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martedì 30 settembre 2014

240) LE ATTUALI CRISI INTERNAZIONALI

NO ALLE INTERFERENZE NELLA CRISI TRA RUSSIA ED UCRAINA E SI ALL’INTERVENTO CONTRO IL CALIFFATO ISLAMICO IN IRAQ.


Obama e l’Ue stavano per combinarla grossa: avrebbero voluto scatenare una guerra (probabilmente mondiale) contro la Russia. E poi per quale motivo? Perché avrebbero voluto impicciarsi nelle questioni riservate esclusivamente ai russi e agli ucraini? Non è la stessa popolazione russa di Ucraina a chiedere a gran voce di far parte della Santa Madre Russia? Le interferenze occidentali hanno portato alla sollevazione popolare che ha deposto il Presidente Ucraino filorusso, il quale non intendeva firmare gli accordi commerciali con l’Unione Europea. Già, perché bisogna per forza dire di si all’Europa e ad Angela Merkel. A seguito di ciò la popolazione russofona d’Ucraina ha preferito guardare a Mosca, piuttosto che a Bruxelles e a Berlino e democraticamente ha chiesto l’annessione. La Russia di Putin ha cercato dall’esterno (senza un attacco diretto) di aiutare la propria popolazione dalle violente repressioni dai “nazisti ucraini”, con tanto di fregi sugli elmetti. Occorre ricordare che alcune porzioni dell’Ucraina furono cedute dalla Russia in buona fede nell’ambito dell’Unione Sovietica. Per il momento questa crisi si è spenta: gli Usa e l’Europa dapprima hanno minacciato l’intervento militare, poi tramite i negoziati hanno fatto raggiungere un compromesso, tale tregua scongiura anche il minacciato blocco delle forniture di gas russo. Ma con tutto lo scompiglio creato molti magnati russi si terranno alla larga con i loro investimenti nell’occidente. Obama e Merkel intendevano scherzare col fuoco: la Russia rimane una grande potenza nucleare (non è l’Iraq o l’Iran) che non si fa intimidire da loro. Stava per accadere quello che è stato scongiurato nel lungo periodo della Guerra Fredda. Gli italiani non intendono morire per l’Ucraina; basta ingerenze: lasciamo gli ucraini e i russi a risolvere tra loro le loro questioni private, speriamo pacificamente.




 Se il conflitto russo – ucraino è un fatto riservato esclusivamente ai diretti interessati, lo stesso non si può dire per il Califfato Islamico (Isis) venutosi a creare in vaste aree dell’Iraq e della Siria. I terroristi islamici di rito sunnita perseguitano e uccidono le minoranze islamiche sciite, ebraiche, cristiane ed alcuni occidentali presenti all’interno di quello pseudo stato, inoltre hanno minacciato più volte di occupare l’occidente (Roma compresa) e di ripetere in casa nostra le “nobili gesta” in atto nei territori da loro conquistati. Molto difficilmente questo conflitto scatenerà una guerra mondiale: basteranno dei bombardamenti mirati da parte di una coalizione internazionale di stati (arabi compresi) che consentiranno agevolmente alle truppe di terra di riprendere il controllo e di sconfiggere i terroristi. Ciò che preoccupa di più è il terrorismo internazionale di matrice islamica che cercherà d’infiltrarsi nelle nazioni nordamericane ed europee. Se ad esempio si medita sul traffico illegale di immigrati che è in atto nel Mediterraneo, che quest’anno ha subito un’impennata da record grazie al permissivismo dello Stato Italiano in mano ai cattocomunisti: quanti terroristi sono penetrati in Europa? Quanti di quei miliardi di dollari ricavati grazie a quel traffico umano finiranno in mano
ad Al Qaeda? Rovesciare i regimi di Saddam Hussein e di Gheddafi sono stati dei madornali errori: anche se quelli non erano dei sant’uomini rappresentavano due figure forti, inattaccabili, che tenevano uniti i loro paesi senza farli sfociare nel caos e nell’anarchia odierna. Lo scorso anno stavano commettendo lo stesso errore in Siria quando si intendeva attaccarla per rovesciare il regime di Assad. Fu Putin che fece delle pressioni per scongiurare quell’intervento. Ora che le truppe della Nato se ne andranno dall’Afghanistan, in quella nazione potrebbe istituirsi un altro regime islamico integralista e terrorista legato ad Al Qaeda: non bisogna dimenticare che da lì partirono gli attentati dell’11 settembre 2001. Il Papa stesso, che lo scorso anno istituì una giornata di digiuno e di preghiera al fine di scongiurare l’intervento militare in Siria, si è reso conto che i bombardamenti in atto in Iraq sono l’unica soluzione per prevenire lo sterminio dei cristiani, delle altre minoranze e per evitare che il Califfato arrivi sino a casa nostra.

domenica 21 settembre 2014

239) INTERVISTE

Pansa: "Vi racconto l'Italia in cui tutti, o quasi, gridavano Eia Eia Alalà"

Nel suo nuovo libro Giampaolo Pansa autore del «Sangue dei vinti» ricostruisce l'ascesa del fascismo e il consenso di massa al regime. Che molti dimenticano...

Matteo Sacchi - Mer, 17/09/2014 - 09:41 (Il Giornale)




Si chiama Eia Eia Alalà ed è in libreria da oggi. Se non bastasse il titolo (a caratteri cubitali rossi in stile molto littorio), ci pensa il sottotitolo a spiegare che cosa si può trovare in questo volume (Rizzoli, pagg. 378, euro 19,90) a firma Giampaolo Pansa: Controstoria del fascismo. Pansa infatti, usando l'artificio del romanzo - «a me il lettore piace acchiapparlo per la coda, non annoiarlo a colpi di saggio» - mette i puntini sulle «i» della storia italiana della prima metà del '900 per spiegare che cosa sia stato e come sia nato il Ventennio mussoliniano. Il suo espediente narrativo è partire dalla sua terra e raccontare attraverso le vicissitudini del possidente terriero Edoardo Magni (personaggio di fantasia, ma nel libro ce ne sono molti realmente esistiti) come l'Italia sia diventata, convintamente, fascista. E lo sia rimasta a lungo. Non c'è bisogno di dire, viste le scomode verità venute a galla con i suoi precedenti libri (a partire da Il sangue dei vinti ) e il tema, che la polemica è garantita. E che qualche gendarme della memoria, per usare un'espressione dello stesso Pansa, avrà qualcosa da dire.
Dunque, Eia Eia Alalà. L'urlo di una generazione?
«Non sai quante volte l'ho sentito gridare quando ero bambino ed ero un Figlio della Lupa. Ho anche una foto in cui, piccolissimo, facevo il saluto romano, davanti al monumento ai Caduti. Non ho fatto in tempo a diventare balilla, però. Il regime è caduto prima. E per quanto in casa dei gerarchi sentissi dire peste e corna. Il sottofondo della vita degli italiani era quello lì».
Per questo l'hai scelto come titolo?
«In parte, volevo anche un titolo che cantasse. Che rendesse l'idea di quello che a lungo il regime è stato per gli italiani. L'avventura del fascismo è stata legata all'idea di vincere, di migliorare il Paese. Rende l'idea di quella giovanile goliardia che affascinò molti. Un fascino che iniziò a incrinarsi solo con le orribili leggi razziali e crollò definitivamente solo con gli orrori della guerra».
Non molti hanno voglia di ricordare che il fascismo ebbe davvero una presa collettiva. Tu invece questo lo racconti nel dettaglio...
«Ho voluto fare un racconto senza il coltello tra i denti. Che cosa rimprovero io a storici, anche molto più bravi di me che di solito scrivono su Mussolini? Ma di avere una partecipazione troppo calda, schierata. Io, anche grazie all'invenzione di un personaggio come Magni, invece ho cercato di fare un racconto neutrale. Per chi c'era è un'ovvietà che il fascismo ebbe un consenso di massa. Tutti erano fascisti tranne una minoranza infima. Gli antifascisti erano una scheggia microscopica rispetto a milioni di italiani. Gli italiani ieri come oggi volevano solo un po' di ordine... E Mussolini glielo diede. Ai più bastò».
Tu attribuisci molte responsabilità ai socialisti che favorirono involontariamente il successo del fascismo, regalandogli il potere... A qualcuno verrà un colpo!
«La guerra perpetua tra rossi e neri creava sgomento. Gli scioperi nelle città, ma soprattutto nelle campagne crearono il caos... Si minacciò la rivoluzione senza essere capaci di farla davvero. Si diede l'avvio alle violenze senza calcolare quali sarebbero state le reazioni. E per di più, esattamente come la sinistra attuale, i socialisti erano perpetuamente divisi. Pochi capirono quanto fosse grave la situazione. Tra questi Pietro Nenni, il quale a proposito della scissione comunista del 1921 scrisse: A Livorno è cominciata la tragedia del proletariato italiano».
Però qualche responsabilità la ebbe anche la borghesia italiana, o no?
«Noi non avevamo la tradizione liberale di altri Paesi. Ed eravamo in una situazione economica terribile che a tratti mi ricorda quella di oggi. C'erano dei partiti-casta in cui la gente non si riconosceva e lo scontro tra ceti (o classi) era alle porte... Il nero è nato dal rosso, la paura ha fatto allineare gli italiani come vagoni ferroviari dietro a Mussolini. Non per obbligo, nonostante le violenze degli squadristi. Sono stati conquistati dalla grande calma dopo la marcia su Roma. L'italiano dei piccoli centri, delle professioni borghesi, voleva soltanto vivere tranquillo. Avuta la garanzia di una vita normale e dello stipendio a fine mese, di chi fosse a palazzo Chigi o a palazzo Venezia gli importava poco».
Qualunquismo?
«L'Italia continuava a essere soprattutto un Paese agricolo. Lo sciopero agrario del 1920 rischiò di paralizzare la campagna. Le leghe rosse impedendo la mungitura, nel libro lo racconto, minacciarono di far morire le mucche... Da lì nacque un fascismo virulento e tutto particolare che poi si prese la rivincita. Il fascismo è stato il ritratto di gruppo degli italiani. C'era dentro di tutto. C'erano molte forze vitali e diverse. Poi il criterio dell'obbedienza cieca, pronta e assoluta che tanto propagandava Starace fece sì che nel cerchio di persone più vicine al Duce si andasse verso una triste selezione al ribasso».
In Eia Eia Alalà descrivi la parabola triste di molti fascisti «diversi».
«La scollatura tra italiani e regime iniziò con le leggi razziali, non prima. Lì inizio il male assoluto, la vergogna. Una delle figure più tragiche del libro è Aldo Finzi. Di origine ebraica, aviatore, fascista della prima ora, poi messo ai margini e fucilato alle Fosse Ardeatine. Poi è arrivata la guerra e la rimozione di massa».
Ma davvero vedi così tante assonanze tra l'oggi e l'avvento del fascismo?
«È possibile non vederle? L'unica variante è il terrorismo internazionale. Ed è una variante peggiorativa».




Magdi Allam: l’Italia può essere islamizzata? Il pericolo c’è e vi spiego come affrontarlo

di Priscilla Del Ninno/gio 18 settembre 2014/12:07 (Il Secolo d’Italia)


Il Califfato d’Italia nel 2015: provocazione letteraria, teoria fantascientifica o realtà futuribile? Sicuramente è lo spunto servito a Pierfrancesco Prosperi, noto autore italiano di fantascienza, per ultimare l’ultimo capitolo di una trilogia di romanzi fantapolitici inaugurata nel 2007 con il profeticamente inquietante La moschea di San Marco. Proseguita nel 2009 con La Casa dell’Islam, a cui quest’anno si aggiunge l’antologia Il futuro è passato. La sottile trama nera che collega i tre volumi è chiaramente la minaccia islamica che, nel terzo appuntamento editoriale, arriverebbe a concretizzarsi con la nascita di un Califfato d’Italia già nella prossima primavera. Un’ipotesi possibile? Lo abbiamo chiesto a Magdi Cristiano Allam, giornalista e scrittore egiziano naturalizzato italiano.
«Occorre – ci ha detto – fare due considerazioni fondamentali, la prima di tipo sociale, la seconda di matrice storica. Partiamo dunque da un dato rigorosamente demografico secondo il quale gli italiani registrano ad oggi il triste primato del più basso tasso di natalità in Europa, così come l’Europa, intesa come Unione Europea, accusa il più basso tasso di natalità nel mondo. Una verità tradotta in termini percentuali: 1,2% il tasso di natalità italiano, rispetto all’indice del 2,1% necessario per garantire l’equilibrio demografico. Potendo invece gli immigrati, soprattutto gli immigrati di fede musulmana, contare su un tasso di natalità molto più elevato, non possiamo non tener conto di una sproporzione che rischia di diventare determinante. Una differenziazione già teorizzata peraltro nel recente passato da diversi esponenti politici – dall’allora presidente algerino Boumédiène a Gheddafi – i quali in diverse occasioni hanno pronosticato come, a loro detta, l’islamizzazione dell’Europa sarebbe avvenuta grazie al ventre delle donne musulmane. Detto ciò credo che, in particolare in Italia, siamo ancora lontani da questa prospettiva.
E la seconda considerazione?
Riguarda invece un detto attribuito a Maometto secondo il quale, dopo Costantinopoli, anche Roma verrà islamizzata. Per i musulmani l’islamizzazione di Roma, ossia del centro della cattolicità, del cristianesimo, è considerata come un dato certo di là da venire. E come dicevo poco fa, magari anche pacificamente, semplicemente attraverso l’andamento demografico. Non è un caso allora se oggi per esempio – come da me riportato nella parte finale del mio libro Europa Cristiana Libera – una figura come Yussef Al Qaradawi, noto telepredicatore della rete televisiva Al Jazeera, oltre che esponente di punta dei Fratelli musulmani, in una sua predica si ritrova ad affermare con chiarezza: «Noi conquisteremo Roma senza ricorrere alle armi». E del resto, infine, anche una celeberrima frase di un esponente islamico turco recita: «Con le vostre leggi (rivolgendosi all’Europa) noi vi invaderemo. Con le nostre leggi noi vi sottometteremo».
Quindi come ci si può difendere?
Sono d’accordo su una considerazione con Papa Francesco: noi oggi stiamo subendo la terza guerra mondiale. E su due fronti principali: quello finanziario-economico e quello del terrorismo islamico globalizzato. Basti pensare che, secondo quanto ha dichiarato il ministro dell’Interno Alfano, abbiamo all’interno dei nostri confini almeno una cinquantina di terroristi islamici con cittadinanza italiana, l’80% dei quali sarebbero italiani convertiti all’Islam: abbiamo il nemico in casa. E allora dobbiamo difenderci, innanzittutto spezzando la catena della predicazione dell’odio che nasce all’interno delle moschee e che, attraverso un pericolosissimo lavaggio di cervello, trasforma le persone in robot della morte operative ovunque.
E oltre che “bonificare” le moschee?
Sul fronte esterno dobbiamo militarmente essere presenti nei centri nevralgici del mondo: bisogna andare in Iraq, in Siria, in Libia, in Nigeria, in Somalia, e combattere e sconfiggere i terroristi islamici. Perché o li sconfiggiamo ora, o ce li ritroveremo dentro casa.
E sul fronte intellettuale, quale potrebbe essere il ruolo degli intellettuali, compreso quello dei sostenitori dell’“islamicamente corretto”?
A loro chiederei semplicemente l’atto di umilità di leggere il Corano, di leggere la biografia di Maometto: non chiedo altro…

domenica 31 agosto 2014

238) VACANZA IN SPAGNA

LA SPAGNA PER ALCUNI VERSI È UNA NAZIONE PIÙ TRANQUILLA ED ORDINATA DELLA NOSTRA.


Dopo trent’anni sono tornato in Spagna per la seconda volta. Del primo viaggio, in cui partecipai con la parrocchia di Cori Monte nell’agosto 1984, che comprendeva, oltre a Lourdes e Fatima, le principali città spagnole, non ricordo granché. Ma il mondo è molto cambiato da allora. Quest’anno ho avuto la possibilità di tornare nel paese iberico perché sono stato invitato da un sacerdote del Venezuela che conobbi a Cori e che nel corso degli anni ha mantenuto i contatti con me tramite posta. Questo mio amico si trova a Toledo (che è sede dell’arcivescovo primate di Spagna), che dista da Madrid oltre 60 km, la città in cui sta trascorrendo un anno sabatico.

Ho deciso di partire, munendomi di navigatore satellitare e atlante stradale, imbarcandomi con l’automobile su un traghetto Civitavecchia – Barcellona: dopo una traversata lunga 20 ore, mi attendevano circa 700 km di auto per giungere a Toledo dalla città catalana. Tante domande mi ponevo mentre mi accingevo ad affrontare questo viaggio, il primo della mia vita in cui avevo un ruolo guida e tutto dipendeva da me e che avrei affrontato per alcuni tratti da solo in un paese straniero: ce la farò ad essere all’altezza? Reggerò ore ed ore alla guida di un’autovettura? Erano anche tredici anni che non uscivo dall’Italia; è stata altresì per me la prima volta in cui ho cambiato nazione senza affrontare quello che era il consueto cambio valuta. Arrivato a destinazione sono stato ospitato nella casa dove abita il mio amico, in pieno centro storico della città dichiarata patrimonio mondiale dall’Unesco. Egli ha trovato il tempo da farmi da cicerone nel visitare Toledo e Madrid, allo stesso modo mi ha concesso piena libertà nel fare e nel muovermi come preferivo e nel non farmi influenzare dai suoi impegni e dalle sue restrizioni; così ho fatto quando non poteva accompagnarmi nei giri turistici. Io gli ho portato i prodotti tipici coresi: dolci, olio e vino soprattutto; quest’ultimo è stato tanto apprezzato che lui e qualche altro suo amico se ne sono scolata quasi un’intera damigiana, apprezzando in positivo la sostanziale differenza col vino spagnolo e la tipica sangria. La Spagna è un paese ritardatario: si pranza alle 14:30 e si cena alle 21:30; le analisi del sangue negli ospedali le fanno anche alle 11:00. Ho accompagnato il mio amico in un grande ospedale di Madrid per delle analisi e mi sono reso conto che la sanità pubblica è tutta un’altra cosa rispetto a noi: c’è più ordine e più pulizia. Egli stava per rinunciare ad attendere i referti delle analisi per non farmi perdere tempo; io l’ho invitato a rimanere e la mia insistenza si è rivelata fondamentale. Oltre che sul turismo ho fatto molte domande sulla vita spagnola toccando i temi che di solito affronto qui: povertà in aumento, matrimoni omosessuali, immigrazione, Chiesa, ecc. Mi è stato riferito che la Chiesa, a differenza dell’Italia, in Spagna non ha voce e non gode di tutti i privilegi italiani, c’è anche molto anticlericalismo e i sacerdoti provenienti dall’America - Latina salvano il paese dalla loro diminuzione. Durante la guerra civile moltissimi religiosi vennero trucidati, poi con l’avvento di Franco arrivò la pacificazione.

In un parco mi ha fatto vedere una coppia gay in atteggiamento intimo, invitandomi a non dire niente o mi avrebbero fatto passare i guai con le denunce; io gli ho risposto che erano liberi di fare tutto quello che volevano, l’importante era che non avessero rotto le scatole a me. Molte coppie sodomite che adottano i bambini li portano in chiesa a battezzarli e i preti li battezzano tranquillamente senza dire nulla. Andrea in Spagna, come in altre nazioni, è un nome femminile, l’equivalente maschile è Andrès ed era il nome con cui venivo chiamato certe volte dinanzi ad altri spagnoli, onde evitare che si facessero erroneamente l’idea che anch’io avessi quelle tendenze, non sapendo che in Italia Andrea è sempre stato un nome per uomini. Anche la mamma del mio amico sacerdote mi ha preso per femmina quando per telefono suo figlio le ha detto che doveva arrivare da lui Andrea dall’Italia.

L’immigrazione in Spagna è più controllata ed è gestita meglio: la criminalità straniera è molto minore rispetto all’Italia, di venditori ambulanti abusivi se ne vedono pochini in giro e molto raramente si notano interi quartieri o intere strade nelle città ghettizzate da africani o da mediorientali. Gli immigrati latinoamericani sono moltissimi e si integrano bene nel tessuto sociale spagnolo per lingua, per cultura e per religione; ora però molti se ne stanno andando a causa della grave crisi che attraversa la Spagna; la si nota anche dei tanti mendicanti spagnoli presenti a Madrid. Per lui c’è più rispetto in Spagna che in Italia: mi ha raccontato che una volta a Torino, a causa della sua carnagione olivastra, la polizia gli aveva chiesto i documenti, scambiandolo per un marocchino spacciatore, quando gli agenti si sono resi conto che era un prete venezuelano si sono scusati; ha concluso che se fosse stato oggetto in Spagna di un simile episodio avrebbe potuto anche denunciare le forze dell’ordine per discriminazione. Penso che se le forze di polizia chiedono i documenti hanno l’autorità per farlo e le loro buone ragioni; anche a me potrebbero chiederli e io sarò costretto ad obbedire senza fiatare.


Da noi ormai gli anglicismi imperversano e ormai nessuno pensa a tradurli più; al contrario in Spagna trovano dei nomi spagnoli corrispondenti per ogni parola inglese di uso comune: ad esempio la Champions League è la Liga de Campeones. Le metropolitane di Madrid hanno ben dodici linee: ho domandato come mai non fossero presenti i cartelli “attenzione ai borseggiatori”, mi hanno guardato male come per dire “ma che bestemmia stai dicendo?” I ritardi dei treni e degli autobus sono rari.

Secondo me la parte negativa della Spagna è dal punto di vista ambientale: quando si attraversano al suo interno le autostrade intorno c’è soltanto della terra arida, non si intravede una coltivazione o un paese per molti chilometri, è per quello che hanno le terre a disposizione per due tipi di autostrade, gratuite (autovia) e a pagamento (autopista). Queste ultime sono salatissime e la gente che è ignara rimane fregata, rendendosi conto del perché erano così vuote. Al contrario nelle autostrade (e nelle ferrovie) italiane si notano bei paesaggi: campi coltivati, paesi arroccati su delle alte cime, spettacolari viadotti, lunghe gallerie e il prezzo del pedaggio è accettabile.

Al ritorno non ho preso il traghetto, ho fatto tutto il percorso in auto con a fianco il mio amico che ho accompagnato sino in Piemonte, dove trascorrerà una vacanza presso dei suoi cari conoscenti. Sono stato felice di effettuare questo tragitto, anche se è stato più costoso: in questo modo la mia vacanza è stata più movimentata ed emozionante. Abbiamo allungato il percorso perché ho chiesto di deviare per Lourdes, che avevo desiderio di rivedere dopo un trentennio esatto. Nel paese francese dei Pirenei ho assistito ad un rosario notturno e l’indomani di buon mattino anche ad una messa celebrata da un vescovo italiano (la zona della cattedrale sembra una colonia italiana), mentre il mio compagno di viaggio ha concelebrato un’altra messa. Siamo ripartiti in direzione della Costa Azzurra, dopo un estenuante percorso di dodici ore siamo arrivati a vicino Nizza, ci siamo fermati in un posto dove il mio amico ha trascorso la convalescenza a seguito di un’operazione, perché desiderava salutare delle sue conoscenze. Il giorno dopo nel primo pomeriggio siamo arrivati nella meta finale del mio amico: un piccolo borgo agricolo piemontese dove egli era atteso da una famiglia molto gentile di trapiantati in Piemonte da altre regioni, successivamente ripartirà per la Spagna con l’aereo. Anch’io sono stato ospitato per un paio di giorni e ne ho approfittato per recarmi a Torino. Infine è arrivato il momento dei congedi e dei saluti finali al momento della ripartenza alla volta di Cori. Ho ringraziato tutti, che a loro volta mi hanno chiesto di avvertirli quando sarei arrivato a casa. Sono sceso attraverso il versante tirrenico, evitando così di percorrere l’Autostrada del Sole. L’autostrada tirrenica, che dovrebbe essere congiunta alla Roma – Latina, è ancora in alto mare (c’è una superstrada come la Pontina), ma qualcosa si sta muovendo tra Civitavecchia e Tarquinia.

Durante i lunghi viaggi in auto bisogna tenere alta la guardia, rimanendo concentrati, così avviene nei tratti molto trafficati, mentre nei percorsi con pochi autoveicoli c’è il rischio del colpo di sonno, che è sempre in agguato. Per vincere ciò bisogna ingerire molti caffè e delle bevande energetiche, è altresì importante un buon riposo prima di mettersi alla guida. Ho sentito dei sensi di angoscia e di tristezza ripensando a qualche raro errore o distrazione fortunatamente senza conseguenze. Ma arrivato alla mia meta finale, con soddisfazione potevo dire di avercela fatta ad affrontare con le mie forze un viaggio così lungo con l’auto, superando brillantemente il “battesimo del fuoco”. Quando si parte non si vede l'ora di tornare, quando si torna si prova nostalgia e si vorrebbe partire nuovamente. Tempo e soldi permettendo.

sabato 9 agosto 2014

237) IL NOSTRO MONDO AL ROVESCIO

MENTRE L’INTEGRALISMO ISLAMICO SI FA SEMPRE PIÙ AGGRESSIVO, L’OCCIDENTE “CRISTIANO” PERDE LA TESTA, O MEGLIO I SUOI VALORI RELIGIOSI, PATRIOTTICI, FAMILIARI, TRADIZIONALI,  DISTORCENDO LA REALTÀ ED IDEANDO DELLE ASSURDE ALTERNATIVE, IN NOME DI UNA UTOPICA VISIONE MULTICULTURALE, DA OFFRIRE IN DONO AL “DIO CONSUMISMO”.


Negli ultimi tempi il mondo sembra impazzito: da una parte il radicalismo islamico avanza brutalmente, dall’altra parte l’occidente che perde quei valori che per millenni ne hanno costituito le fondamenta. E cosa succede se ad una costruzione vengono a mancare le fondamenta? Crolla tutto. È tanto tempo che io mi batto perché ciò non avvenga: questo sito è inzuppato di patriottismo, valori legati al cattolicesimo tradizionale, usanze di paese e bandisco nel modo più assoluto qualsiasi distorsione di quello che dovrebbe essere la normale realtà. Coloro i quali sono “alla moda”, al “passo coi tempi”, “moderni”, potranno giudicarmi anacronistico, arcaico, antiquato ed a volte anche con dei termini più offensivi. Non fa nulla, occorre continuare nella consapevolezza di essere nel giusto e di non volere il male di nessuno.

Gli integralisti islamici, che grazie al lassismo del Presidente Usa Obama hanno preso il potere in una parte dell’Iraq e in una parte della Siria, creando un califfato, scacciando e perseguitando le minoranze cristiane, minacciano di voler occupare Roma: capitale del cristianesimo, della nostra nazione e sede di un antico e colossale impero. I romani si faranno due risate udendo queste minacce di chissà quale popolo sottosviluppato e sorrideranno ancora di più sentendo parlare di religione: mica sono argomenti seri, per cui vale la pena di scaldarsi, come per gli ultimi acquisti della Roma e della Lazio.

Tanti anni fa, allorquando si era concentrati sulla disputa comunismo contro mondo libero ed il risveglio islamico non era proprio considerato, non si diede molta importanza ad un discorso pronunciato davanti all’Onu dal Presidente Algerino, in cui si dichiarava che un giorno milioni e milioni di individui si sarebbero spostati dal sud al nord del mondo, tale esodo non sarebbe avvenuto in modo pacifico, e il ventre delle loro donne avrebbe portato alla vittoria.

Un individualismo sempre più crescente in occidente ha portato ad un crollo vertiginoso della natalità, inzuppato da dei disegni illusori ed utopici di multiculturalismo nei principi retorici del buonismo e dell’accoglienza. L’Unione Europea, che è un’organizzazione priva di valori ed idee, ne è il classico esempio: l’importante è allargare il più possibile il mercato ed i consumi. È storicamente provato che la convivenza di culture, etnie e religioni diverse, che si ghettizzano, porta allo scoppio di conflitti interni; l’unica eccezione è rappresentata dal continente americano, ma non tanto, visto che la multi etnicità che lo caratterizza è fondata sullo sterminio dei popoli nativi. Conoscere sì gli usi ed i costumi di tutti i popoli del mondo, ma occorre conservare gelosamente i propri e non rinnegarli. Chi ha stabilito che bisogna cancellare le identità, le culture di interi popoli e bisogna rimuovere le proprie tradizioni per non urtare la sensibilità di coloro che vengono ospitati ed hanno usanze diverse? Questo non è un razzismo al contrario? Come il non occuparsi dei problemi dei nostri connazionali, particolarmente degli anziani, sacrificati in nome del terzomondismo. Il pensiero comune va in tal senso: prima il marxismo e poi soprattutto la società del benessere e dei consumi ha stravolto i nostri valori religiosi, nazionali e il concetto di famiglia normale.

Per la logica conseguenza di credere in tutto quello che si vede, si può dimostrare e si può realizzare per vivere più comodamente la gente si allontana sempre più dalla religione e le tradizioni vanno perdute: molti non si sposano più in chiesa, qualche nascituro non viene battezzato, però in occasione delle festività religiose, mutate in ricorrenze consumistiche e di abbuffate alimentari, quasi tutti si scambiano gli auguri.

La divisa si veste per i soldi, non per amor di patria e non per sentirsi ancora più fieri di essere italiani. Ai tempi del servizio di leva obbligatorio molti cercavano dei sotterfugi per non svolgerlo e svaniva nel popolo il senso del sacro dovere di servire la patria. L’inno nazionale viene fischiettato a mo’ di parodia, come una presa in giro, quando gioca la nazionale di calcio e per le masse non ha più il significato sacro e solenne del sangue sacrificato per rendere unita e indipendente la patria nazionale e di riscatto dopo secoli di sottomissioni.

Il concetto di famiglia viene stravolto quando le unioni al di fuori del matrimonio si vorrebbero equiparare allo stesso; avviene la stessa cosa per il concetto di procreazione (e quindi di sopravvivenza dell'umanità) quando si vorrebbe distorcere la normalità: la dottrina moderna della nostra società vorrebbe mettere sullo stesso piano l’eterosessualità e l’omosessualità, con possibilità di scegliere il proprio orientamento ed anche cambiarlo successivamente. Va anche di moda dire “parità di genere”, come se esistessero delle leggi che favoriscono un sesso a discapito di un altro.

Va bene che viviamo in una nazione libera, in cui uno, basta che non fa nulla contro la legge, può fare quello che vuole, però la perdita totale di quegli ideali nella nostra società potrebbe facilitare la caduta della millenaria nostra civiltà. In passato quando i valori erano impressi nelle vene della collettività mai sarebbe accaduto che la nostra cultura venisse assoggettata da altre. È un utopia volere questo mondo anche perché alcune culture e religioni del mondo, che si vorrebbero importare sempre più, non accetteranno mai queste “moderne concezioni” dell’occidente: ad esempio uguaglianza tra sessi, diritti omosessuali, libertà religiosa e di alimentazione.

La soluzione migliore sarebbe quella di far avere all’occidente un ruolo guida per il benessere mondiale: tutte le nazioni occidentali prendono in affidamento le altre nazioni del mondo, allontanando i governanti corrotti ed i fanatici religiosi, prodigandosi allo sviluppo. Accoglienza dei profughi si, ma in modo limitato e regolare. Se proseguiranno sulla strada dell’immigrazione selvaggia ed incontrollata sarà una vera manna dal cielo per le mafie, per le organizzazioni criminali, per i fondamentalisti islamici; noi ci troveremo in un mare di guai e tra ampi strati della popolazioni si diffonderà in modo sempre più consistente il razzismo e la xenofobia. Ma alla maggioranza del popolino basterà qualche altro regalo elettorale per restare buono ed assistere impassibile ai “sinistri” disegni.


                                    

lunedì 28 luglio 2014

236) CENTO ANNI FA LA GRANDE GUERRA

IL 28 LUGLIO 1914 CON L’ATTACCO AUSTRO – UNGARICO ALLA SERBIA INIZIAVA LA PRIMA GUERRA MONDIALE O LA GRANDE GUERRA.



Con la dichiarazione di guerra dell’Impero Austro – Ungarico alla piccola Serbia il 28 luglio 1914 iniziava quella che fu chiamata La Grande Guerra, successivamente dopo la “Seconda Guerra Mondiale” verrà chiamata “Prima Guerra Mondiale”. La guerra fu la logica conseguenza dell’uccisione dell’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando, avvenuta a Sarajevo un mese prima, da parte di uno studente nazionalista serbo.  Il conflitto in questione si distinse da tutti gli altri precedenti europei perché non coinvolse solo l’Europa, ma anche molte nazioni extraeuropee. Nuove armi furono impiegate per la prima volta: aerei, carri armati, sottomarini, armi chimiche e batteriologiche. L’avvio delle operazioni belliche chiuse il ciclo della cosiddetta “Bella epoque”: La calma apparente in Europa tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 non smorzò completamente le tensioni tra le principali potenze europee, smaniose di dominare sulle rivali e quindi sul mondo intero; inoltre i movimenti nazionalisti ed irredentistici, specie in Italia e nei Balcani, erano molto attivi. A difesa della Serbia intervenne immediatamente la Russia zarista, provocando la reazione tedesca in soccorso austriaco. Francia e Gran Bretagna, legate alla Russia da un’alleanza, dichiararono a loro volta guerra agli imperi centrali (tedesco, austro – ungarico e ottomano).




L’Italia, legata alla “Triplice Alleanza” con Austria e Germania, in un primo momento preferì restare fuori dal conflitto, l’opinione pubblica era divisa tra interventisti e neutralisti e grande era il corteggiamento da parte delle due fazioni belligeranti. Il Regno Italico alla fine preferì intervenire a fianco della “Triplice Intesa” (Francia, Gran Bretagna e Russia): vuoi per completare il processo dell’unificazione nazionale e vuoi per le maggiori acquisizioni territoriali promesse in caso di vittoria. La guerra fu molto lenta, durò più di quattro anni, smentendo le ottimistiche previsioni di avanzamenti rapidi: gli eserciti rimasero inchiodati nel fango delle trincee. Nel 1917, dopo che, sia da una parte e sia dall’altra, ci furono dei momenti di gloria a seguito di battaglie vittoriose, due eventi importanti diedero una svolta alla guerra: la “rivoluzione d’ottobre” russa, la quale segnò l’uscita di quello stato dal conflitto, e l’entrata in guerra degli Stati Uniti d’America. Gli americani entrarono a causa dell’affondamento della loro navi civili da parte dei sottomarini tedeschi. Gli Imperi Centrali si arresero uno alla volta tra l’ottobre ed il novembre 1918, logorati dalle crisi economiche e dalle rivolte interne. Il malcontento per le non buone condizioni economiche del dopoguerra crearono instabilità e sommosse in tutto il continente, favorite anche dall’eco della Rivoluzione Russa, la quale non ci sarebbe mai stata senza la guerra. In questo clima molti regimi autoritari si imposero per evitare che il bolscevismo dilagasse ovunque; la Francia e la Gran Bretagna rimasero le uniche due grandi democrazie plutocratiche del vecchio continente.
  

Le conferenze e i trattati di pace di Saint Germain e di Versailles sancirono la nuova cartina geografica d’Europa: dalle ceneri degli imperi Austro – Ungarico, Russo, Ottomano e Tedesco, nacquero dei nuovi stati, principalmente nell’Europa orientale e nel Medio Oriente (Jugoslavia, Austria, Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia, Siria, Iraq, Palestina). Le umilianti condizioni di pace imposte alla Germania, unitamente alla mancata assegnazione all’Italia di tutti i territori promessi al momento dell’ingresso nella guerra, causarono un desiderio di rivincita e vendetta che porteranno alla Seconda Guerra Mondiale. I caduti furono all'incirca tra i 15 ed i 17 milioni, tra militari e civili, così ripartiti: Italia 654.000, Francia 1.300.000, Austria Ungheria 1.200.000, Gran Bretagna 682.000, Germania 2.040.000, Russia 2.000.000, Serbia 100.000; negli anni seguenti si aggiunsero altri morti a causa delle ferite riportate e a causa della "febbre spagnola". Un altro fatto degno di nota in quel primo dopoguerra fu la creazione della “Società delle Nazioni”, un prototipo dell’odierno Onu. Dopo la “Grande Guerra” il ruolo egemone europeo sul mondo iniziava a scricchiolare, a vantaggio degli Usa e successivamente anche a favore dell’Unione Sovietica.

lunedì 21 luglio 2014

235) CLAMOROSA ASSOLUZIONE PER BERLUSCONI

QUANDO TUTTI SI ASPETTAVANO L’ENNESIMA CONDANNA PER SILVIO BERLUSCONI, ECCO ARRIVARE INASPETTATA L’ASSOLUZIONE SUL PROCESSO RUBY. TUTTO BENE QUEL CHE FINISCE BENE, ORA PERÒ SARÀ IL TEMPO DEL RINNOVAMENTO NELLA DESTRA ITALIANA.



La notizia clamorosa ha fatto il giro del mondo: Silvio Berlusconi è stato assolto dall’accusa di favoreggiamento alla prostituzione minorile. L’evento è clamoroso nel senso che l’ex cavaliere, in questo come in altri processi, sembrava non avere scampo per un accanimento mai visto e una persecuzione inaudita, non per il fatto che un colpevole l’abbia fatto franca. I fattori che hanno giovato nell’assoluzione sono: la non conoscenza dell’età di Ruby da parte di Berlusconi e la non dimostrabilità del rapporto carnale consumato. Un anno fa dissi che era una cosa inaudita condannarlo, smentendo così le testimonianze depositato dei coinvolti in questa vicenda, compreso un questore di polizia, che ha decisamente smentito le tesi dell’accusa su quella famosa telefonata in questura, mettendo al tappeto Ilda Bocassini. Alla giustizia italiana piace perdere tempo (e denaro) con queste stupidaggini (solo se riguardano dei personaggi scomodi politicamente però), mentre per attendere una sentenza per delle cose serie si devono aspettare anni ed anni. L’imponente campagna di fango denigratoria portata avanti dai giornali di sinistra sulla questione Ruby contribuì non poco alla caduta del Governo Berlusconi nell’autunno 2011: fu uno dei motivi per cui l’Europa non voleva più avere a che fare col capo del centrodestra italiano; un altro era quello che egli non intendeva più piegarsi allo politica tedesca. In quel tempo il moralismo acido ed ipocrita imperversava da parte di coloro che oggi non si danno pace per l’esito del processo. Molto probabilmente non finirà qui (in questo come in altri processi farsa) e ricorreranno in Cassazione: se non escono degli elementi nuovi per quale motivo? Per sperperare ulteriormente del denaro pubblico? È stato il nuovo corso nel Pd di Renzi di collaborazione con Forza Italia per le riforme istituzionali, ben visto dalla Presidenza della Repubblica, che ha dato questa svolta clamorosa nel giudizio della Corte d’Appello? Oppure è stata la bravura degli grandi avvocati di fama internazionale a ribaltare la sentenza del Primo Grado di giudizio? Secondo me un po’ tutte e due le cose hanno influito; neanche gli avvocati si aspettavano questo risultato: essi puntavano ad una riduzione della pena.

Chiusa questa questione (almeno si spera) in positivo per Silvio Berlusconi, ora bisognerà ricostruire una destra o un centrodestra: indicando precisamente dei programmi specifici e cercando un nuovo candidato alla Presidenza al Consiglio; Berslusconi con la sua esperienza potrà dare manforte dall’esterno. Inoltre occorrerà definire le alleanze: o con la destra (Lega Nord) compresa o col centro di Alfano; io opterei per la prima ipotesi. In Forza Italia (presentatasi alle ultime elezioni come Pdl) nell’ultimo anno è emerso del contradditorio: prima ha ritirato l’appoggio al Governo Letta, perdendo così gli scissionisti del “Nuovo Centrodestra”, poi con l’avvento di Renzi è tornata a collaborare dall’esterno col governo. Allora che senso ha avuto l’uscita dal governo di grande coalizione di emergenza? Se continuerà su quella strada e non elaborerà un’alternativa di governo valida con tutte le altre forze di opposizione, il Partito Democratico continuerà ad erodergli i consensi, perché nelle masse ci sarà la sensazione che Renzi e Berlusconi sono una cosa sola. Finora i risultati del governo in carica sono disastrosi: non è con 80 €, per attirare elettoralmente pensionati e statali e lasciando scoperti degli altri servizi che ricadranno sulle tasche dei cittadini, che si risolvono le gravi questioni che attanagliano la nazione, come la disoccupazione crescente e le tasse che mangiano sempre di più la gente.

domenica 13 luglio 2014

234) INCHIESTA FOTOGRAFICA 2

  • VIA CASALOTTO DOPO I LAVORI E I SOLITI PARCHEGGI SELVAGGI
 



Sono terminati i lavori previsti per l’allargamento di alcuni tratti di Via del Casalotto e la realizzazione dei percorsi pedonali sulla medesima strada. È un lavoro ben fatto. Però è triste dover constatare che, anziché allargare la strada e realizzare i marciapiedi per far circolare più comodamente i veicoli e i pedoni, quegli sforzi economici sono serviti per far si che venissero a formarsi i soliti parcheggi selvaggi ed improvvisati. Allora è stato tutto inutile. Se nell’incrocio Via Casalotto/Via del Soccorso i marciapiedi li avessero fatti alti le autovetture non avrebbero potuto salirci sopra. Bisognerebbe mettere dei cartelli di divieto di sosta nelle zone raffigurate, così da costringere tutti a cercare dei veri parcheggi o a riporre le automobili nelle autorimesse private.



  • L’IMBRATTAMENTO DA AFFISIONE IRREGOLARE



I piccoli manifesti pubblicitari, politici, sportivi o d’altro argomento vengono affissi in spazi destinati a tutt’altre cose: telefoni pubblici, pannelli turistici, cabine elettriche e pensiline per attendere gli autobus. È un vero e proprio deturpamento del suolo pubblico. I manifestini formato A4 o poco più grandi vanno appesi nelle bacheche dei caffè e delle altre attività commerciali. Potrebbero anche essere messi nelle strade dei piccoli pannelli per i miniavvisi, così come è stato fatto per le informazioni funebri in modo da non dar fastidio ai grandi manifesti.

domenica 29 giugno 2014

233) IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI GIORGIO ALMIRANTE

Cent’anni fa nasceva Giorgio Almirante. La grandezza umana e politica del leader storico del Msi

di Franco Mugnai/ven 27 giugno 2014/08:01




La Fondazione Alleanza nazionale ricorda con commozione e partecipazione la figura di Giorgio Almirante nel centenario della nascita. È una ricorrenza di grande rilievo, non solo per la vicenda della destra italiana ma per la storia politica del nostro Paese della seconda metà del Novecento. L’evoluzione sociale e culturale dell’Italia, la caduta degli steccati e delle barriere ideologiche del passato, fanno sì che l’opera e l’insegnamento  di Almirante siano oggi riconosciuti dalla generalità dell’opinione pubblica (a parte, naturalmente, i residui settori della veterosinistra ancora  legata idealmente alla stagione dell’odio) come un’opera e un insegnamento appartenenti a tutti gli italiani. Almirante dunque e innanzitutto come grande italiano. Ed è proprio questo il leit motiv delle testimonianze, delle interviste, degli interventi pubblicati  nello speciale del Secolo d’Italia dedicato al grande leader della destra. La figura di Almirante emerge  nella sua grandezza umana e politica attraverso i ricordi di chi lo ha conosciuto e le analisi degli studiosi che si sono interessati alla storia e alla cultura del Msi.

Nel ricordare oggi il leader missino non si può  fare a meno di evidenziare la forza morale  e la coerenza ideale  con le quali seppe guidare la comunità umana e politica della destra in anni difficili ma anche esaltanti (pensiamo solo allo straordinario succeso nelle elezioni amministrative del 1971 e  in quelle politiche del 1972), anni in cui la sua figura si impose al rispetto e alla considerazione di tutti gli italiani (anche di molti avversari), nonostante i tentativi di criminalizzazione da parte dei settori più intolleranti e fanatici della politica italiana. In quella intensa e aspra stagione, Almirante riuscì a superare, nella società, quella conventio ad excludendum che era decretata contro il Msi dall’establishment politico italiano. Quel risultato fu possibile grazie alla forza del suo carisma, al messaggio di pacificazione nazionale espresso  dalla sua figura, alle sue notevoli doti di grande comunicatore. Si tratta di ideali e di esperienze che hanno caratterizzato una lunga fase della vita  italiana e che sono parte integrate del patrimonio ideale e politico della nazione. Ed è con questo spirito che la Fondazione Alleanza nazionale e il Secolo d’Italia rendono omaggio all’uomo che ha  intimamente  legato la sua vita a quella della destra italiana.



Il legame indissolubile con Trieste, dove «si è più italiani che altrove»

di Roberto Menia/ven 27 giugno 2014/08:08


In un’aula vergognosamente semivuota, il 17 dicembre 1976, la Camera dei Deputati discute la ratifica del Trattato di Osimo, una delle pagine più nere della recente storia repubblicana: l’Italia cede alla Jugoslavia la parte nordoccidentale dell’Istria ed ipotizza la creazione di una zona industriale mista  italoyugoslava sul Carso triestino, che poi non si realizzerà per la rivolta civile dell’intera città. Giorgio Almirante pronuncia una grande discorso, che è assieme un grido di denuncia e rivendicazione nazionale, ma anche un inno d’amore verso Trieste.

Trieste per la destra non è solo il “cavallo di battaglia” che anima passioni e ricordi, ma l’essenza viva, simbolica e presente della militanza politica: non una cosa da evocare e guardare da lontano ma la battaglia vissuta e  da vivere. C’è un passo, in quel discorso, che contiene storie e risvolti personali, e colpisce proprio per questo: «Poiché qualcuno in quest’aula – dice Almirante – si è permesso addirittura di contestare il nostro o il mio personale diritto a parlare di questo problemi, perché è stato detto da taluno –  che parla e si sbraccia troppo, e non sa come si sono svolte le cose in questo Parlamento e in questa Italia da trent’anni a questa parte – che anche a Trieste noi mandiamo i ragazzi allo sbaraglio, ebbene, io mi permetto sommessamente di ricordare a me stesso che, nelle tragiche giornate del novembre 1953, quando 6 nostri ragazzi furono assassinati dagli inglesi (in piazza non c’erano soltanto i ragazzi, ma c’erano anche gli anziani) io, che non ero allora segretario del partito, ero a Trieste; e mi permetto di raccontare, ai pochi colleghi presenti, che per entrare a Trieste dovevo servirmi allora di documenti falsi, perché facevo parte di una lista nera del comando anglo-americano di Trieste e scendevo a Monfalcone per ricevere il famoso passaporto rosa (per fortuna, la mia faccia allora non era nota come tristemente lo è diventata in seguito, e quindi mi potevo permettere di usare espedienti di questo genere). Andavo a Trieste clandestinamente, quanto al passaggio della frontiera; ma mi trovavo a Trieste in mezzo alla gente, con i nostri ragazzi….

Ecco Giorgio Almirante, l’uomo della prima linea, grande agitatore di anime e passioni che prima di tutto e intensamente viveva egli stesso. Il suo rapporto con Trieste era quasi carnale. Gli abbracci, quasi le carezze a quelli che, generazione dopo generazione, per lui erano sempre “i ragazzi di Trieste”, da Francesco Paglia, capo del Fuan caduto sotto il piombo inglese nel novembre 53 e che lui ricordava come “bersagliere volontario del btg. Mussolini”,  ultimo caduto della Rsi e primo del Msi ad Almerigo Grilz, capo del Fronte della Gioventù morto da giornalista in prima linea in Mozambico nel maggio 1987, in onore del quale  lascerà – come è strano il destino – il suo ultimo scritto, esattamente un anno dopo.

Per chi la ricorda, la foto “classica” di Giorgio Almirante nel suo studio al Partito a Roma, aveva alle spalle un labaro diviso in quattro con gli stemmi di Trieste, bordato col Tricolore e  dell’Istria, Fiume e  Dalmazia perdute listati a lutto. È un’immagine che parla da sola.

Tanti nel capoluogo giuliano portano ancora nel cassetto della memoria quella Piazza dell’Unità d’Italia piena di gente, che lui salutava con l’immancabile “Italiani di Trieste”, con affetto e commozione, con amore e con rabbia, come quando gli vietarono i comizi con provvedimenti polizieschi o gli impedirono di parlare agli esuli dell’Istria nel grande raduno del quarantennale dell’abbandono di Pola.

Per tanti altri è pure rimasto indelebile il ricordo di quelle memorabili sedute del Comune di Trieste, del quale volle essere consigliere per vivere in prima persona la rivolta della città contro il trattato di Osimo, contendendone la guida con l’arrembante “Melone” (la “Lista per Trieste”,prima grande esperienza civica italiana) che eleggerà sindaco Manlio Cecovini, scontrandosi duramente con i comunisti, i filoslavi, i democristiani “osimanti”, persino Pannella venuto pure lui in quella specie di polveriera al confine tra due mondi.

Ma c’era anche un altro Almirante, quello silenzioso e profondo, che chiedeva di andare in pellegrinaggio al mattino presto, alla Foiba di Basovizza (dove il monumento nazionale non esisteva ancora) per portare i fiori e dire una preghiera sopra quell’immenso «Calvario con il vertice sprofondato nelle viscere della terra» come ripeteva citando le parole del grande vescovo istriano di Trieste, Antonio Santin.

Lì, nel silenzio, per chi lo sa ascoltare, sentiva come noi perché a Trieste si è più italiani che altrove.


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domenica 22 giugno 2014

232) LA GRANDE STAGIONE DEL LATINA CALCIO

LA SQUADRA CALCISTICA DI LATINA HA CONCLUSO CON UN OTTIMO TERZO POSTO LA SUA PRIMA AVVENTURA IN SERIE B ED HA SFIORATO LA SERIE A.


Chi mai si sarebbe aspettato che il Latina Calcio al debutto assoluto nella serie cadetta sfiorasse l’accesso alla Serie A? Eppure è andata proprio così: quella rosa di giocatori creata la scorsa estate per ambire ad una tranquilla salvezza ha fatto sognare un’intera città e non solo, tanto da far passare in secondo piano i mondiali di calcio. La delusione dei tifosi per una promozione alla massima serie sfumata nel secondo tempo dello spareggio col Cesena deve essere smaltita considerando il grandioso risultato raggiunto per una debuttante, che sino a pochi anni fa giocava nelle categorie dilettantistiche regionali. Alcune voci maliziose sostengono che la squadra non sia voluta andare di proposito in Serie A per problemi legati agli eccessivi costi e alla mancanza di strutture adeguate, come stadio e posti auto: sono delle voci prive di fondamento perché quei problemi sono superabili, inoltre se così fosse stato la società non avrebbe fatto arrivare i propri giocatori così in alto. Molti atelti erano in prestito e oggi sono in procinto di partire: ora ci si chiede se il Latina anche il prossimo anno costruirà una squadra che lotterà per i vertici, oppure no?  La tendenza è quella di mantenere la squadra a questi livelli, altrimenti il Comune di Latina non parlerebbe della concreta possibilità di ampliare lo Stadio Francioni, come sembrerebbe intenzionato a fare. Parecchi tifosi delle squadre avversarie di Serie B prendono in giro il Latina per il suo modesto stadio; se una società calcistica non era mai arrivata almeno nella seconda serie nazionale del calcio italiano è normale che non abbia uno stadio adeguato, ma non è la sola in Serie B. Per il momento sembra accantonata l’idea di costruire un nuovo stadio in periferia, in una zona più comoda.


I tifosi storici del Latina se la prendono con i nuovi tifosi occasionali che non intonano i cori, trasformando lo stadio in un salotto e sfollando immediatamente quando si perde seriamente. Non è solamente il fatto di essere dei tifosi sfegatati, sono anche i fattori novità e curiosità che attirano. La richiesta dei biglietti per assistere agli incontri calcistici a Latina è crescente da tutta la provincia, la gente non si lascia sfuggire l’occasione di vedere il grande calcio a pochi minuti da casa: quando mai ricapiterà? Roma non è lontanissima ma trattandosi di una metropoli ci vuole molto tempo nel circolare al suo interno, sia in automobile e sia con i mezzi pubblici, per raggiungere lo Stadio Olimpico; a Latina a noi basta una mezzora pel partire da casa ed essere dentro il suo campo di gioco.

Le antiche rivalità del Latina Calcio con le squadre delle cittadine limitrofe, come Cisterna, Terracina, Aprilia, hanno fatto in modo che non tutta la provincia abbia tifato compatta per essa e poi naturalmente c’era il tifo contro di Frosinone. A Cori noto con piacere che quasi tutti simpatizzano per i nerazzurri latinensi e molti vanno a vedere le partite dal vivo, acquistando i biglietti nel nostro stesso paese. Addirittura qualche anno fa il Latina giocava con le magliette in cui figurava la scritta “Cori città d’arte”. La prossima stagione nonostante non si incontreranno gli squadroni di Serie A che, a causa della “sbronza della prima volta”, avrebbero mandato in tilt la città, molte sfide interessanti attenderanno in Serie B i giocatori latinensi: oltre al derby col Frosinone, affronteranno  il Catania, il Bologna e la Pro Vercelli. Le ultime due compagini hanno vinto sette scudetti ciascuno.

INNO LATINA CALCIO DA YOUTUBE

sabato 14 giugno 2014

231) RIMPIANTI PER I VECCHI DITTATORI

Ridateci Saddam e Gheddafi per sconfiggere Al Qaida

Le loro mani, come quelle di Assad, grondavano sangue ma abbatterli è stata una pessima idea: ora dilaga il terrore

Livio Caputo - Ven, 13/06/2014 - 09:11
Alla luce degli ultimi avvenimenti in Medio Oriente e dell'apparentemente irresistibile avanzata dei fanatici dello Stato Islamico di Iraq e Siria (Isis) verso Bagdad, ecco quattro domande politicamente scorrette.
1) Gli americani sono pentiti di avere scatenato la guerra contro l'Iraq (sulla base di false premesse) e abbattuto Saddam Hussein, che sia pure con metodi disumani riusciva a tenere insieme un Paese artificiale senza farlo precipitare, come sta accadendo oggi, nella guerra civile?
2) I politici occidentali si sono finalmente resi conto di quanto sconsiderato sia stato il loro intervento in Libia, neppure concordato in anticipo tra gli alleati, che ha portato alla caduta e all'assassinio di Gheddafi e in due anni ha trasformato il Paese in uno Stato fallito, ormai privo di un potere centrale, che invece di due milioni di barili di greggio riesce a malapena a produrne un decimo?
3) I politici americani ed europei si stanno infine rendendo conto di quanto sia stato imprudente appoggiare la rivolta contro Bashar el Assad, con il risultato di avere moltiplicato per dieci i morti in Siria, di avere messo in grave pericolo le minoranze etniche e religiose e di avere trasformato il Paese in un magnete per tutti i jihadisti del mondo che poi torneranno nei Paesi d'origine a commettere attentati?
4) La amministrazione Obama ha capito di avere sbagliato a scaricare da un'ora all'altra il vecchio e fedele alleato Mubarak, ad appoggiare - solo perché (apparentemente) eletto dal popolo - il presidente Morsi dei Fratelli musulmani e ora di snobbare il suo successore generale Al-Sisi, l'unico che sembra in grado di riportare l'ordine nel Paese, solo perché è arrivato al potere con un colpo di Stato?
Ufficialmente, alla base di queste strategie occidentali stavano due obbiettivi: primo, salvare la popolazione civile in qualche modo coinvolta nella «primavera» dalle rappresaglie dei vari dittatori; secondo, convogliare i rispettivi Paesi verso la democrazia.
Ebbene, è stato un fallimento su tutti i fronti. L'Iraq, non appena nel 2011 Obama ha ritirato le truppe americane, che avevano lasciato sul terreno molti morti e feriti, è scivolato gradualmente verso l'anarchia, con un governo a predominio sciita sempre più sottomesso all'Iran, incapace di trovare un minimo comun denominatore tra sciiti, sunniti e curdi e - come si sta vedendo in queste ore - di addestrare un esercito degno di questo nome nonostante 14 miliardi di aiuti statunitensi.
La Libia si è frammentata su linee tribali, con gli estremisti islamici sempre più influenti, più nessun controllo sulla partenza dei barconi carichi di immigranti africani verso l'Italia e quel che resta del governo centrale avviato alla bancarotta per il venir meno della rendita petrolifera: paradossalmente, l'unica speranza di un ritorno alla normalità è riposta in un altro potenziale «uomo forte», il generale Hefter sceso in campo per combattere i terroristi islamici; ma se un Occidente pentito non gli darà una mano, difficilmente riuscirà nel suo intento.
La Siria, poi, è il caso peggiore. Assad è sì un dittatore, è sicuramente responsabile per il massacro - perfino coi gas - di molti oppositori militari e civili ma, come si vede anche ora, godeva tutto sommato dell'appoggio di una buona parte della popolazione. Cercare di rimuoverlo ha contribuito alla frammentazione del Paese, alla morte di 180mila persone e alla creazione di 5-6 milioni di profughi e soprattutto ha permesso la costituzione di quell'Isis, considerato troppo estremista perfino dai vecchi quadri di Al Qaida, che oggi controlla un territorio vasto quasi quanto l'Italia e - se non contrastato in tempo - lo trasformerà in un nuovo Afghanistan molto più vicino all'Europa. Invece di combattere Assad, dovremmo aiutarlo a liberarci da questo incubo.
La lezione è che interferire con quanto avviene nel mondo arabo è sempre sbagliato. Perciò, lasciamo almeno in pace l'Egitto, che sia pure ritornando al passato sta ritrovando l'equilibrio e ha tutto l'interesse a che torni un po' d'ordine nei Paesi che lo circondano.