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lunedì 20 gennaio 2014

212) IL VALORE GIAPPONESE

LE CONTRADDIZIONI DEL GIAPPONE: UNA NAZIONE MAI COMPLETAMENTE “OCCIDENTALIZZATA” E L’OTTIMO CONNUBIO TRA TECNOLOGIE E TRADIZIONI CHE NON RISENTE DELLA CRISI ECONOMICA.

Il cosiddetto “ultimo giapponese”, alias Hiroo Honoda, è morto all’età di novantuno anni. “L'ultimo dei giapponesi” è un modo di dire per indicare coloro che, come i giapponesi nascosti nella giungla nella Seconda Guerra Mondiale che non si arresero all'evidenza della fine della guerra perché avevano perso tutti i contatti con il mondo o perché non vollero accettarla e per anni continuarono a combattere, non accettano l’evidenza dei fatti. È questo il caso del citato Hiroo Honada che, ignaro della fine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945, continuò a servire la sua patria combattendo e rimase nascosto nella giungla della Filippine sino al 1974, allorquando riuscirono finalmente a convincerlo a tornare in patria (fu proprio l’ultimo a rientrare), dove fu accolto con tutti gli onori.


Manifesto giapponese della Seconda Guerra Mondiale.



Nel frattempo il suo paese era molto diverso da come lo aveva lasciato: entrato nell’orbita d’influenza dell’occidente, era divenuto un colosso economico ed industriale mondiale, secondo solo agli Stati Uniti. La nazione, piegata solamente dalle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, senza le quali non si sarebbe mai arresa, aveva cambiato i connotati, abbandonando in modo apparente il nazionalismo, l’orgoglio nazionale, propri degli antichi samurai e dei più recenti kamikaze; l’imperatore, il quale era scampato al processo per crimini di guerra, non era più un dio. Purtroppo quando si fa la guerra ognuno deve pensare al proprio tornaconto e al cercare di risparmiare più vite possibili dalla propria parte, anche se ciò comporta che tutto si rivolga contro i propri nemici: così ragionarono gli americani nel 1945 quando decisero di impiegare queste nuove armi di distruzione di massa al fine di far capitolare il Giappone e di risparmiare un milione di vite di soldati americani che avrebbe comportato l’invasione dell’arcipelago giapponese. Inoltre gi americani avevano un alibi giustificatore pronto: erano essi che furono aggrediti per primi dai giapponesi a Pearl Harbor nelle isole Hawaii. Nei decenni successivi dalla fine della guerra il rientro dei molti soldati all'oscuro di tutto divenivano dei momenti per riscoprire i valori antichi da guerrieri di un popolo, dimenticandosi così della sconfitta subìta e del grande sviluppo economico che si pensava avesse cambiato i connotati della nazione.

Il progresso tecnologico e il legame alla cultura e alle tradizioni convivono benissimo nel paese del Sol Levante. Esso nonostante sia entrato nella sfera d’influenza americana – occidentale non si è mai fatto interamente contaminare nel modo di pensare. In occidente la visione mondialista della sinistra politica e del cristianesimo progressista ha portato alla creazione del mito del multiculturalismo  e del “cittadino del mondo” (anche se entrambi i promotori hanno i loro fini ben definiti per promuovere la diffusione della società multietnica), infischiandosene totalmente della perdita dei propri usi e costumi, delle tradizioni storiche, culturali, patriottiche, religiose e delle glorie del proprio popolo. Le forze politiche conservatrici non possono fare granché per arginare ciò, a causa di quel “sistema” ramificato in ogni angolo che influenza tutto. Il Giappone al contrario resiste: conservando la società monoculturale e opponendosi alle pressioni nazionali e internazionali che chiedono a gran voce l’immigrazione di massa per far fronte alla denatalità, all’invecchiamento della popolazione e al gran numero di suicidi, grave piaga del paese. L'ex primo ministro giapponese Taro Aso ha una volta descritto il Giappone come una nazione di «una razza, una civiltà, una lingua e una cultura». Nell’arcipelago giapponese vivono circa 128 milioni di persone, la densità della popolazione è tra le più alte del mondo e solo l’1,5% non è giapponese: tra questo 1,5% molti hanno gli avi giapponesi. Si preferisce promuovere campagne di sensibilizzazione per l’incremento delle nascite, invece che concentrarsi sull’apertura totale delle frontiere.

In quel paese la crisi economica si è fatta sentire poco e il tenore di vita dei cittadini è tra i più alti del mondo. L’energia nucleare soddisfa gran parte del fabbisogno energetico e alla nazione non conviene bloccarla, nonostante quello che è successo nella centrale nucleare di Fukushima a seguito del maremoto. Un’altra differenza con il mondo occidentale è la pena di morte in vigore.



Il modo di pensare dell’occidente non ha contaminato il colosso asiatico, però la cultura europea lo affascina: vengono prodotti molti cartoni animati ispirati ai romanzi europei per i ragazzi ("Ai no gakko Cuore Monogatari", il nostro "Libro Cuore" ne è l'esempio: le gesta della nostra gloria recente sono arrivate anche nel lontano oriente grazie a Edmondo De Amicis e grazie ai giapponesi si sono diffuse ancor di più in tutto il mondo) e in più vengono celebrati molti matrimoni con rito cristiano. Il Giappone è un buon connubio vincente tra tecnologia – modernità e tradizioni patriottiche – culturali.

5 commenti:

  1. 5 febbraio 2014 - ore 06:59

    Parla l’ambasciatore Kohno
    Il Giappone spiegato ai pacifisti: liberale, dialogante e bene armato
    Nessuno slittamento a destra con Abe, Tokyo vuole riforme e prosperità. Cina e Corea del sud si adeguino
    Da poco più di tredici mesi alla guida del governo di Tokyo, Shinzo Abe, leader del Partito liberal-democratico, è l’uomo nuovo del Giappone che vuole uscire dalla crisi iniziata con il “decennio perduto” degli anni Novanta e proseguita fino al terremoto dell’11 marzo 2011, con i problemi della ricostruzione e la crisi nucleare non ancora del tutto risolta. La sua battaglia contro la depressione economica porta il suo nome, Abenomics, ma Shinzo Abe non è soltanto politica economica. Sin dalla campagna elettorale il suo obiettivo è stato far tornare il Giappone (e i giapponesi) una nazione con un ruolo chiave negli equilibri globali, puntando anche sullo spirito patriottico dei giapponesi. “Mi capita di leggere anche in Italia notizie che attribuiscono al Giappone un pericoloso ‘slittamento a destra’, ma tali commenti sono del tutto infondati”, dice a colloquio con il Foglio Masaharu Kohno, che dal marzo del 2011 è l’ambasciatore del Giappone in Italia. Kohno, classe 1948, laurea in Legge e specializzazione in America, già console del Giappone a Los Angeles, viceministro degli Esteri nel 2007 e poi ambasciatore in Russia, dice che “al pari dell’Italia, il Giappone – nei circa settant’anni successivi alla Seconda guerra mondiale – ha promosso la libertà, la democrazia e lo stato di diritto, e ha contribuito alla stabilità e alla prosperità mondiali, in primis dell’Asia. Valori come la pace, la democrazia o i diritti umani sono profondamente radicati nell’identità del nostro popolo, e anche in futuro il Giappone non devierà dal suo percorso di nazione di pace. In effetti – e questa è una grande differenza con l’Europa – il clima di sicurezza nazionale in Asia orientale continua a irrigidirsi”.

    Per esempio, dice Kohno, “lo sviluppo di missili e del nucleare da parte della Corea del nord sta mutando qualitativamente la minaccia alla sicurezza nazionale della regione asiatica”. E sono inoltre in aumento altri tipi di minacce, “i cyberattacchi e il terrorismo, che oltrepassano i confini nazionali. Oggi nessun paese è in grado di proteggere la propria pace e la sicurezza da solo. Sulla base di questa consapevolezza il Giappone, da una posizione di ‘contributore proattivo alla pace’ fondata sulla cooperazione fra i paesi, collaborerà ulteriormente nel garantire la pace e la stabilità, nonché la prosperità, della società asiatica e mondiale”. La recente legge sul segreto di stato, la “Legge sulla protezione di segreti specifici” approvata dalla Dieta all’inizio di dicembre, “ha lo scopo di introdurre strutture già in essere in diversi paesi, e criticarla come pericoloso ‘nazionalismo’ è fuori luogo”. Poi c’è la questione della possibile revisione della Costituzione redatta nel Dopoguerra, che all’articolo 9 impedisce al Giappone di dotarsi di un esercito regolare: “Riguardo alla relazione tra Costituzione e temi quali il diritto alla legittima difesa collettiva”, dice l’ambasciatore Kohno, “è in atto uno studio da parte di una commissione di esperti; come è naturale, questa ricerca viene svolta all’interno dei limiti in cui, secondo il diritto internazionale, ogni paese – compresa l’Italia – può intraprenderla. Inoltre, desidero aggiungere che – riguardo all’art. 9 della Carta – non si tratta di una riforma bensì di un dibattito sull’interpretazione che dovrebbe avere. Ad ogni modo il premier non ha alcuna intenzione di modificare il ‘pacifismo’ insito nell’attuale Costituzione”.

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  2. Anche in Italia in molti – Sergio Romano ieri sul Corriere, per esempio – hanno criticato la visita di Shinzo Abe al santuario di Yasukuni, dove si ricordano i caduti in guerra comprese quattordici persone condannate per “crimini contro la pace”: “Nel santuario sono onorate – senza distinzione di ceto o genere – circa 2.460.000 anime di quanti compirono l’estremo sacrificio per la propria nazione, non solo durante la Seconda guerra mondiale, ma a partire dal 1853. Il premier ha effettuato la visita per manifestare il suo cordoglio e onorare i caduti al fronte nella loro totalità, ma anche per rafforzare il suo impegno alla rinuncia alla guerra; la visita non intendeva in nessun modo rendere omaggio ai criminali di guerra o elogiare il militarismo. E’ un atteggiamento comune a tutti i leader mondiali quello di giungere le mani e pregare per i soldati morti al fronte in difesa della propria nazione”. Dunque, nonostante la visita, il Giappone riuscirà a preservare le relazioni diplomatiche con Pechino e Seul? “Cina e Corea sono vicini importanti per noi; lo stesso Abe ha affermato che ‘il Giappone non ha alcuna intenzione di offendere i loro sentimenti’, ed è disposto ad ascoltare con umiltà le opinioni dei due paesi. Come più volte ribadito da Abe, il Giappone tiene sempre aperte le porte del dialogo, e spera che i paesi vicini accolgano il suo appello al confronto da un’ampia prospettiva, senza porre alcuna condizione”.

    In questo clima teso, però, si inserisce anche il problema della disputa territoriale sulle Senkaku. Quale significato ha riconoscere la sovranità di quelle isole? “Le isole Senkaku, sulla base della storia e del diritto internazionale, fanno parte del nostro territorio, e attualmente il Giappone ne detiene il governo effettivo. Di conseguenza, non sussiste alcuna questione territoriale da risolvere sulle isole Senkaku”, spiega chiaramente l’ambasciatore Kohno. Che prosegue: “Nel 1895, in base al diritto internazionale, il Giappone ha annesso al suo territorio le isole Senkaku, che sono rimaste pacificamente sotto la sovranità giapponese per quasi 120 anni. La Cina ha iniziato a sollevare pretese territoriali solo a partire dal 1971, dopo che una ricerca scientifica aveva indicato la possibile presenza di risorse petrolifere nell’area. Fino ad allora la Cina non aveva mai sollevato un’obiezione alla sovranità giapponese sulle isole Senkaku. Inoltre, la Cina ha istituito nel 1992 una legge sulle acque territoriali, definendo le Senkaku come parte del suo territorio; poi nel 2008 sono cominciate le incursioni di imbarcazioni governative cinesi nelle acque territoriali giapponesi circostanti le isole. Da allora le incursioni si sono ripetute più volte, alimentando ancora oggi le tensioni nell’area. Recentemente, con azioni come l’istituzione di una zona di identificazione per la difesa aerea (Adiz) sul Mar della Cina orientale, Pechino sta intensificando i tentativi di modificare unilateralmente lo status quo tramite l’uso della forza. Desidero sottolineare che, anche di fronte a queste pericolose provocazioni, il Giappone ha sempre mantenuto la massima moderazione e lucidità”. E in effetti alla provocazione cinese risposero i B-52 americani, che sorvolarono l’area senza comunicare alcunché a Pechino. Per l’ambasciatore Kohno, la questione è soprattutto di diritto internazionale: “La situazione delle Senkaku non si esaurisce in una ‘controversia intorno a degli isolotti’ fra Giappone e Cina. Desidero che anche l’Italia si renda conto del fatto che, se si permette di modificare lo status quo non tramite lo stato di diritto e il dialogo, bensì mediante l’uso della forza, c’è il rischio di gravi ripercussioni anche sulla stessa stabilità della società internazionale”.

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  3. La storia del Giappone è strettamente legata a quella del trono del Crisantemo. Ma qual è oggi il rapporto dei giapponesi con l’imperatore? “Come stabilito dalla Costituzione, l’Imperatore è ‘l’emblema dell’unione del Giappone e del popolo giapponese’. L’attuale Imperatore ha compiuto 80 anni a dicembre ma svolge con zelo la sua missione, coltiva rapporti d’amicizia con gli altri paesi, e insieme all’Imperatrice gode di profonda stima e rispetto tra la popolazione”, spiega Kohno. “Anche in occasione del Grande terremoto del Giappone orientale del 2011, le parole dell’Imperatore e la sua visita nelle zone colpite dal disastro hanno rappresentato un notevole incoraggiamento per la nazione”.

    Is Japan back?
    L’andamento del Giappone nei mercati nell’ultimo anno è stato tendenzialmente positivo – a eccezione della giornata di ieri, con l’indice Nikkei a -4,18 per cento. Quali sono le riforme che si aspetta da Shinzo Abe? “L’Abenomics punta a un’economia forte e in continua crescita, che crei innovazione e nuove imprese, e che estenda impiego e reddito”, dice l’ambasciatore. “La ripresa economica e l’uscita dalla lunga fase di deflazione sono le massime priorità del governo Abe. Anche i mercati hanno recepito questa volontà, e l’indice Nikkei 225 è aumentato di oltre il 50 per cento rispetto all’anno precedente l’istituzione del governo. Abe ha deciso di affrontare grandi riforme che erano state considerate per molto tempo ‘impossibili’, ha chiarito la sua determinazione a diventare una lama perforante in grado di rompere la base rocciosa degli interessi acquisiti”. Come ha spiegato a Davos, “d’ora in poi il Giappone diventerà un paese in cui sarà più facile lavorare sia per le ditte sia per le persone straniere. Si sta facendo in modo di creare opportunità in cui le donne possano brillare. Continuano gli accordi Tpp e gli Epa tra Giappone e Ue e si sta rivedendo il portafoglio del fondo per le pensioni, 1.200 miliardi di dollari da investire nella crescita. Attraverso questi sforzi si vogliono raddoppiare gli investimenti diretti interni entro il 2020. Di tali miglioramenti probabilmente stanno prendendo coscienza anche i cittadini”.

    FOGLIO QUOTIDIANO
    di Giulia Pompili – giuliapompili

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  4. Tokyo chiede al mondo di ricordare il sacrificio dei suoi giovani “kamikaze”
    di Antonio Pannullo/mer 5 febbraio 2014/18:27

    Esteri
    Minami-Kyushuè un comune nell’estremo sud del Giappone. Nel territorio comunale c’è il Museo della Pace Chiran, che si trova in un sito dal quale decollavano le unità speciali di attacco, passate alla storia con il nome di kamikaze, Vento Divino. In Giappone ci sono decine di musei e monumenti dedicati ai combattenti della Seconda Guerra Mondiale. Ora, questo comune ha inviato all’Unesco una documentazione per chiedere di inserire l’epopea dei kamikaze nel progetto Memoria del Mondo. A questo progetto ogni nazione può presentare al massimo due domande ogni due anni, per includere un aspetto della storia particolarmente significativo per la memoria. A questo scopo, le autorità hanno inviato all’ufficio dell’Unesco 333 lettere, diari e altri oggetti dei giovani piloti indirizzate alle loro famiglie, dalle quali traspare l’amore sincero per l’imperatore, per il Giappone e per il loro popolo. L’iniziativa ha causato qualche mal di pancia, soprattutto in Cina, dove i rapporti con Tokyo non sono mai stati idilliaci. Adesso, poi, c’è anche la questione dell’arcipelago conteso delle isole Senkaku, che avvelena ulteriormente i rapporti. La richiesta, da parte di un Paese che ha sempre avuto un forte senso identitario, non è scandalosa come si vorrebbe far credere. Molti sono stati i soldati di ogni esercito che in qualche modo si sono sacrificati per i loro compagni, per le loro famiglie, anche se i gesti non hanno mai assunto la caratteristica di organizzazione delle unità speciali di attacco giapponesi. Il primo kamikaze, forse, fu il nostro Pietro Micca, che nel 1706 a Torino fece saltare l’esplosivo contenuto in una galleria per fermare gli invasori francesi. E anche a lui sono dedicati monumenti e lapidi, soprattutto in Piemonte. Per restare in Italia, un attacco suicida fu effettuato da Giovanni Boscutti, pilota della Repubblica Sociale, che nel marzo 1944 si alzò in volo insieme con un altro pugno di velivoli per contrastare 300 fortezze volanti “alleate” che stavano per effettuare un bombardamento a tappeto su Padova. Boscutti e altri si immolarono, si sacrificarono, ma la popolazione della città veneta fu salva, almeno per quel giorno. La caratteristica dei kamikaze, però, a differenza degli epigoni odierni, è che gli “Zero” del Sol Levante si abbattevano solo su navi e mezzi militari del nemico, che invece quando fu il suo turno non si fece scrupolo di calcinare intere città abitate, ovviamente, da civili. L’istituzione dei kamikaze a ottobre compirà settant’anni, e il Giappone spera di celebrarla facendo in modo che il mondo ricordi anche il sacrificio di questi giovani ventenni vestiti di bianco.

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  5. richiesta parte da minami-kyushu dove venivano addestrati
    Giappone, le ultime lettere dei kamikaze
    «Mamma, ricorda che non ho pianto»
    Tokyo chiede che vengano inserire nella «Memoria del Mondo», programma dell’Unesco. La Cina è sdegnata

    PECHINO - Le ultime lettere dei piloti kamikaze che alla fine della Seconda guerra mondiale si lanciarono con i loro aerei contro le navi della flotta Usa e alleata dovrebbero entrare nella Memoria del Mondo, il programma che registra le testimonianze di valori universali e fa capo all’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Almeno questa è la richiesta partita dalla città giapponese di Minami-Kyushu, dove venivano addestrati i giovani piloti votati alla morte.

    «CARA MAMMA» Le autorità locali hanno inviato all’Unesco 333 lettere di kamikaze, scritte prima dell’ultima missione. Eccone un brano: «Cara mamma, non ho quasi niente da dire ora. Sto partendo per la mia missione con il sorriso e il tuo volto in mente. Ti prego, ricorda che non ho pianto e rammenta di fare le offerte votive in mia memoria». L’autore aveva 19 anni, si chiamava Fujio Wakamatsu. La sua lettera, fa parte di una raccolta conservata nel Museo della Pace Chiran di Minami-Kyushu. Il sindaco della città giapponese dice che il riconoscimento da parte dell’Unesco servirebbe a ricordare alla gente l’orrore della guerra. La petizione all’Unesco è stata chiamata «Lettere da Chiran». Nel museo situato in una delle ex basi da cui decollavano i piloti della «squadra speciale di attacco», sono raccolti circa 14 mila reperti, tra disegni, poesie e messaggi d’addio, comprese le foto di 1.036 dei 4 mila piloti che partirono per missioni suicide nei mesi finali della guerra nel Pacifico. Il museo Chiran è visitato da circa 700 mila persone ogni anno.

    VITTIME DEGLI ORDINI- Il sindaco Kanpei Shimoide ha detto all’ Asahi Shinbun: «Nel 2015 saranno passati settant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, includendo nella Memoria del Mondo queste 333 lettere potremmo trasmettere a un numero molto più ampio di persone le vere voci e i sentimenti di quei piloti, che furono vittime della politica bellica del Giappone».

    VENTO DIVINO - Kamikaze, tradotto comunemente come vento divino, fu la tattica disperata ordinata dal comando dell’esercito imperiale giapponese nell’ottobre del 1944. Si trattava di bombe volanti, aerei caricati con esplosivo, bombe e siluri che si dovevano lanciare contro le navi alleate. Essendo pilotati avevano una precisione potenziale molto più elevata di un bombardamento. La prima azione della «squadra speciale di attacco» kamikaze fu condotta il 25 ottobre del 1944, durante la battaglia per Leyte, nelle Filippine. Gli apparecchi giapponesi arrivarono a ondate, alla fine furono 55, diversi furono colpiti dalla contraerea, ma molti riuscirono a colpire le unità della flotta d’invasione alleata: 5 furono affondate e 23 gravemente danneggiate. In totale, secondo i registri alleati, fino al termine della guerra i kamikaze giapponesi affondarono 47 navi alleate, tra grandi e piccole.

    LA POLEMICA - La richiesta giapponese ha subito suscitato reazioni sdegnate in Asia, in una fase di grandi tensioni per rivendicazioni territoriali da parte cinese, rancori storici di Pechino e Seul nei confronti di Tokyo. L’agenzia cinese China News Services ha scritto: «Di questo passo i giapponesi vorranno che l’Onu onori anche lo Yasuhuni, dove sono seppelliti 14 criminali di guerra. È una vergogna».

    05 febbraio 2014

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