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domenica 30 dicembre 2012

167) DENATALITA’ PERICOLOSA


LA DENATALITA' IN ITALIA PROVOCHERA' DISASTROSE CONSEGUENZE A CAUSA DEL DISLIVELLO TRA I NUMEROSI VECCHI E I POCHI GIOVANI. LE IDEE PER UNA CONTROTENDENZA. LA STORIA DI ISABELLA VIOLA, LA GIOVANE MAMMA, CHE ANDANDO CONTROCORRENTE HA AVUTO 4 FIGLI ED E' MORTA FATICANDO PER MANTENERLI.



L’Italia è agli ultimi posti al mondo per nascite. È un triste e brutto primato. Tra qualche decennio ci saranno una miriade di vecchi e pochi giovani: la piramide sarà capovolta, invece dovrebbe avere la sua forma originale. I pochi giovani attivi non ce la faranno a mantenere i moltissimi anziani pensionati, per cui il sistema pensionistico sarà da riformare, allungando l’età lavorativa: i sindacati è inutile che strillino tanto. Negli anni ’60 lavoravano tutti e c’erano pochi anziani pensionati, con quei criteri si è andati avanti sino ai nostri giorni. L’elevata fecondità anni addietro era una caratteristica tipica italiana: negli anni successivi al Secondo Conflitto Mondiale nacquero più di un milione di bambini all’anno, negli anni ’50 le nascite scesero leggermente sulle 900.000/800.000 annue, a metà anni ’60 superarono nuovamente il milione annuo, dopo di allora pian piano iniziarono a calare, sino a raggiungere all’incirca il mezzo milione e rotti alla metà degli anni ’80, in concomitanza con l'entrata in vigore dell'aborto. Un anno qualcosa in più, un altro anno qualcosa in meno, ma dalle 550.000 le nascite non si sono più smosse da un trentennio. Perché questa denatalità? Non tanto per la mancanza di lavori duraturi e fissi o per l’emancipazione della donna che dà priorità a realizzarsi professionalmente, ma per la trasformazione della società: dove una generazione abituata ad avere tutto senza lottare, vede nell’arrivo dei figli una minaccia alla propria libertà e alla propria sicurezza economica.



La superficie italiana è limitata, perciò neanche converrebbe figliare a tutto spaino, come incitava a fare il Fascismo perché aveva bisogno di braccia per un’eventuale guerra, ma allora possedevamo alcune colonie in Africa da popolare; oggi basterebbe soltanto chiedere alla popolazione italiana di fare un piccolo sforzo, per portare il numero dei nati sulle 600.000/700.000 all’anno, per far sì che si superino i morti annui di qualche decina di migliaia, così il disequilibrio anziani, popolazione attiva verrebbe in larga parte risolto. I governi che si sono succeduti in tutti questi anni non hanno fatto nulla per sensibilizzare gli italiani su questo tema, quando invece avrebbero dovuto promuovere massicce campagne pro – incremento natalità. Dal punto di vista medico – scientifico bisognerebbe agevolare la ricerca per la guarigione dalla sterilità, migliorare la fecondazione assistita, prevenire e curare le eventuali malformazioni del nascituro, allungare di qualche anno il tempo biologico di una donna, abolire l’aborto (ogni anno in Italia ne vengono praticati all’incirca 150.000: una bella cifra che impennerebbe vertiginosamente il numero dei neonati). Per quanto riguarda l’assistenzialismo statale, il governo dovrebbe incitare al matrimonio in giovane età (non oltre i trent’anni), favorendo gli sposi sia dal punto di vista fiscale,  sia nei loro lavori: più figli hai meno tasse paghi, istituzione di premi in denaro, creazione di asili nido nei posti di lavoro, maggiori guadagni per il capofamiglia, garanzia per la donna di entrare nel mondo del lavoro in età avanzata (se vorrà o se ce ne sarà bisogno), quando i figli saranno grandini, con possibilità per entrambi i coniugi di agevolare la carriera nelle loro professioni in base al numero di figli.

Viviamo in un paese libero: per libertà, tra le tante cose, s’intende anche il fare figli o non farli, sposarsi o no; noi vogliamo solo dare qualche consiglio per evitare un futuro dislivello tra il numero di anziani elevatissimo, il numero di giovani molto ridotto e le disastrose conseguenze che ci saranno. Per saldare quello squilibrio potrebbero aprire le porte ad altri milioni e milioni di stranieri, altrimenti chi assisterà gli altrettanti milioni di individui nati negli anni ’60 quando saranno anziani? Conviene davvero buttare via tutta la nostra storia e la nostra identità nazionale? I popoli a sud del Mediterraneo non fanno altro che crescere e moltiplicarsi: se non disponessimo di elevati mezzi tecnologici di difesa militare, chi ci avrebbe difeso se un domani avessero deciso di muovere guerra contro di noi? Sono popolazioni che hanno fame (in tutti i sensi), i nostri pochi giovani non ce l’hanno, sono abbuffati di materialismo. 


LA STORIA DI ISABELLA VIOLA


In questo quadro ci sono delle storie che coinvolgono: per alcuni anni, prima che arrivasse la crisi, i mezzi di informazione ci hanno raccontato di un’Italia che viveva in un eldorado, non aveva voglia di sfacchinare, di alzarsi alle quattro di mattina, di generare nuove vite e l’immigrazione era l’unica soluzione per toppare quelle falle. Non avevano tutti i torti, però c’erano e ci sono delle eccezioni che non facevano e non fanno notizia, a meno che non ci scappi il morto. È la storia di Isabella Viola, raccontata da “Il Messaggero”: la donna 34enne, originaria di Torvaianica e  madre di quattro figli, che lo scorso novembre nelle metropolitane di Roma si è sentita male ed è morta, distrutta dalla fatica per il gran lavoro che svolgeva per moltissime ore e per sette giorni su sette. È una storia triste e allo stesso tempo eroica, di una madre coraggio, che anziché scegliere di stare a casa con i genitori e fare la vita comoda, si è assunta delle responsabilità, sgobbando per amore dei suoi numerosi figli. Questo fatto mi ha commosso profondamente: noi intellettuali di destra dietro le nostre dure scorze, disponiamo di un cuore tenero come il burro. Sia da esempio per i giovani, anche se l'effetto che potrebbe scaturire potrà essere opposto a quello desiderato.


di Laura Bogliolo (http://www.ilmessaggero.it/)
ROMA - I dolci Isabella non li preparava anche per i suoi bambini «perché quando tornava a casa era già notte»: poco dopo l'alba avrebbe inghiottito anche l'ultima possibilità di dare un bacio ai suoi quattro figli. «Isabella metteva la sveglia alle 4, poi correva per non perdere il pullman che da Torvaianica la portava a Roma, al bar dove lavorava» e dove cucinava dolci che il quartiere Tuscolano ancora oggi ricorda. Passava tutta la giornata in quel piccolo locale color rosa, poi il viaggio di ritorno a casa, oltre due ore di viaggio sui mezzi pubblici. «Giocava un po' con i bimbi, poi crollava e andava a letto». Isabella Viola, la giovane mamma di quattro figli morta per un malore nelle viscere poco ospitali della metropolitana, «andava a lavoro nonostante stesse male altrimenti non la pagavano».

Anche quella maledetta domenica Isabella non si sentiva bene: prima di indossare giaccone e sciarpa si è voltata e ha sussurrato per non svegliare i bimbi: «Tranquillo amore, ce la faccio, ci vediamo dopo». Alessandro Rossi, 43 anni, il marito di Isabella, si stringe a se stesso quasi cercando un ultimo abbraccio mentre racconta la storia di quella ragazza ribattezzata la «principessa di Torvaianica», per qualcuno addirittura «regina». Peccato sia dovuta morire per essere incoronata.

«Cinquantacinque euro al giorno». Era quanto prendeva la principessa di Torvaianica per gestire un bar che aveva trasformato in pochi mesi in un punto di ritrovo di un intero quartiere. Lo racconta il marito Alessandro in una video intervista pubblicata oggi sul Messaggero.it mentre non riesce a nascondere la rabbia: «Isabella lavorava sette giorni su sette, solo la domenica poteva andare via un po' prima dal bar e non la pagavano se restava a casa perché stava male: nessun rimborso, non poteva usufruire della malattia perché non aveva un contratto».

Alessandro ha presentato una denuncia contro il gestore del bar, vuole dare «un po' di giustizia» a quella donna che ogni tanto scompariva dietro il bancone: bastava sporgersi un po' per ritrovarla accucciata, avvolta come in un bozzolo, seduta sopra una cassetta del latte in cerca di qualche minuto di riposo.

Solidarietà. Alessandro sfoglia le centinaia di e-mail che sono arrivate alla redazione del Messaggero.it, nasconde il volto per non far vedere le lacrime, così come faceva Isabella quando non voleva mostrare le smorfie di dolore per quel malessere che da tempo la perseguitava. «Grazie a tutti quelli che hanno scritto alla nostra famiglia, grazie per l'affetto inaspettato: la sera, prima di cenare, leggo quelle belle parole ai miei piccoli».

Loro, Alessandra, 4 anni, Davide, 6, Francesco 9, e Manuele, 11, sorridono, con gli occhi illuminati di vita, non hanno mai smesso di sperare anche se mamma non c'è più. Giocano con Andrea Capanero, collega di Isabella, amico di famiglia. «Più o meno faccio la vita che faceva Isabella, ora mi chiedo ne varrà la pena?» scrive Letizia, anche lei come Isabella rimasta orfana del papà. Per Luca la principessa di Torvaianica rappresenta «un istante di vita in un mondo che troppo spesso è solo commedia». Gemma Viola digita da Monza: «Anche noi abbiamo 4 figli, vorremmo aiutare». C'è chi ha proposto di intitolare una via a Isabella, e chi, come Francesca, pensa al Natale e a quell'ultimo desiderio di Isabella: risparmiare per fare i regali ai suoi quattro figli creando sul web una Wish list, una lista di regali online. Anche i dipendenti della Camera dei Deputati stanno organizzando una colletta.

In missione da Torino. Solidarietà alla famiglia di Isabella anche dal sindaco Gianni Alemanno: ha ricevuto Alessandro e i suoi figli in Campidoglio e anche oggi continua a stare vicino a quei piccoli con un aiuto concreto. Anche il quartiere non si dimentica di Isabella: la colletta all’edicola in via Nocera Umbra organizzata dalla signora Ada prosegue. Sono stati raccolti circa 4mila euro: 2mila sono stati spesi per i funerali, soldi che il Campidoglio ha poi donato. Ada si commuove quando racconta di quella signora partita da via Trionfale con una missione: «Vengo da parte di mia madre che abita a Torino - ha detto la signora - mi ha chiamata chiedendomi di venire qui e fare un’offerta per i figli di Isabella».

Aiuti anche dal Canada. «Sono padre di 3 bimbi e posso solo immaginare l'incredibile tragedia e il dolore della famiglia di Isabella, vivo in Canada, a Toronto, e vorrei contribuire alla colletta» scrive Fabio. E-mail anche dalla Germania con Daniele che definisce Isabella una «piccola grande donna». «Il comitato Presepe Vivente di Morlupo vuole dedicare l’edizione di quest’anno a Isabella» propone Mariasole Garacci che sta organizzando una colletta.


Alessandro ha attivato un conto corrente Banco Posta «per dare seguito alle centinaia di richieste arrivate: Iban IT32W0760103200001009910611 intestato ad Alessandro Rossi».

Ma il marito di Isabella non si dà pace: «Stava male, non doveva lavorare, ogni giorno affrontava un viaggio di oltre due ore e spesso il pullman non si fermava a Torvaianica perché troppo pieno. Ma Isabella - dice Alessandro - faceva di tutto pur di lavorare». Anche morire.

domenica 23 dicembre 2012

166) I MARO' A CASA PER NATALE


PER NATALE SONO TORNATI A CASA, RIABBRACCIANDO LE RISPETTIVE FAMIGLIE, I DUE MARO' DEL REGGIMENTO SAN MARCO DAL FEBBRAIO SCORSO PRIGIONIERI IN INDIA. GLI SFORZI DI TANTE PERSONE CHE ATTRAVERSO LA RETE NON LI HANNO DIMENTICATI SONO SERVITI.


Salvatore Girone e Masimiliano Latorre, i due marò liberati per natale.



UN PICCOLO OMAGGIO A LORO, COME A MOLTI ALTRI CHE, A COSTO DI PERIRE, HANNO SERVITO IL SAN MARCO PER LA DIFESA DELLA PATRIA




INNO DEL REGGIMENTO SAN MARCO


martedì 18 dicembre 2012

165) L’80ESIMO ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI LITTORIA


IL 18 DICEMBRE 1932 NACQUE LITTORIA



Il nostro capoluogo di provincia oggi compie 80 anni: il primo nucleo di abitazioni a ridosso dell’odierna “Piazza del Popolo”, in località “quadrato”, nacque infatti ufficialmente il 18 dicembre 1932 alla presenza del Duce e dopo sei mesi di lavoro dalla posa della prima pietra, avvenuta il 30 giugno del medesimo anno. I primi edifici, in stile razionalistico e futurista, furono progettati da Oriolo Frezzotti. La bonifica delle Paludi Pontine, malsane e infestate dalle zanzare anofele, portatrici della malaria, e che si estendevano da Cisterna a Terracina, fu diretta dal commissario governativo Valentino Orsolini Cencelli: fu un’operazione molto imponente e dal punto di vista ingegneristico grandiosa, perfino per i nostri tempi. Nell’epoca dell’antica Roma la palude era stata in parte bonificata ed erano presenti lungo la Via Appia degli agglomerati urbani di modeste entità, poi con le invasioni barbariche tornò l’acquitrino, così i pochi abitanti del luogo si rifugiarono sui paesi arroccati nei monti: erano ritenuti più sicuri per sfuggire alle scorribande dei barbari prima e dei saraceni dopo. Nel Medio Evo e nel Rinascimento alcuni papi tentarono nuovamente la bonifica senza successo. Il luogo era selvaggio e suggestivo, per cui divenne rifugio sicuro di briganti ricercati, oltre che zona di caccia per i nobili romani, ospiti della famiglia Caetani, proprietaria del feudo dove era presente la palude. Il poeta tedesco Goethe definì le Paludi Pontine il luogo più selvaggio e affascinante d’Europa.



Il Regime fascista si mise in testa di mutare la malsana, mortifica ed inospitale palude in terra fertile da destinare all’agricoltura e come disse Mussolini: “quello che per venticinque secoli tentarono invano ora è realtà!; Prima per trovare un po’ di terra da coltivare dovevamo attraversare un oceano, ora è qui, a mezzora da Roma!” Furono scelti i coloni veneti, friulani ed emiliani dell’Opera Nazionale Combattenti per popolare e coltivare quelle nuove terre. Per conservare una parte dell’antica palude venne creato il Parco Nazionale del Circeo. Dopo Littoria nacquero, in sequenza, le città di Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia, oltre ai piccoli borghi chiamati con le denominazioni geografiche (monti e fiumi) dove si erano combattute le grandi battaglie della Prima Guerra Mondiale: Piave, Isonzo, Carso, Bainsizza, Montello, Sabotino, Grappa, Faiti, Podgorica, Flora, San Michele, Santa Maria, San Donato, Vodice, Ermada. La nuova provincia di Littoria fu istituita nel 1934, a spese di quella di Roma, comprese, oltre ai nuovi paesi, a nord quelli antichissimi dei Monti Lepini e a sud quelli di ascendenza campana. I centri dell'Agro Pontino erano stati concepiti come agricoli, rurali, dopo la Seconda Guerra Mondiale conobbero un notevole sviluppo industriale, cambiando i connotati delle giovani cittadine, le quali divennero poli attrattivi dal Sud Italia. All’inizio Littoria aveva circa 10.000 abitanti, oggi Latina ne ha quasi 120.000: è la seconda città del Lazio per popolazione.


Quella che per millenni fu terra inospitale e malsana, oggi è una terra florida e prosperosa in tutti e tre i settori produttivi (primario, secondario e terziario) che dà molte opportunità d’impiego, anche se in tempi recenti le occasioni iniziano a restringersi. Latina è un centro ideale, non lontanissimo, a poche decine di minuti per noi, dove c’è tutto: non è né immenso e né caotico come Roma, né troppo modesto; tant’è vero che alcuni romani, stanchi della vita eccessivamente stressante della metropoli, vi si stabiliscono, trovando la città perfetta per i loro gusti. Vi si stabiliscono altresì, nei quartieri residenziali, molti abitanti originari dei piccoli paesi dei monti limitrofi, che hanno raggiunto delle elevate posizioni sociali. È stata quindi una buona cosa per l’intera collettività la creazione di Littoria (Latina), capoluogo dell’odierna provincia che recentemente ha rischiato la soppressione, o meglio l’accorpamento con la Provincia di Frosinone. Quello che negli anni ’30 del ‘900 fu realizzato, non credo che oggi sarebbe possibile realizzare, con tutti questi movimenti di opposizione che ci sono ora, coadiuvati dai mezzi d’informazione che danno loro manforte, a qualunque opera pubblica si proponga.


mercoledì 12 dicembre 2012

164) SE LE SUONANO E SE LE CANTANO


BASTA CHE IL PDL SI ASTENGA SULL’APPROVAZIONE DI UNA LEGGE PER SCATENARE IL PUTIFERIO, DOVUTO ALLE PROBABILI DIMISSIONI DI UN GOVERNO MONTI, GIUNTO COMUNQUE AL TERMINE DEL SUO MANDATO (E DELLA LEGISLATURA). BASTA CHE LE VOCI DI UNA POSSIBILE RIDISCESA IN CAMPO DI UN “VECCHIACCIO, FINITO E ALL’EPILOGO, LADRO, MAFIOSO, MALATO, PUTTANIERE, PEDOFILO (E CHI PIU’ NE HA, PIU’ NE METTA), CHE HA CONDOTTO L’ITALIA ALLA ROVINA E IL CUI PARTITO DA MESI E’ A PICCO NEI SONDAGGI, SI FACCIANO PIU’ INSISTENTI, PER FAR SALTARE LE VALVOLE A TUTTI, ANDANDO IN ESCANDESCENZA.



Dove sta la stranezza nel fatto che Monti ha annunciato che si dimetterà dopo l’approvazione della legge finanziaria? La legislatura è finita e avrebbe dovuto sloggiare comunque, anche perché i grandi partiti che si sfideranno alle prossime elezioni politiche hanno annunciato che non intenderanno proseguire con Monti Presidente del Consiglio dei Ministri. Legittimo che il Pdl abbia espresso delle perplessità: fecero fuori un governo legittimamente eletto, addossandogli tutti i drammi del paese, con un anno di tecnici le cose sono peggiorate (disoccupazione, debito crescente, nuove stangate per i cittadini) e allora perché non si possono formulare critiche? Controvoglia e con responsabilità Alfano e gli altri hanno mandato avanti l’espressione dei grandi finanzieri europei, della Germania, del Presidente della Repubblica, e un ministro si permette di esternare disappunto sulla possibile ridiscesa in campo di un fondatore di un partito, grazie al quale per più di un anno lo stesso ha potuto rivestire quel ruolo. Altro fatto grave: questi governanti parlano tanto di risparmi nella politica e non hanno mosso un dito per evitare che nella Regione Lazio si voti poche settimane prima di tutte le altre elezioni in programma (ci sarebbe voluto un decreto legge) e erano già stati minacciati su questa cosa. Per cui il partito del “Popolo delle Libertà ha ritenuto giusto dare un segnale forte all’esecutivo, astenendosi sull’approvazione di alcune leggi.

Tutto il resto lo hanno fatto gli altri, in Italia e in Europa: voci di dimissioni del governo, pericoli per l’Italia, speculatori finanziari che tornano all’assalto, l’ombra del mostro Berlusconi che si aggira, ecc. In Italia anziché indignarsi che la sovranità nazionale è minacciata, posta sotto ricatto dai mercati, dagli speculatori finanziari e siamo stretti nella morsa Ue, Germania, Merkel, facendo ingrassare tutti sempre di più, mentre noi tiriamo la cinghia, si esulta perché per un giorno è salito il cosiddetto spread e si è fatta una pubblicità negativa a Berlusconi con i quotidiani europei omologhi di Repubblica, Unità, Corriere della Sera, La Stampa. Dunque signori, non pensate che le sorti dell’Italia devono essere decise solo ed esclusivamente dal popolo italiano? Ancora tutta questa paura fa un settantasettenne che tuttora non ha preso nessuna posizione ufficiale sulla ridiscesa in campo, rovinato nella dignità e nella moralità, che è la causa di tutti i guai italiani e il cui partito è super-sfavorito nella contesa elettorale? È terminata la strafottenza di Bersani: lui che ha voluto ostacolare Renzi, un giovane promettente che avrebbe sfidato Alfano, ora si ritrova a dover fronteggiare un cadavere che cammina. Perché averne timore? E che ci vuole è tutto facile!




È ancor di più fuori luogo il clamore degli ex alleati di centro sul ritorno di Berlusconi e sulla fine di Monti. Loro (Fini e Casini) che siedono in Parlamento dal 1983 e hanno intenzione di ricandidarsi, danno del dinosauro a Berlusconi perché non vuol sapere di ritirarsi. Da tempo  i due politicanti "di mestiere" non fanno più parte dell’alleanza di centrodestra, per cui il Pdl può presentare chi vuole e senza che interferiscano. Anzi per tutto il 2012 i “moderati” del partito hanno fatto di tutto per ricucire i rapporti con l’Udc senza successo, perché i centristi volevano a tutti i costi l’alleanza con i progressisti e avrebbero impostato la campagna elettorale sparando a zero sul Pdl e sul suo mentore. Addirittura il Cavaliere aveva dichiarato che sarebbe stato disposto a farsi da parte per ricreare l’area politica che guidò l’Italia dal 2001 al 2006, proponendo addirittura di candidare Mario Monti. Le suddette voci destarono un po’ di malumori tra i militanti e nell’ala destra del Popolo della Libertà, tuttavia le buone intenzioni c’erano. Ora Fini e Casini sono isolati, abbandonati anche dall’altro  voltagabbana per convenienza, Rutelli, e la loro speranza è riposta o in Montezemolo o in Monti che fanno campagna elettorale con loro, garantendosi qualche seggio al parlamento. I problemi italiani vengono da lontano, non sono dipesi da Berlusconi: la crisi internazionale e il debito pubblico ereditato dai governi di centrosinistra (Dc – Psi); l’unica pecca che si può attribuire ad egli è il non aver attuato le riforme necessarie, o meglio non ha avuto il coraggio di fare scelte impopolari. Mario Monti quelle misure le ha adottate e le cose non sono migliorate: lo ha scritto perfino quel Financial Times antiberlusconiano 

martedì 4 dicembre 2012

163) LE PRIMARIE DEL CENTROSINISTRA 2012

VITTORIA PER BERSANI NELLE PRIMARIE FARSA DEL CENTROSINISTRA, IN CUI ERA GIA’ TUTTO STABILITO, CON L’ECCESSIVO SPAZIO E RISALTO NEL SERVIZIO PUBBLICO TELEVISIVO. LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA NELLA LEGGE ELETTORALE E NEL VOTO ANTICIPATO DELLA REGIONE LAZIO.



Le elezioni primarie del centrosinistra hanno sancito, com’era prevedibile, la vittoria di Pierluigi Bersani sugli sfidanti; i più temibili sono stati Nicola Vendola e Matteo Renzi. Vendola e Di Pietro erano fino a pochi mesi fa l’espressione della politica innovativa, anomala ed alternativa della sinistra, rispetto al solito Pd: erano molto accreditati, specialmente dai sondaggi, finché non è esploso Beppe Grillo e così entrambi si sono sgonfiati. Il ciclone Renzi piacerà sicuramente ai giovani di centrodestra e ai tanti ex berlusconiani delle classi sociali alte, a sinistra non è ben visto, si preferisce portare avanti il vecchio (D’Alema, Bindi, Rutelli, ecc.), attraverso la persona di Bersani, non scombussolando i classici schemi e stabilendo ferree regole. A me non sono mai piaciuti i tipi con la chiacchiera facile: grazie alle loro parlantine riescono a scalare tutte le vette più inespugnabili, anche se spesso non hanno i titoli di vario genere per poter ambire ai ruoli che ricoprono. E in più i pensieri di Renzi sono lontani dai concetti politici di destra. I mezzi di informazione italiani, compreso il servizio pubblico televisivo, hanno fatto una pubblicità esagerata a queste primarie, in contemporanea facendo una pubblicità negativa alla destra, e hanno gonfiato eccessivamente i dati sulla partecipazione: hanno votato circa 3.100.000 persone. Analizziamo ora i risultati di tutte le precedenti primarie del centrosinistra:

  1. primarie “Unione” ottobre 2005, votanti 4.311.149 (Prodi 75%);
  2. primarie “Partito Democratico” ottobre 2007, votanti 3.500.000 (Veltroni 75%);
  3. primarie “Partito Democratico” ottobre 2009, votanti 3.102.709 (Bersani 53%).

Ebbene, signori giornalisti, faziosi e antidestra, l’affluenza è stata inferiore rispetto alle precedenti consultazioni interne alla sinistra, allora mi chiedo: dove sta questo straordinario successo di cui parlate? Aggiungo che coloro che votano sono militanti e simpatizzanti dei partiti di sinistra, nelle politiche del 2008 quei partiti presero circa 15 milioni di voti, per cui i 3 milioni di votanti di queste primarie è facile dedurre da dove provengano. Neanche sono rigidi nei controlli dei votanti: spesso accade che uno voti più volte in luoghi diversi. Se ci saranno le primarie del Pdl auspico che la Rai dia la stessa importanza che ha dato a queste consultazioni, concedendo prime serate. I cronisti di Sky hanno cercato di immischiare la politica col calcio: una domenica hanno chiesto ai presidenti delle squadre di Serie A per chi avrebbero votato, nessuno ha risposto; l’unico che si è indignato è il presidente della SSLazio Claudio Lotito (uguale a Renzi per la parlata agevole), rispondendo: “non accostatemi ad ideologie ed uomini lontani da me, teniamo la politica fuori dal calcio!” Grande Lotito! Certo ce ne vuole per domandare ad un presidente di una società, la cui tifoseria è tra le più schierate d’Italia a destra (estrema), per quale candidato di centrosinistra voterà!



Per le elezioni politiche probabilmente rimarrà questa legge elettorale, vorrebbero porre un limite del 42% per l’attribuzione del premio di maggioranza alla Camera dei Deputati: non è possibile che una coalizione di partiti ottenga 340 deputati con il 30 – 35% dei consensi. Cito gli esempi delle precedenti consultazioni con l’odierna legge: nel 2006 l’Unione, con candidato Presidente Prodi, ottenne il 49% dei voti, nel 2008 l’alleanza Pdl – Lega – Mpa, con Berlusconi candidato, ottenne il 47%; in quelle consultazioni sì che era legittimo il premio. Al Senato della Repubblica la situazione è diversa: al momento si prevede che nessuno riuscirà ad ottenere una robusta prevalenza numerica. Fu l’allora Presidente della Repubblica Ciampi a non volere il premio di maggioranza su base nazionale al Senato, preferendo dare indicazione di valutare regione per regione, pertanto della caduta di Prodi nel 2008 ne fu artefice Ciampi. Tutti i partiti fingono di accordarsi per modificare la legge elettorale, ma nessuno ha interesse a farlo, tranne quelli di centro. È strano: i centristi che vollero (e votarono) questa legge vorrebbero cambiarla, mentre la sinistra che si oppose ambisce a mantenerla. Le preferenze è meglio non inserirle per evitare infiltrazioni mafiose – camorristiche, al fine di portare avanti questo o quel candidato.

Per far fuori la destra in due turni, cioè col risultato delle regionali vorrebbero influenzare quello delle votazioni politiche, fanno di tutto per non accorpare il voto regionale con quello politico: sarebbe ridicolo votare a distanza di poche settimane prima per le regionali, poi per le politiche. Tutta questa fretta che ha avuto la sinistra per andare al voto al più presto possibile nella Regione Lazio, non la ebbe la destra quando si dimise Marrazzo nell’ottobre 2009: infatti si attese l’ultima domenica di Marzo 2010, votando con il resto delle altre regioni chiamate alle urne. Se la Presidente Polverini si è dimessa è chiaro che si dovrà votare di nuovo (allora cosa dire dei consigli comunali e provinciali sciolti anzitempo in primavera, estate e autunno e si deve attendere la primavera successiva per votare?): prima di quel momento si sta cercando di tagliare i consiglieri regionali e gli altri privilegi politici. Se la sinistra chiedeva con insistenza il voto era intenzionata a mantenere tutto; essa e quel ridicolo comitato per i diritti del cittadino che ha fatto gli inutili ricorsi. E le spese legali chi le paga?

giovedì 22 novembre 2012

162) IL FRATELLO DI ANTONIO GRAMSCI



Mario Gramsci

Nel settantesimo della morte di Antonio Gramsci, vogliamo dedicare queste poche righe alla memoria di un uomo che seppe vivere e morire per le sue idee.

Non ci riferiamo ad Antonio, il pensatore e leader comunista, ma a suo fratello Mario dimenticato da tutti perché ebbe la sventura di vestire la camicia nera.

Più giovane di dodici anni, Mario Gramsci aderì al fascismo al ritorno dalla prima guerra mondiale che combatté con il grado di sottotenente.

A nulla valsero i tentativi del fratello Antonio di convincerlo ad abbandonare la fede fascista per aderire a quella comunista, non ci riuscirono neppure le bastonate dei compagni che lo ridussero in fin di vita.

Fu il primo segretario federale di Varese, volontario per la guerra d’Abissinia e combattente nel ’41 in Africa settentrionale.

Dopo l’8 Settembre ’43, quando l’Italia si svegliò col fazzoletto rosso attorno al collo e la bandierina americana in mano,
Mario Gramsci, invece di gettare la sua divisa come fecero molti suoi coetanei, continuò a combattere.

Ma lo fece dalla parte sbagliata, dalla parte dei perdenti.

Aderì infatti alla Repubblica Sociale Italiana.

Fatto prigioniero, fu torturato per fargli abiurare la sua fede fascista.

Poi fu deportato in uno campo di concentramento in Australia dove le durissime condizioni di detenzione riservate ai militari fascisti non renitenti, cominciarono a minare la sua salute.

Rientrò in Patria sul finire del ’45 e subito dopo morì in un ospedale di terz’ordine attorniato solo dall’affetto dei suoi cari.

Andò sicuramente meglio al celebre fratello Antonio che quando si ammalò in carcere, a causa di una malattia contratta da adolescente, fu scarcerato e, da uomo libero, poté curarsi a spese del Regime in una famosa clinica privata.

Non pretendiamo che Mario Gramsci sia ricordato alla stregua del fratello maggiore a cui, giustamente, sono dedicati libri e intitolate piazze - perché al di là del giudizio storico rimane un grande del novecento – ma un piccolo pensiero, crediamo, lo meriti anche lui.

Con Mario Gramsci vogliamo onorare tutti fratelli “minori”, come il fratello di Pier Paolo Pasolini ucciso dai partigiani comunisti. Dimenticati, questi fratelli d’Italia, perché caddero dalla parte sbagliata.

 
Gianfredo Ruggiero, Presidente del Circolo Culturale Excalibur

martedì 13 novembre 2012

161) STATI UNITI E OBAMA AL BIVIO DELLA STORIA


DELLE NUOVE SFIDE ATTENDONO GLI USA, NELLA LORO METAMORFOSI ETNICA ED ECONOMICA, E IL RICONFERMATO PRESIDENTE BARACK OBAMA: O SOCCOMBERE ED ESSERE TRAVOLTI O CERCARE SOLUZIONI ESTREME PER MANTENERE IL RUOLO GUIDA DI NAZIONE PIU’ FORTE E PIU’ POTENTE DELLA TERRA.



Il Presidente uscente e democratico Usa, Barack Obama (primo presidente afroamericano), è stato riconfermato dagli elettori americani per un secondo mandato di altri quattro anni. Gli Usa hanno uno strano sistema elettorale: spesso accade che il candidato che piglia più voti perde perché i numeri elettorali variano da stato a stato statunitense. I media italiani si sono schierati per Obama: hanno cercato in tutti i modi di favorirlo e di boicottare l’avversario. Lo sfidante repubblicano Mitt Romney si aspettava di giocarsi la partita e poterla anche spuntare, sfruttando l’onta negativa del tracollo finanziario internazionale, partito proprio dagli Usa. Due fattori hanno fatto pendere l’ago della bilancia dalla parte del presidente uscente: l’uragano Katrina che si è abbattuto sulla costa orientale degli Usa, in cui Obama ha vestito i panni di angelo soccorritore, assistendo in prima persona le popolazioni colpite dal cataclisma naturale; la sempre crescente popolazione ispanica degli Stati Uniti, la quale ha privilegiato un candidato più aperto alle tematiche migratorie e alla regolarizzazioni di immigrati latini che si introducono illegalmente nel suolo statunitense (la medesima tattica che vorrebbe adottare la sinistra italiana per allargarsi il proprio bacino elettorale). Per il futuro si prevede che gli ispanici (messicani in testa) faranno divenire gli Usa una nazione latinoamericana (cattolica?) e ne decideranno sempre più le sorti; come potete vedere dalla composizione etnica della nazione, ancora prima potenza mondiale, fra poco diverranno il primo gruppo etnico.


ORIGINE DELLA POPOLAZIONE USA (totale 308,7 milioni):

Afroamericani (compresi neri ispanici): 40,7 milioni;
Bianchi non ispanici: 223.553.265 (tedeschi 50,7 milioni, britannici 36,5 milioni, irlandesi 33,5 milioni, italiani 18 milioni, francesi 11,8, polacchi 10 milioni, ebrei 6,4 milioni, olandesi 5 milioni, altri 18,8)
Bianchi ispanici: 50,4 milioni;
Asiatici: 15 milioni;
Arabi: 2,6milioni;
Nativi americani (pellerossa): 4,1 milioni.


Il gruppo etnico Wasp (bianco, anglosassone, protestante), originario delle tredici colonie britanniche che diedero vita agli Usa, detiene ancora le leve del potere politico ed economico della nazione ma non costituisce più la maggioranza. Gli amerindi (o pellerossa) sono quasi estinti e vivono nelle riserve: a pensare che il Nord America era la loro terra, prima della penetrazione europea che ha segnato la loro fine. Quello americano, a differenza dell’Europa e delle sua nazioni, piccole e già formate da millenni di storia, era un immenso continente da riempire, da popolare, da formare: sfido io che si sia riempito senza limiti da gente delle più svariate etnie. La formazione dello stato è avvenuta prima con la guerra d’indipendenza contro gli inglesi, poi attraverso l’espansione a ovest (il selvaggio west) nelle guerre contro gli indiani d’America e con la guerra civile di secessione, in cui gli stati del sud degli Stati Uniti proclamarono l’indipendenza per non abolire la schiavitù. Col passare dei decenni l’America conobbe uno sviluppo economico non indifferente, divenendo terra di opportunità per tutti e prima democrazia del mondo. Le due guerre mondiali l’hanno fatta divenire la nazione più potente del globo, togliendo lo scettro a Francia e a Gran Bretagna, le quali difficilmente le avrebbero vinte senza l’apporto decisivo americano e così entrarono nella sua sfera d’influenza. Per circa un cinquantennio è stata contrastata dall’Urss e dal suo sistema economico socialista, all’opposto di quello capitalista su cui poggiavano i fondamenti degli Stati Uniti. Cessato il pericolo sovietico e con esso l’incubo di una guerra atomica totale, la nazione non ebbe più nessun rivale temibile che potesse contrastarla e continuò a prosperare sempre di più. Il suo ruolo egemone nel decidere le sorti di tutto il pianeta, in particolare nell’area mediorientale, lo fece divenire un paese inviso ed odiato, per cui dei gruppi terroristici, spinti anche da motivi di fanatismo religioso e di guerra santa contro l’occidente, lo presero di mira ed arrivò l’11 settembre 2001. Due lunghissime e costosissime guerre di contrasto al terrorismo islamico in Afghanistan ed in Iraq comportarono per gli Usa l’inizio dei loro guai attuali. In contemporanea con le guerre iniziò la crisi dei mutui bancari e del marcato immobiliare. Molte persone acquistavano le case e le automobili di lusso senza avere i soldi, affidandosi a finanziamenti che non erano coperti: denaro virtuale, telematico.



Molte banche e molte imprese sono fallite: tutto l’occidente è stato travolto e con esso buona parte del mondo. Con l’illusione che il capitalismo avesse prevalso sul comunismo, le nazioni occidentali non si diedero più limiti nell’adottare politiche sempre più liberali, senza controlli statali, abbandonando la teoria di Keynes su domanda ed offerta, attraverso la vigilanza dello stato, e i tecnocrati della finanza dettarono le nuove leggi. I tecnici che governano l’Italia sono le conseguenze dei mercati e dei finanzieri internazionali che impongono il loro volere: costoro farebbero pagare persino un caffè con le carte bancarie telematiche. Se la situazione non migliorerà gli Stati Uniti d’America potrebbero trovarsi nello stesso bivio in cui si trovava l’Unione Sovietica all’inizio degli anni ’80, quando la sua economia era al collasso per stare al passo con l’America nel campo degli armamenti: o accettare il crollo del sistema politico ed economico e non decidere più i destini del mondo intero, acconsentendo di essere superata da nazioni emergenti come da una Cina aperta al libero mercato e da altre, oppure cercare una “grande guerra” per risollevarsi e mantenere l’egemonia mondiale. Ricordiamo che gli Stati Uniti Americani superarono definitivamente la grande depressione del 1929 con la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Il merito della ripresa non fu solo del “nuovo corso” di lavori pubblici voluti dall’allora presidente Roosevelt. Ora non so dire come finirà, però è certo che le condizioni economiche della gente comune peggiorano sempre di più e quest’ultima sarà costretta a cambiare mentalità e stili di vita.

venerdì 9 novembre 2012

160) VESPA SU MUSSOLINI E LA CRISI DEL 1929

Quella ricetta di Mussolini che salvò l'Italia dalla crisi


Nel nuovo libro di Vespa vengono analizzate in chiave attuale le misure che il Duce introdusse per tirare fuori il Paese dal baratro. Molte sarebbero d'esempio anche oggi

Esce oggi in tutta Italia il nuovo libro di Bruno Vespa «Il Palazzo e la piazza. Crisi, consenso e protesta da Mussolini a Beppe Grillo» (Mondadori-Rai Eri, 444 pagine, 19 euro). Il saggio dell'anchorman e conduttore di Porta a porta è una cavalcata attraverso le crisi economiche italiane e internazionali, dalla crisi del 1929 a quella attuale, che pesa di più sull'umore popolare per i clamorosi casi di corruzione politica che hanno fatto esplodere astensionismo e voto di protesta anche nelle recenti elezioni siciliane.


Ne pubblichiamo un ampio brano dedicato all'operato del Duce.


Poiché è stata la crisi del 2011-12 a suggerire l’idea di questo libro, e a fronte delle difficoltà incontrate dal go­verno Monti nel taglio della spesa pubblica, può essere interessante vedere come se la cavò Mussolini nell’altra Grande Crisi del secolo scorso. Come ogni regime dittatoriale, il fascismo spendeva grosse cifre per la difesa: all’inizio della crisi es­se rappresentavano il 32 per cento del bilancio statale, contro il 14 de­gli stanziamenti per opere pubbli­che. Ora, negli anni successivi al 1931, il bilancio della Difesa fu ta­gliato del 20 per cento, mentre lo stanziamento per opere pubbli­che fu quasi raddoppiato. («Nei primi dieci anni del mio governo­ - amava puntualizzare il Duce- si è speso in opere pubbliche più di quanto abbiano speso i governi li­berali nei primi sessant’anni dal­l’Unità d’Italia»). Il bilancio della polizia, altra po­sta strategica del regime, fu decur­tato del 30 per cento, come quello della Giustizia, mentre gli stanzia­menti per le Colonie furono ridot­ti quasi del 50 per cento. Colpisce, invece, che non sia stato tagliato di una sola lira il bilancio della Pubblica istruzione. Nonostante la scuola fosse uno dei settori sui quali Mussolini puntava mag­giormente (famoso lo slogan «Libro e moschet­to »), l’istruzione non fu mai veramente «fascistiz­zata », perché tra gli stessi in­segnanti fascisti erano pochi quelli che accettavano di svuotare la scuola della sua funzione culturale appiatten­dosi completamente sulle esi­genze del regime. Furono ridotti del 20 per cento anche i servizi fi­nanziari, malgrado i robusti inter­venti per salvare banche e impre­se. Nella prima metà degli anni Trenta il bilancio dello Stato oscil­lò tra i 19 e i 21 miliardi di lire. Nel­l’esercizio finanziario 1930-31 il disavanzo fu limitato al 2,5 per cento, ma dall’anno successivo passò via via dal 20 al 35, per ridi­scendere al 10 nel biennio 1934-35.

Per farvi fronte, non volendo ri­nunciare alla parità aurea nono­stante la svalutazione del dollaro e della sterli­na, Mussolini fu costretto in cin­que anni a di­mezzare le ri­serve d’oro della Banca d’Italia. Gli inasprimenti fiscali raggiun­sero il picco nel 1934 con l’aggravio delle imposte sugli scambi e sulle successioni. Fu lì che il Du­ce disse «basta», con una frase che suonerebbe ancor oggi di notevo­le buonsenso: «La pres­sione fiscale è giunta al suo limite estremo e biso­gna la­sciare per un po’ di tempo as­solutamente tranquillo il contri­buente italiano e, se sarà possibi­le, bisognerà alleggerirlo, per­ché non ce lo troviamo schiacciato e defunto sotto il pesante far­dello ». (...) La diffusione delle biciclette e delle tramvie ex­traurbane aveva favorito il pendola­rismo tra campagna e città, cosicché si for­mò una potenziale nuova classe lavoratrice che i sindaca­ti cercarono di arginare, difenden­do gli operai urbani. I sindacati fa­scisti chiesero la riduzione del­l’orario lavorativo settimanale a 40 ore a parità di salario: l’Italia fu il primo paese al mondo a intro­durre tale misura fin dal 1934, una scelta così avanzata che è ancora in vigore quasi ottant’anni dopo. (…)

Nel 1933 il regime modificò radi­calmente il sistema assicurativo pubblico creando l’Istituto nazio­na­le fascista della previdenza so­ciale (Infps), dotato di gestione autonoma. Prima della fine del decennio, furono appron­tati diversi ammortizzatori sociali,come l’assicurazio­ne contro la disoccupazio­ne, gli assegni familiari e le integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o a ora­rio ridotto. Per compensare i sacri­fici chiesti ai lavoratori e alle loro famiglie con le riduzioni salariali, il regime predispose «una serie di servizi sociali e di possibilità ricre­ative, sportive, culturali, sanita­rie, individuali e collettive, sino al­lora sconosciute o quasi in Italia e che influenzarono largamente il loro atteggiamento verso il fasci­smo e soprattutto quello dei giova­ni che più ne usufruirono». (...) In un paese ancora povero, in cui pochissimi bambini potevano permettersi le vacanze al mare, fu provvidenziale l’istituzione delle colonie estive, i cui ospiti passaro­no da 150mila nel 1930 a 475mila nel 1934. Nel 1926, un anno dopo la sua costituzione, l’Opera nazio­nale dopolavoro contava 280mila iscritti, che un decennio più tardi erano saliti a 2 milioni 780mila, per raggiungere i 5 milioni alla vigi­lia della seconda guerra mondia­le: quasi il 20 per cento dell’intera popolazione italiana. Gli aderenti godevano di alcune forme di assi­stenza sociale integrativa oltre a quella ordinaria, della possibilità di fruire di sconti e agevolazioni e, soprattutto, di partecipare a una lunga serie di attività sportive, ri­creative e culturali.

Agli adulti la tessera del dopolavoro dava dirit­to a forti sconti su ogni tipo di sva­go: dai cinema ai teatri, dai viaggi alle balere, dagli abbonamenti ai giornali alle partite di calcio. Tut­ti, iscritti e non, avevano diritto ­se bisognosi- alla refezione scola­stica, a libri e quaderni gratuiti,al­l’accesso a colonie marine, ai cam­peggi estivi e invernali, all’assi­stenza nei centri antitubercolari. (...) Rexford Tugwell, l’uomo più di sinistra dell’amministrazione americana, pur collocandosi ideo­logicamente agli antipodi del fa­scismo, riconosceva che il regime stava ricostruendo l’Italia «mate­rialmente e in modo sistematico. Mussolini ha senza dubbio gli stes­si oppositori di Roosevelt, ma con­trolla la stampa e così costoro non possono strillare le loro fandonie tutti i giorni. Governa un paese compatto e disciplinato, anche se con risorse insufficienti. Almeno in superficie, sembra aver com­piuto un enorme progresso. Il fa­scismo è la macchina sociale più scorrevole e netta, la più efficiente che io abbia mai visto. E ne sono in­vidioso».


giovedì 1 novembre 2012

158) LAZIOGATE ED ELEZIONI SICILIANE


Laziogate, tutti assolti

Si conclude così la vicenda sul presunto accesso abusivo ai dati informatici del Comune di Roma per le Regionali del 2005. Storace: "Dopo sette anni di calvario, finisce in appello la vicenda. Mi tolsero la regione e il ministero, non la dignità".


Francesco Storace, Nicolò Accame, Mirko Maceri, Romolo Reboa, Pierpaolo Pasqua, Nicola Santoro e Vincenzo Piso riconosciuti estranei alle accuse.
"Dopo sette anni di calvario, finisce in appello la vicenda Laziogate: assolto! Mi tolsero la regione e il ministero, non la dignità". Così, grazie ad un twitter, Francesco Storace ha subito commentato la sentenza della Corte d'Appello di Roma che poco fa lo ha assolto, assieme a tutti gli altri imputati, dalla cosiddetta vicenda del 'Laziogate'. "Finisce un calvario - ha quindi rimarcato lo stesso leader de La Destra - questa vicenda mi costò la sconfitta in campagna elettorale regionale, perché esplose negli ultimi 10 giiorni. E l'anno successivo mi costò le dimissioni da ministro". 
Secondo le accuse mosse a suo tempo, e ora riconosciute del tutto risibili con ulteriore 'sbugiardamento' dell'accusatore Dario Pettinelli, l'allora presidente della Regione avrebbe chiesto ad alcune persone di introdursi all'interno dell'anagrafe del Comune di Roma per verificare l'esistenza di eventuali firme false prodotte per presentare la lista della Mussolini alle Regionali del 2005. Ribaltando le tesi della sentenza di primo grado, l'11 giugno scorso il Procuratore Generale Antonio La Rosa aveva chiesto l'assoluzione di Francesco Storace e degli altri imputati.
I giudici della I corte d'appello di Roma, presidente Eugenio Mauro, hanno dunque fatto cadere le accuse nei confronti Francesco Storace (che veniva da una condanna a 18 mesi), del suo ex portavoce Nicolò Accame, che  in primo grado aveva avuto 2 anni. Con la formula del fatto che "non sussiste" è stata emessa una sentenza di assoluzione che ribalta il giudizio del primo processo. Assolti Mirko Maceri, che era ex direttore di Laziomatica; così come l'avvocato Romolo Reboa (che presentò l'esposto a suo tempo contro As); e Nicola Santoro, figlio del magistrato della commissione elettorale presso la corte d'appello di Roma che escluse Alternativa Sociale dalle elezioni. Avevano avuto un anno. Reboa al termine dell'udienza è commosso. "Abbiamo vissuto un incubo", si lascia scappare. Cadute le contestazioni anche per l'allora vicepresidente del consiglio comunale per An, Vincenzo Piso (per cui anche in primo grado la Procura aveva chiesto l'assoluzione). Unica condannata, Tiziana Perreca, ex collaboratrice dello staff di Storace, che ha avuto 6 mesi per favoreggiamento. Per lei pena ridotta, visto che nel primo grado aveva avuto 8 mesi. Confermata l'assoluzione di Daniele Caliciotti, l'ex dipendente di Laziomatica. E nei suoi confronti non era stata appellata la sentenza.
La sentenza di oggi pomeriggio sul caso 'Laziogate' è anche frutto delle richieste fatte dalla Procura generale nel corso del suo intervento, nel giugno scorso. Lo stesso rappresentante dell'ufficio della pubblica accusa aveva chiesto, allora, l'assoluzione di Francesco Storace e degli altri imputati. In pratica aveva spiegato il pg Antonio La Rosa non ci fu alcun illecito nel procedere all'accesso al sistema informatico del Comune di Roma, attraverso il computer dell'allora direttore di Laziomatica Mirko Maceri, la notte tra il 9 e il 10 marzo del 2005. "Esisteva una convenzione che autorizzava lo stesso Maceri ad accedere alla banca dati del Campidoglio per acquisire informazioni sanitarie e quelle relative alla carta di identità", spiegò il magistrato.
Il difensore di Storace, l'avvocato Giosuè Bruno Naso, ha così commentato la sentenza: "Non c'era bisogno di attendere 7 anni per certificare l'estraneità di Storace a qualsivoglia comportamento men che legittimo. Bastava leggere con obiettività e senza pregiudizi proprio il verbale del principale accusatore per comprendere che il mio assistito era estraneo a quell'operazione di acquisizione dei dati anagrafici, che peraltro la Corte d'appello ha stabilito oggi essere consentita".

A QUANDO LE SCUSE DI TUTTI I LINCIATORI?





Regione già senza maggioranza. Per Crocetta c'è aria di inciucio

Crocetta vince con il 30% di voti: "Non mi alleo con nessuno". La metà degli elettori diserta le urne. M5S primo partito. Fli-Idv-Sel fuori. LO SPECIALE Fitch declassa la Regione

Era la soluzione meno attesa. Era, probabilmente, la più logica. Perché nella Sicilia del «tutto cambi perché nulla cambi» di gattopardiana memoria, che alla fine la spuntasse Rosario Crocetta, sostenuto dalla parte del Pd che ha appoggiato il governo di Raffaele Lombardo e dall'Udc che col Pd ha sostenuto in parte lo stesso esecutivo del ribaltone, era, diciamolo, più che prevedibile.

A dispetto dei sondaggi, che assicuravano che ci sarebbe stato un testa a testa tra Crocetta e il candidato Pdl Nello Musumeci.

A dispetto di altri sondaggi, che addirittura davano per vittorioso l'ignoto candidato di Beppe Grillo, Giancarlo Cancelleri. E invece no, ha vinto il passato rivestito di nuovo e diventato futuro, anzi «futuro rivoluzionario», come dice il neo governatore. E ha vinto facile, Crocetta, su Musumeci: cinque punti abbondanti di scarto a spoglio quasi completato, 30,9% contro 25,2%; terzo il grillino con un più che ottimo 18.
Cambiare tutto per non cambiare nulla. Sono maestri i siciliani, a volte, in quest'arte. E anche questa volta non si sono smentiti. L'aria di vittoria, però, si sente sin dal mattino, nella sede palermitana del comitato elettorale tappezzata di immagini antimafia di Crocetta. Una sede che meriterebbe il brevetto di vittoria sicura: qui, a maggio, era il comitato elettorale di Leoluca Orlando, al ballottaggio poi incoronato sindaco; nello stesso posto, via Mazzini angolo con via Libertà, cuore della Palermo bene, si è piazzato il comitato elettorale di Crocetta. E anche lui ha fatto bingo, senza patemi. Già intorno a mezzogiorno i primi boati: più sezioni si spogliano, più si consolida una forbice difficilissima da colmare, sei punti, dal candidato Pdl.
Alle 13, mentre il neo governatore è ancora lontano, a Palermo già si festeggia. Arriva l'ex presidente dell'Antimafia Beppe Lumia, uno degli artefici dell'inciucio con Lombardo nel governo scorso. Arrivano, alla spicciolata, gli altri big, rispunta persino Sergio D'Antoni. È la rivincita per il partito di Bersani. La rivincita per una serie di scelte sbagliate pagate care nelle urne, l'ultima proprio a Palermo, le scorse elezioni. La vittoria è sperata ma non attesa. E infatti al comitato è caos, disorganizzazione. Caos che diventa delirio quando alle 16 e 40, arriva il vincitore. Il popolo di Crocetta accoglie il suo re in strada. E lui, da re, incede bloccando la strada, rispondendo ai cronisti e ripetendo come un mantra: «Non ho la maggioranza? Il problema è vostro, non mio. Io non sono uomo da inciuci, non faccio alleanze con nessuno, presenterò progetti. Se non passeranno richiamerò i siciliani alle urne, e questa volta mi daranno il 60%». C'è aria di festa, qualcuno gli ricorda il voto di castità: «Sarò casto per forza, ormai sono vecchio, non mi vuole più nessuno». Dedica alla mamma, e smentita di avere avuto voti dal gruppo Miccichè-Lombardo: «Non credo proprio». Ironico con chi gli ricorda il patto della Croc-chè, dalla crasi dei cognomi suo e di Miccichè: «Non posso mangiarle (in siciliano crocchè sono le croquetes di patate), mi fanno male». E poi, spazientito: «Io sono in discontinuità con tutti i governi siciliani che mi hanno preceduto, Lombardo compreso. Con me si cambia musica». E saranno lacrime e sangue, visto che vuol far fuori qualche dirigente superpagato.
Al comitato di via Mazzini è festa. Si va di ovazione in ovazione, anche col rischio di farsi male, come succede a un neo deputato lanciato in aria che dà una capocciata sul tetto. Cento passi più in là, in via Libertà, c'è la mestizia, il comitato di Nello Musumeci. Il grande sconfitto arriva intorno alle 19: «Il Pdl in queste settimane non si è fatto mancare niente - dice Musumeci - ma la Sicilia è davvero la terra dei gattopardi, ha vinto la stessa maggioranza di Lombardo. Gli auguro buon lavoro ma con me è stato scorretto, non lo chiamerò». Il buon lavoro, a Crocetta, lo manda Fitch, che ha declassato la Sicilia per il suo debito abissale. Auguri, governatore Crocetta.

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venerdì 26 ottobre 2012

157) ANNIVERSARI: OTTOBRE 1942 E 1962



OTTOBRE 1942: BATTAGLIA DI EL ALAMEIN


Sacrario italiano di El Alamein


La seconda battaglia di El Alamein (Egitto) 23 ottobre – 3 novembre 1942, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, sancì la definitiva affermazione delle nazioni Alleate su quelle dell’Asse e, assieme alla battaglia di Stalingrado, cambiò le sorti del conflitto. Gli italo –tedeschi dell’Asse erano comandati da Erwin Rommel, il quale disponeva 116.000 uomini e 547 carri armati; le truppe britanniche (comprese quelle dei suoi possedimenti nel mondo) erano comandate da Bernard Montgomery, che disponeva di 195.000 uomini e 1.029 carri armati. L’Asse perse oltre 30.000 uomini, tra morti, feriti, dispersi e prigionieri; gli alleati ne persero oltre 13.000. I carri armati degli sconfitti furono quasi completamente annientati, mentre quelli dei vincitori si ridussero alla metà. Furono utilizzati anche i caccia bombardieri da ambo le parti. I mal equipaggiati soldati italiani, comandati dal Gen. Ugo Cavallero, si batterono da eroi: epiche furono le imprese dei bersaglieri e dei Paracadutisti Folgore: uomini contro carri armati. I carri italiani della Brigata Corazzata Ariete erano assai inferiori a quelli alleati e furono completamente spazzati via. Il coraggio e la determinazione degli italiani suscitò ammirazione e rispetto da parte di alleati e nemici: Rommel e Churchill li celebrarono.



W. Churchill alla Camera dei Deputati, 21 novembre 1942: " Dobbiamo davvero inchinarci di fronte ai resti di quelli che furono i Leoni della Folgore"



Tra il 1940 e il 1943 la guerra era combattuta lontano dall’Italia, i bombardamenti erano rari. Le sole ansie delle famiglie, tra le ristrettezze economiche, la borsa nera, gli orti di guerra piantati nei giardini delle città, riguardavano i loro giovani e meno giovani parenti inviati sui vari scenari bellici. Un bambino inviò una bellissima lettera al padre in guerra, il quale era morto, ma il bimbo non sapeva nulla: quella lettera del fanciullo commosse profondamente i superiori del padre e decisero con quel testo di farne una canzone. In seguito quella canzone venne censurata dalla radio italiana perché secondo le autorità era  eccessivamente disperata e scarsamente ispiratrice del sentimento di immancabile vittoria”. Anche a me ha colpito molto: sono storie di altri tempi, sono dei valori che oggi non esistono più. Quei militari avrebbero voluto volentieri starsene a casa, ma una volta inviati sui vari fronti diedero l’anima per la vittoria e per onorare la loro nazione. I caduti perirono per un’ideale, per quella patria di cui andavano fieri, mentre oggi si vergognerebbero, così come ci vergogniamo noi, per come l’hanno ridotta i politici in questi ultimi tempi.


CARO PAPA'
Caro Papà, chi scrive è la mia mano,/quasi mi trema, lo comprendi tu./Son tanti giorni che mi sei lontano/e dove vivi non lo dici più./Le lacrime che bagnano il mio viso,/son lacrime di orgoglio, credi a me./Ti vedo che dischiudi un bel sorriso/e il tuo Balilla stringi in braccio a te.

Anch'io combatto, anch'io fo la mia guerra,/con fede, con onore e disciplina,/desidero che frutti la mia terra/e curo l'orticello ogni mattina:/l'orticello di guerra/e prego Iddio che vegli su di te babbuccio mio.

Caro Papà, da ogni tua parola/sprigiona un "Credo" che non si scorda più,/fiamma d'amore di patria che consola/come ad amarla mi insegnasti tu. Così da te le cose ch'ho imparato/le tengo chiuse, strette nel mio cuor/ed oggi come te sono un soldato:/credo il tuo Credo con lo stesso amor.

Anch'io combatto, anch'io fo la mia guerra,/con fede, con onore e disciplina,/desidero che frutti la mia terra,/curando l'orticello ogni mattina:/l'orticello di guerra/e prego Iddio che vegli su di te babbuccio mio.




OTTOBRE 1962: CONCILIO VATICANO II E QUASI TERZA GUERRA MONDIALE

Il Concilio Ecumenico Vaticano II fu indetto a sorpresa da Papa Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, con grosso stupore dei cardinali conservatori legati a Pio XII. Il Cardinal Roncalli, patriarca di Venezia, fu fatto papa ed era visto come un papa di transizione, vista l’età avanzata: avrebbe dovuto fungere da marionetta manovrata dagli altri cardinali della Curia Romana. Con il suo carattere mite, dialogando e mai imponendo in maniera ferrea la sua volontà di papa, non si fermò davanti alle opposizioni e agli scetticismi. Il suddetto Concilio iniziò nell’ottobre 1962 e terminò nel 1965 sotto Papa Paolo VI, i punti cardini furono i seguenti: la Chiesa doveva smetterla di lanciare minacce, anatemi e scomuniche  contro chi non vi si allineava; il dialogo con le altre confessioni, particolarmente con le altre cristiane; il rinnovo del messale e della liturgia. Quello di Giovanni XXIII fu un papato, breve, di cinque anni, ma intenso, che mutò profondamente la Chiesa e la società. Inaugurò le visite nelle carceri, negli ospedali e i pellegrinaggi: prima di lui era impensabile tutto ciò per un papa. Memorabile fu il suo discorso della luna a conclusione della prima giornata del Concilio: furono parole ispirate dalla sua mente e dal suo cuore.




Sempre nell’ottobre 1962, il Papa di allora, con un radiomessaggio, contribuì a sventare la Terza Guerra Mondiale: ebbe successo mentre i suoi predecessori (Benedetto XV e Pio XII) avevano fallito nell’obbiettivo di evitare le due guerre mondiali che c'erano già state. L’isola di Cuba con una rivoluzione era passata nel blocco comunista, i sovietici vi stavano impiantando dei missili nucleari, puntati verso gli Stati Uniti.


Il Presidente Usa Kennedy era pronto a fermare con la forza le navi sovietiche, con i missili a bordo, dirette verso Cuba. Per 13 giorni tutto il mondo trattenne il fiato, convinto di trovarsi sull'orlo di una nuova guerra mondiale. Il Capo dell’Urss Kruscev, conscio del pericolo per l’intero pianeta, ordinò il ritiro dei missili da Cuba, chiedendo in cambio agli americani  di smobilitare le loro postazioni missilistiche stanziate in Turchia, al confine con la sua nazione. Se la guerra fosse scoppiata non sarebbe stata più la guerra tradizionale delle trincee, dei fucili, delle bombe convenzionali; sarebbe stata una guerra atomica, con milioni, se non miliardi, di morti in pochi minuti e la sopravvivenza della razza umana sarebbe stata messa in discussione. Per cui fu l’uomo che con la sua saggezza fu consapevole delle disastrose conseguenze e scelse la giusta soluzione. (mesi dissi la stessa cosa, quando qualcuno ipotizzò di una guerra mondiale, scongiurata negli anni ’80, grazie a degli interventi sovrannaturali)