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martedì 30 marzo 2021

465) SETTECENTO ANNI SENZA DANTE ALIGHIERI

Biografia • Al principio del cammin di Italiana lingua


La vita di Dante Alighieri è strettamente legata agli avvenimenti della vita politica fiorentina. Alla sua nascita, Firenze era in procinto di diventare la città più potente dell'Italia centrale. A partire dal 1250, un governo comunale composto da borghesi e artigiani aveva messo fine alla supremazia della nobiltà e due anni più tardi vennero coniati i primi fiorini d'oro che sarebbero diventati i "dollari" dell'Europa mercantile. Il conflitto tra guelfi, fedeli all'autorità temporale dei papi, e ghibellini, difensori del primato politico degli imperatori, divenne sempre più una guerra tra nobili e borghesi simile alle guerre di supremazia tra città vicine o rivali. Alla nascita di Dante, dopo la cacciata dei guelfi, la città era ormai da più di cinque anni nelle mani dei ghibellini. Nel 1266, Firenze ritornò nelle mani dei guelfi e i ghibellini vennero espulsi a loro volta. A questo punto, il partito dei guelfi, si divise in due fazioni: bianchi e neri.

Dante Alighieri nasce a Firenze il 29 maggio 1265 (la data è presunta, comunque compresa tra maggio e giugno) da una famiglia della piccola nobiltà. Nel 1274, secondo la Vita Nuova, vede per la prima volta Beatrice (Bice di Folco Portinari) della quale si innamora subito perdutamente. Dante ha circa dieci anni quando muore la madre Gabriella, la «madre bella». Nel 1283 anche suo padre Alighiero di Bellincione, commerciante, muore e Dante a 17 anni diviene il capofamiglia.

Il giovane Alighieri segue gli insegnamenti filosofici e teologici delle scuole francescana (Santa Croce) e domenicana (Santa Maria Novella). In questo periodo stringe amicizie e inizia una corrispondenza con i giovani poeti che si fanno chiamare «stilnovisti». Nelle Rime si trova l'insieme dell'opera poetica di Dante, dagli anni della gioventù fiorentina, lungo in corso della sua carriera letteraria, che non risultano inseriti in alcun'altra opera. È in questo contesto che possiamo trovare le tracce del distacco consapevole che è seguito alla prima stesura dell'"Inferno" e del "Purgatorio", che avrebbe condotto Dante verso false concezioni filosofiche, tentazioni della carne e piaceri volgari.

A 20 anni sposa Gemma Di Manetto Donati, appartenente a un ramo secondario di una grande famiglia nobile, dalla quale avrà quattro figli, Jacopo, Pietro, Giovanni e Antonia.

Nel 1292, due anni dopo la morte di Beatrice, comincia a scrivere la "Vita Nuova". Dante si consacra così molto presto completamente alla poesia studiando filosofia e teologia, in particolare Aristotele e San Tommaso. Rimarrà affascinato dalla lotta politica caratteristica di quel periodo e costruirà tutta la sua opera attorno alla figura dell'Imperatore, mito di un'impossibile unità. Tuttavia nel 1293, in seguito a un decreto che escludeva i nobili dalla vita politica fiorentina, il giovane Dante è costretto ad attenersi alla cura dei suoi interessi intellettuali.

Nel 1295 un'ordinanza decreta che i nobili riottengano i diritti civici, purché appartenenti ad una corporazione. Dante si iscrive a quella dei medici e dei farmacisti, la stessa dei bibliotecari, con la menzione di «poeta». Quando la lotta tra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri si fa più aspra, Dante si schiera col partito dei Bianchi che cercano di difendere l'indipendenza della città opponendosi alle tendenze egemoniche di Bonifacio VIII Caetani, Papa dal dicembre 1294 al 1303.

Nel 1300 Dante viene eletto tra i sei «Priori» - custodi del potere esecutivo, i più alti magistrati del governo che componeva la Signoria - che, per attenuare la faziosità della lotta politica, prendono la difficile decisione di fare arrestare i più feroci leader dei due schieramenti. Nel 1301, proprio mentre a Firenze arrivava Charles de Valois e il partito dei Neri prendeva il sopravvento (sostenuto dal papato), Dante viene chiamato a Roma alla corte di Bonifacio VIII. Iniziano i processi politici: Dante, accusato di corruzione, viene sospeso dai pubblici uffici e condannato al pagamento di una pesante ammenda. Poiché Dante non si abbassa, al pari dei suoi amici, a presentarsi davanti ai giudici, Dante viene condannato alla confisca dei beni e «al boia» qualora si fosse fatto trovare sul territorio del Comune di Firenze. E' così costretto a lasciare la sua città con la coscienza di essere stato beffato da Bonifacio VIII, che l'aveva trattenuto a Roma mentre i Neri prendevano il potere a Firenze; Bonifacio VIII si guadagnerà così un posto di rilievo nei gironi dell'"Inferno" della "Divina Commedia".

A partire dal 1304 inizia per Dante il lungo esilio. Dalla morte di Beatrice agli anni dell'esilio Dante si dedica allo studio della filosofia (per lui l'insieme delle scienze profane) e compone liriche d'amore dove lo stile della lode così come il ricordo di Beatrice sono assenti. Il centro del discorso non è più Beatrice ma «la donna gentile», descrizione allegorica della filosofia che traccia l'itinerario interiore di Dante verso la saggezza. Redige il Convivio (1304-1307), il trattato incompiuto composto in lingua volgare che diventa una summa enciclopedica di sapere pratico. Quest'opera, è una sintesi di saggi, destinati a coloro che, a causa della loro formazione o della condizione sociale, non hanno direttamente accesso al sapere. Vagherà per città e Corti secondo le opportunità che gli si offriranno e non cesserà di approfondire la sua cultura attraverso le differenti esperienze che vive.

Nel 1306 intraprende la redazione della "Divina Commedia" alla quale lavorerà per tutta la vita. Quando inizia «a far parte per se stesso», rinunciando ai tentativi di rientrare con la forza a Firenze con i suoi amici, prende coscienza della propria solitudine e si stacca dalla realtà contemporanea che ritiene dominata da vizio, ingiustizia, corruzione e ineguaglianza. Nel 1308 compone un trattato in latino sulla lingua e lo stile: il "De vulgari eloquentia", nel quale passa in revisione i differenti dialetti della lingua italiana e proclama di non aver trovato «l'odorante pantera dei bestiari» del Medioevo che cercava, ivi compresi il fiorentino e le sue imperfezioni. Pensa di aver captato «l'insaziabile belva in quel volgare che in ogni città esala il suo odore e in nessuna trova la sua tana». Fonda la teoria di una lingua volgare che chiama «illustre», che non può essere uno dei dialetti locali italiani ma una lingua frutto del lavoro di pulizia portato avanti collettivamente dagli scrittori italiani. È il primo manifesto per la creazione di una lingua letteraria nazionale italiana.

Nel 1310 con l'arrivo in Italia di Enrico VII di Lussemburgo, Imperatore romano, Dante Alighieri spera nella restaurazione del potere imperiale, che gli permetterebbe di rientrare a Firenze, ma Enrico muore. Dante compone "La Monarchia", in latino, dove dichiara che la monarchia universale è essenziale alla felicità terrestre degli uomini e che il potere imperiale non deve essere sottomesso alla Chiesa. Dibatte anche sui rapporti tra Papato e Impero: al Papa il potere spirituale, all'Imperatore quello temporale. Verso il 1315, gli viene offerto di ritornare a Firenze. Il suo orgoglio ritiene le condizioni troppo umilianti: rifiuta con parole che rimangono una testimonianza della sua dignità umana: «Non è questa, padre mio, la via del mio ritorno in patria, ma se prima da voi e poi da altri non se ne trovi un'altra che non deroghi all'onore e alla dignità di Dante, l'accetterò a passi non lenti e se per nessuna siffatta s'entra a Firenze, a Firenze non entrerò mai. Né certo mancherà il pane».

Nel 1319 Dante è invitato a Ravenna da Guido Novello da Polenta, Signore della città; due anni più tardi lo invia a Venezia come ambasciatore. Rientrando da Venezia Dante viene colpito da un attacco di malaria: muore a 56 anni nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 a Ravenna, dove oggi si trova ancora la sua tomba.

da https://biografieonline.it/biografia-dante-alighieri

 

COMMENTO SU DANTE ALIGHIERI E SULLA DIVINA COMMEDIA

Tutti conoscono Dante Alighieri, per via del suo capolavoro letterario, “La Divina commedia”, che si studia nel triennio delle scuole medie superiori. Un’opera scritta in fiorentino antico, da cui deriva il moderno italiano. Al tempo di Dante in Italia ognuno parlava il suo dialetto, la lingua volgare; il latino era l’idioma internazionale dell’epoca. I grandi letterati erano in maggioranza fiorentini, a loro si deve la diffusione della loro lingua natia, la quale soppiantò il latino come lingua universale, presso le corti di tutta Italia. Ci volle l’unificazione politica italiana nell’800, poi l’aumento della scolarizzazione ed infine la diffusione dei televisori, per far sì che l’idioma italiano venisse appreso e compreso indistintamente da tutta la popolazione. Manzoni ed altri scrittori andavano a risciacquare i loro libri nell'Arno: vale a dire che li ripulivano dai loro vernacoli per fiorentinizzarli sempre più. L’Italia, come una cosa sola, Dante Alighieri la vedeva già nel ‘300, quando l’unità politica era un sogno irrealizzabile; basta leggere la sua frase della Divina Commedia, pubblicata nell’immagine sopra. Egli era contro il potere temporali dei papi: sognava l’Italia dominata interamente dall’Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico. Collocò nel suo inferno tutti i suoi nemici e altre persone che erano la causa dei suoi guai: il suo era un cristianesimo fatto ad hoc. In quei tempi non era considerato un grave peccato dare dei giudizi sugli altri. Il viaggio nell’aldilà Dante non lo effettuò mai, la Divina Commedia è un’opera letteraria di fantasia ed immaginazione, degli esempi: trovò Ulisse che non è mai esistito, la montagna del purgatorio non è presente sulla Terra, al suo posto c’è il Continente americano, e il Papa del “gran rifiuto”, Celestino V, lui lo collocò all’inferno, la Chiesa invece lo fece Santo. Ciononostante, la Divina Commedia è un capolavoro letterario mondiale e Dante Alighieri per eccellenza è considerato il padre della lingua italiana. Quando Trento era sotto l’Austria -Ungheria, fu innalzata una statua dell’Alighieri, come omaggio all’italianità dei trentini. Mi auguro che la ricorrenza per i 700 anni della sua morte seva per sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica alla salvaguardia e alla tutela della lingua italiana, soprattutto nel combattere gli strafalcioni e la crescente diffusione di parole straniere, come più volte è stato scritto in questo sito.

lunedì 15 marzo 2021

464) CORSICA, ISOLA ITALIANA (PER GEOGRAFIA E CULTURA)


L’ITALIA FESTEGGIA I 160 ANNI DI UNITÀ POLITICA, MA ANCORA MANCANO DEI TASSELLI PER COMPLETARLA. IN CORSICA LA COSTITUITA ASSOCIAZIONE “PASQUALE PAOLI” HA LO SCOPO DI FAR RISCOPRIRE LE RADICI E LA CULTURA ITALIANA SULL’ISOLA, COME PRIMO PASSO VERSO LA DIFFICILE INDIPENDENZA DALLA FRANCIA.


IL 17 marzo 1861 a Torino fu proclamato il Regno d’Italia, dopo che c’erano stati vari conflitti per arrivarci. Per arrivare alla completa unità 160 anni fa mancavano ancora ampie porzioni di territorio italiano che furono redente negli anni, nei decenni successivi: 1866 Veneto, 1870 Roma, 1918 Trento, Trieste, Istria, Zara. L’Istria e Zara andarono perdute dopo l’ultima guerra mondiale, spopolandosi quasi interamente di italiani; oggi con la libera circolazione, nell’ambito dell’Unione Europea, alcune zone delle terre italiane che passarono alla Jugoslavia, potrebbero tornare a ripopolarsi dei discendenti italici dei giuliani – dalmati che scapparono per sfuggire alla pulizia etnica. In altri territori per geografia e per cultura italiani, come Nizza e Corsica, la scomparsa dell’italianità è avvenuta per altre ragioni. Soltanto la Savoia delle terre italiane passate alla Francia è sempre stata francofona. A Nizza, che diede i natali a Giuseppe Garibaldi e che appartenne a Casa Savoia per secoli, di italiano non c’è più nulla perché fu francesizzata completamente: i suoi abitanti dovettero cambiare i nomi e i cognomi dall’italiano al francese.

In Corsica invece solo in parte riuscì quell’operazione, poiché la lingua e la cultura corsa non riuscirono a cancellarla completamente. Oggi nell’isola la gente ha solo i nomi francesi, i cognomi sono molto simili a quelli italiani. La lingua corsa, parlata nella sua isola e anche a nord della Sardegna, deriva dal toscano (quindi dall’italiano); in molte parole (non in tutte) si differenzia dall’italiano solo per la u finale. Recentemente su quell’isola si stanno affermando dei movimenti politici autonomisti ed indipendentisti, i quali chiedono alla Francia il riconoscimento ufficiale dell’idioma isolano. Un tempo in Corsica anche l’italiano era lingua ufficiale, ma fu abolito a vantaggio del francese. Sono bene informato perché seguo attentamente un gruppo social della costituita “Associazione Pasquale Paoli” italo – corsa, il quale ha lo scopo di far riscoprire le radici e la cultura italiana sull’isola appartenente politicamente alla Francia. Questa associazione, fondata in parte da corsi trapiantati in Italia, ha come scopo finale l’indipendenza dell’isola e poi un’unione confederale con la Repubblica Italiana. Essa prende il nome dall’eroe corso Pasquale Paoli, che nei pochi anni di indipendenza dell’isola a metà ‘700, redasse una costituzione in italiano, nella lingua colta.

Statua al Pincio, Roma

"Siamo còrsi per nascita e sentimento ma prima di tutto ci sentiamo italiani per lingua, origini, costumi, tradizioni e gli italiani sono tutti fratelli e solidali di fronte alla storia e di fronte a Dio… Come còrsi non vogliamo essere né schiavi né "ribelli" e come italiani abbiamo il diritto di trattare da pari con gli altri fratelli d’Italia… O saremo liberi o non saremo niente… O vinceremo con l’onore o soccomberemo con le armi in mano... La guerra con la Francia è giusta e santa come santo e giusto è il nome di Dio, e qui sui nostri monti spunterà per l’Italia il sole della libertà." Pasquale Paoli

Il trattato di Versailles del 1769 (quando nacque il corso Napoleone Bonaparte che con la Francia sottomise l’Europa) stabilì il passaggio della Corsica dalla Repubblica di Genova (che la possedeva da cinque secoli circa) alla Francia, per i debiti contratti dai genovesi con i francesi, quando li invocarono per aiutarli a reprimere la rivolta corsa. In quel trattato c’era anche una clausola che stabiliva il ritorno della Corsica a Genova, se questa avesse pagato i debiti: su questo puntano gli indipendentisti odierni. Poiché la Repubblica ligure non esiste più, dovrebbe essere l’Italia a muoversi, ma al momento solo pochi parlamentari italiani si sono interessati a questa vicenda e non è neanche nell’attenzione mediatica. In un ipotetico referendum sull’indipendenza corsa vincerebbe sicuramente il no, per via dei molti francesi trapiantati sull’isola e a causa della paura di non disporre dei mezzi economici per essere un piccolo stato autosufficiente. Gli indipendentisti corsi puntano a far riprendere la residenza sulla loro isola ai loro corregionali emigrati in Francia e in Italia per affrontare senza paure l’eventuale referendum sul distacco dalla Francia e se raggiungeranno il loro obbiettivo, essi proporranno di stringere dei legami economici (e non) con l’Italia.