in quarantena, anche da noi, quando la
segregazione riguardava la sola Lombardia, si utilizzavano quegli aggettivi;
quando questa pandemia ha cominciato ad interessare i paesi anglosassoni (che
prima ci scherzavano su denigrandoci) sui loro principali siti informatici
compariva spesso questa parola, lockdown, di cui i giornalisti italiani si sono
subito innamorati e da allora essa ha sostituito del tutto le molte
corrispondenti di lingua italiana. Di questi tempi sentiamo spesso altresì altri
inglesismi già da tempo presenti nel nostro parlare comune: jogging o footing
(corsa o corsetta), fake news (false notizie, bufale), test (esame, questionario),
voucher (buono lavoro), ticket (biglietto, ricetta), kit (campionario,
attrezzatura), card (carta, tessera).
Non si sa perché da noi ben pochi tengono alla salvaguardia
della propria lingua nazionale; giornalisti, opinionisti, politici pensano di
fare bella figura, di essere ultra-modaioli, moderni, sfoderando queste nuove
parole esotiche: così pensano di dotarsi di un tocco in più, facendo vedere che sono
esperti di inglese.
Spesso però scrivono o pronunciano male questi termini o li utilizzano in modo
inappropriato, li tramutano in verbi e li coniugano ed escono fuori delle
oscenità, degli esempi: linkare (collegare) da link (collegamento), screenare
(mappare) da screening (monitoraggio). Da sola e ovviamente senza l’apporto di
nessuno l’Accademia della Crusca prova a fermare queste barbarie nei
confronti della lingua italiana: qualche giorno fa ha rimproverato l’Inps,
che nel suo sito ha scritto “data breach”, invece di “violazione dati”,
da parte dei pirati informatici. Su lockdown e altre parole per ora ha
preferito non creare polveroni, vista l’emergenza che viviamo.
I politici, come dicevo, invece di dare il buon esempio,
utilizzando un corretto italiano nelle loro frequenti conferenze stampa, si
fanno influenzare dall’osceno linguaggio mediatico, rincarando la dose. Se uno vuol far vedere che è
esperto di inglese e di altre lingue può farlo in contesti diversi:
principalmente quando per ovvi motivi egli è in contatto con turisti stranieri da noi, con l’estero e quando vi si
reca o, per chi è insegnante, quando insegna lingue estere. Riconosco che è
importante conoscere l’inglese o gli altri idiomi, ma non si può pretendere, senza alcun briciolo d'orgoglio nazionale, di
demolire così barbaramente la propria madrelingua, immettendo questi
strafalcioni lessicali, per dimostrare di essere qualcuno con la conoscenza dell’anglosassone. Infatti l'essenziale è apparire.
Fonti dell’articolo consultabili per
ulteriori approfondimenti:
Nessun commento:
Posta un commento