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domenica 23 febbraio 2014

217) CHE BUFFONATA!

RENZI, FORTE DELLA SUA POSIZIONE DA SEGRETARIO PD, CON L’ASSENSO DEGLI ALLEATI DI CENTRODESTRA AFFAMATI DI POTERE E SENZA AVER RICEVUTO IL MANDATO POPOLARE, LICENZIA LETTA E NE PRENDE IL SUO POSTO. LE SUE RECENTI DICHIARAZIONI E RASSICURAZIONI SI SONO RILEVATE DELLE GRAN MENZOGNE. L’AVEVO SEMPRE DETTO CHE ERA UN AMBIZIOSO ARRIVISTA SENZA SCRUPOLI.



Negli ultimi tempi ho cercato di evitare di parlare di politica italiana perché ormai il tutto era ridotto ad un vero disgusto. Il recente cambio della guardia a Palazzo Chigi è la conferma che ormai la democrazia è morta. Poteva andarmi bene un governo di emergenza, come lo era quello guidato da Enrico Letta, al fine di evitare di tornare immediatamente alle urne e sbrigare in pochi mesi le urgenze della nazione; il governo di Renzi non mi va affatto bene. Prima di tutto lo stesso non può proporre un governo di legislatura ora che al timone c’è lui, quando con Letta imponeva un patto di quindici mesi per poi tornare al voto; si trattava di una menzogna, come molte altre cose uscite dalla sua bocca: “non ci interessano rimpasti, rimpastini e staffette, roba da Prima Repubblica!”; “non farò mai il segretario Pd per destabilizzare Letta!”; “mai più larghe intese!”; “andrò al governo dopo aver vinto le elezioni!”.

Io avevo captato subito che tipo era, sin da quando lo vidi per la prima volta da candidato sindaco di Firenze in un programma televisivo e mi capitò di parlarne agli esordi di questo blog [14) L’IMPORTANTE È CHE LEGGANO del 20 maggio 2009]: Non mi fece una buona impressione il trentaquattrenne candidato sindaco di Firenze Matteo Renzi in un programma televisivo: il giovane cresciuto con i cartoni animati e tutto Facebook; un quaquaraquà mi sembrò (un chiacchierone), tipo Lotito il presidente della Lazio.”

Allora vinse a sorpresa le primarie per la disputa della poltrona di sindaco della propria città, probabilmente ubriacando di chiacchiere i suoi concittadini del suo partito ed iniziò la sua scalata. Una volta eletto sindaco, invece di lavorare e concentrarsi totalmente per Firenze, sfruttò tale posizione per farsi notare e conoscere sempre di più all’interno della sua parte politica: attese uno ad uno la caduta dei dirigenti più noti per farsi largo e divenuto segretario del Partito Democratico al potere, gli si spalancarono le porte della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha colto l’attimo fuggente: evidentemente col voto non era così sicuro di raggiungere Palazzo Chigi. Il suo prossimo obiettivo sarà la Presidenza della Repubblica, sempre che non si bruci in pochi mesi e gli succederà un altro governicchio da Prima Repubblica, come il suo in mano ai poteri forti nazionali, alla Germania, alla Ue; in quel caso tornerà a fare il sindaco, facendo sfiduciare il suo successore a Firenze.
Alfano avrebbe potuto bloccarlo, minacciandolo col voto anticipato, non l’ha fatto perché il suo “Nuovo Centrodestra” è in caduta libera e ha temuto di finire come “Futuro e Libertà per l’Italia”; in secondo luogo i componenti del suo partito non hanno voglia di mollare le poltrone. Le riforme che vuol portare avanti questo nuovo governo avrebbe potuto tranquillamente gestirle quello vecchio.

Oggi ripropongono ciò che il governo Berlusconi produsse nel 2006 e che le sinistre fecero bocciare con il referendum: riduzione del numero dei parlamentari, fine del bicameralismo perfetto, maggiori poteri agli enti locali, eccetera. Ora la riforma elettorale non rientra più tra le priorità, lo credo bene: per rinviare il più possibile le elezioni! Personalmente non tollero l’introduzione di quote fisse distinte per sesso: al momento non c’è nessuna quota e volendo in una lista potrebbero essere presentate esclusivamente donne o al contrario esclusivamente uomini. Fanno solo un gran baccano per farsi belli con la storia della parità tra sessi e in questo modo avviene che si danno incarichi a chi non ha competenze solo per sbandierare l’uguaglianza di sesso, oppure di razza: basta guardare il caso della Kyenge, scelta nel Governo Letta solo perché di colore. Bisogna selezionare in base alla bravura: senza vietare a una donna di occuparsi di politica ma se ci sono più uomini che donne portati è giusto che sia così. Gli stessi problemi si verificano in tanti altri mestieri, dove è una questione di potenza, di testosterone, perciò sino a qualche anno fa tipicamente maschili.

In ultima cosa, questo avvicendamento di governo e la riabilitazione di Berlusconi da parte di Renzi per collaborare alle riforme, causerà ancor di più l’implosione del Partito Democratico.

domenica 16 febbraio 2014

216) BLOG SI, BLOG NO

I VANTAGGI E GLI SVANTAGGI NEL PORTARE AVANTI IL BLOG NEI DIVERSI PERIODI (DI DISOCCUPAZIONE E DI LAVORO), TRA LE SOLITE CRITICHE E I CONSUETI MALUMORI.



Per alcuni alla lunga potrebbe cominciare ad essere pesante portare avanti un blog, mentre altri continuano a scrivere a tutto spiano come se nulla fosse. Dipende dagli impegni familiari, lavorativi e sportivi che uno ha: chi ci tiene riesce ad organizzarsi ed a trovare dei ritagli nel corso delle giornate che sono maggiori nei giorni di riposo e va avanti per lungo tempo, c’è poi chi alza bandiera bianca quando iniziano a sopraggiungere molti impegni primari, a differenza del tempo libero di cui disponeva quando aveva iniziato ad occuparsi di un blog su internet.

Quando un individuo ha poco o nulla da fare la mente è più libera e più riposata per pensare, come direbbero le molte malelingue e in un certo senso hanno pure ragione: soltanto a loro cosa importa e cosa cambia se uno si occupa di argomenti di pubblico dominio o impiega il tempo in altri modi? Allora cosa dire di tutti gli altri che si espongono pubblicamente? Se la mettono su quel piano anche per un anziano pensionato o per un giovane disoccupato lo sparlare degli altri può essere considerato un sintomo del dolce far niente. Purtroppo io ho questo carattere: molte volte mi rode che ad alcuni rode di me e delle mie cose, quando invece dovrei essere superiore e fregarmene di tutto e di tutti. Spesso anziché rispondere alle critiche formulate si preferisce guardare ed attaccare sul piano personale: ciò avviene nell’oscurità negli ambiti minori, di paese, e in maniera colossale a livello nazionale. Chiunque sceglie di esporsi ne paga le conseguenze: così è stato per me che sono uscito dall’anonimato dapprima su un foglio locale e successivamente sulle reti informatiche; se fossi rimasto nell’ombra nessuno avrebbe mai badato a quello che avrei fatto, tranne la ristretta cerchia dei parenti e dei conoscenti, al massimo mi limiterei a condividere con essi dei piccoli pensieri sul pubblico e sul privato su Facebook o su Twitter.

Devo dire che il mio ritmo nel pubblicare è rimasto invariato sin dall’inizio: non è che nei periodi di disoccupazione abbia pubblicato di più rispetto ai periodi di lavoro. Esporre le proprie idee teoricamente non dovrebbe comportare ripercussioni in qualunque ambito lavorativo: l’importante è farlo nel rispetto delle leggi vigenti. Nel corso del tempo sono maturate delle differenze nell’entusiasmo e nella volontà di portare avanti questo blog: in entrambi i casi ce n’erano molto di più agli inizi, oggi dopo cinque anni mi sono spremuto abbastanza e la stanchezza si fa sentire. Mai avverrebbe che qualcuno si renda disoccupato volontariamente per avere più tempo libero a disposizione, tuttavia c’è bisogno di sforzarsi e continuare ancora per un po’, a dimostrazione che anche con degli altri impegni si trova il tempo per colorare il sito. Ci sono delle occasioni in cui si può evitare il contatto con gli altri e delle altre più imbarazzanti dove non si può scappare. E pensare che basterebbe così poco: ovvero non entrare più qui e tutto si risolverebbe.

martedì 11 febbraio 2014

215) GLI SFREGI AI MARTIRI DELLE FOIBE

A DIECI ANNI DI DISTANZA DALL’ISTITUZIONE DELLA GIORNATA DEL RICORDO PER LE FOIBE, SI FA DI TUTTO PER NON RICORDARE E TORNARE ALL’OBLIO.




Il massacro delle foibe, per lungo tempo occultato, da una ventina d’anni è divenuto di dominio pubblico, nel giusto contesto di un sano revisionismo storico. Tra il 1943 ed il 1945 si stima che oltre 10.000 italiani delle terre dalmate – istriane siano stati uccisi e poi gettati in degli inghiottitoi carsici. A seguito dell’annessione dell’Istria alla Jugoslavia oltre mezzo milione di abitanti italiani lasciarono la loro terra per sfuggire alla pulizia etnica. Le violenze dei partigiani jugoslavi di Tito non guardavano in faccia nessuno, senza distinzione di età, di sesso, di opinione politica, si salvarono soltanto i compiacenti partigiani comunisti italiani. I profughi istriani che arrivavano nelle maggiori città italiane non erano visti di buon occhio: furono aiutati a condizione di tacere su tutto quello che avevano vissuto. Dopo il 1945 per decenni ci fu un silenzio totale sul dramma delle Foibe; soltanto all’inizio degli anni ’90 si cominciarono a diffondere quelle notizie sotterrate per lungo tempo, sino ad istituire nel 2004 la giornata del ricordo, che ricade ogni 10 febbraio.
 



Oggi non a tutti piace ricordare, si avvisano dei crescenti segnali di malumore e di sfregio verso quelle vittime, considerate di Serie B, da parte del popolo e da qualche politico: i viaggi della memoria nell’Istria sono stati cancellati dal sempre più fazioso neosindaco di Roma, la rappresentazione di Simone Cristicchi “Magazzino 18” viene spesso contestata dal pubblico e snobbata dalle televisioni e i monumenti che ricordano i massacri vengono sfregiati sempre frequentemente. Anche dall’altra parte le vittime della Shoah sono continuamente sfregiate e ne viene offesa la memoria; noi condanniamo senza appello, così come per tutti gli altri eccidi nazifascisti. Bisogna mettere tutte sullo stesso piano le vittime della follia umana di tutte le epoche e in tutto il mondo.

domenica 9 febbraio 2014

214) UN LIBRO DI GIAMPAOLO PANSA

Così il Pci scatenò il terrore per impadronirsi del Paese

In "Bella ciao" Giampaolo Pansa racconta la strategia delle Brigate Garibaldi per sterminare i fascisti. E non solo

Giampaolo Pansa - Ven, 07/02/2014 - 08:34

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto da Bella Ciao. Controstoria della Resistenza (Rizzoli, pagg. 430, euro 19,90; in libreria dal 12 febbraio) di Giampaolo Pansa. Nel saggio Pansa ricostruisce con dovizia di particolari il ruolo del PCI all'interno della guerra civile che ha insanguinato l'Italia dall'8 settembre del '43 sino al 25 aprile del '45 (anche se in molti casi le violenze si sono trascinate ben oltre).
Il giornalista documenta come i comunisti si battessero per obiettivi ben diversi da quelli di chi lottava per la democrazia. La guerra contro tedeschi e fascisti era soltanto il primo tempo di una rivoluzione destinata a fondare una dittatura filosovietica. Pansa racconta come i capi delle brigate Garibaldi abbiano tentato di realizzare questo disegno autoritario. Ricostruisce il cammino delle bande guidate da Luigi Longo e da Pietro Secchia sino dall'agosto 1943. Poi le prime azioni terroristiche dei Gap, l'omicidio di capi partigiani ostili al Pci, il cinismo nel provocare le rappresaglie nemiche, ritenute il passaggio obbligato per allargare l'incendio della guerra civile.
A distanza di tanti decenni colpisce sempre la strategia messa in atto dai militanti del Pci. In molti luoghi dell'Italia del Nord e del Centro, senza strutture apposite, comandi riconosciuti, progetti elaborati, basi predisposte. All'inizio tutto avvenne per iniziativa di singoli militanti, a volte sconosciuti anche ai dirigenti comunisti periferici. Fu così che si mise in moto un'offensiva fondata su uno schema semplice e terribile. Lo schema può essere riassunto nel modo seguente. Un attentato, una rappresaglia nemica. Un nuovo attentato, una nuova rappresaglia più dura. Un terzo attentato, una terza rappresaglia ancora più aspra. E così via, con una catena senza fine che aveva un solo risultato: allargare l'incendio della guerra civile e spingere alla lotta pure chi ne voleva restare lontano. Scriverà Giorgio Bocca: «Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell'occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Cerca la punizione per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell'odio».
Ecco qual era la strategia dei Gruppi di azione patriottica, i Gap. Fondati verso la fine del 1943 per iniziativa del Comando generale della Brigate Garibaldi, ossia di Longo e di Secchia. Uno degli spagnoli, Francesco Scotti, poi raccontò: «Qualche compagno sosteneva che non era giusto scatenare il terrore individuale, perché questo era contrario ai principi marxisti leninisti. Anche in Francia avevo ascoltato critiche di questo genere».
Aderire alla strategia dei Gap, anche soltanto sul terreno del consenso politico, era difficile per molti iscritti al Pci clandestino. Gente semplice e coraggiosa che rischiava l'arresto perché aveva in tasca una tessera o partecipava a una raccolta di denaro per i primi nuclei ribelli. Ma trovare dei compagni disposti a sparare alla schiena di un avversario, e a sangue freddo, risultava un'impresa davvero ardua. [...]
Il vertice delle Garibaldi non perdeva tempo a strologare su queste esitazioni. Voleva vedere subito dei morti nelle strade. Secchia incitava ad agire «contro le cose e le persone» dei fascisti. Le azioni non venivano quasi mai rivendicate. E questo accentuava la paura seminata dalle molte uccisioni.
Pochi si rendevano conto che i Gap erano piccoli nuclei armati, composti soltanto da militanti comunisti, clandestini nella clandestinità, capaci di vivere nell'isolamento più totale. Una solitudine in grado di mettere a dura prova la resistenza nervosa anche del più freddo terrorista.
In realtà i gappisti veri e propri, quelli professionali e in servizio permanente, erano una frazione davvero minuscola rispetto ai tanti comunisti che iniziarono a sparare quasi subito contro i fascisti.
Gli omicidi di dirigenti del nuovo Partito fascista repubblicano, di solito segretari federali, vennero preparati e compiuti da terroristi dei Gap. Ma gli altri delitti, ben più numerosi, furono il risultato di iniziative decise da singoli militanti, decine e decine di volontari, senza nessun rapporto con il vertice delle Garibaldi. Erano pronti a sparare e a uccidere, sulla base di una tacita parola d'ordine diffusa da nessuno.
Ecco qualche esempio di queste azioni, di solito destinate a non entrare nella storia della guerra civile. Il 5 novembre 1943, a Imola, venne ucciso il seniore della Milizia Fernando Barani. Il 6 novembre, a Medicina, sempre in provincia di Bologna, furono accoppati quattro fascisti. Il 7 novembre, a San Godenzo (Firenze) altri quattro fascisti caddero sotto le rivoltellate di sconosciuti.In seguito Giorgio Pisanò scrisse che questo attentato era stato compiuto da un gruppo guidato dal meccanico Alessandro Sinigaglia, poi capo dei Gap fiorentini. Anche lui uno spagnolo reduce da Ventotene, perse la vita nel febbraio 1944 in una sparatoria.
Nel Reggiano, dopo la fine del Tirelli, si cercò di accoppare il commissario della nuova federazione fascista, l'avvocato Giuseppe Scolari. Era l'imbrunire del 13 novembre e l'attentato fallì. Andò a segno il terzo colpo, messo in atto il 17 dicembre. L'obiettivo era Giovanni Fagiani, cinquantenne, seniore della Milizia e già comandante della 79ª Legione. Abitava nel comune di Cavriago e stava ritornando a casa in bicicletta. Era in compagnia della figlia Vera, 19 anni, che pedalava accanto a lui. In località Prati Vecchi, il seniore venne affrontato da due ciclisti, in apparenza contadini avvolti nel tabarro per difendersi dall'umidità invernale. Gli spararono e lo uccisero. Mentre Vera si gettava sul padre, tirarono anche su di lei e la colpirono al volto. La ragazza sopravvisse, ma rimase cieca.
A Genova il gruppo di Buranello, ormai divenuto il Gap della capitale ligure, il 27 novembre 1943 cercò di intervenire in appoggio agli operai meccanici e ai tranvieri scesi in sciopero. L'agitazione era stata indetta dal Pci per adeguare il salario al carovita e ottenere l'aumento della quantità di alcuni generi alimentari tesserati. Ma l'aiuto si limitò a un paio di attentati contro i tralicci dell'alta tensione. Più pesante fu l'intervento in occasione del nuovo sciopero deciso tra il 16 e il 20 dicembre. Due fascisti vennero uccisi, forse dai Gap o da altri. Per reazione, le autorità repubblicane fucilarono due operai già in carcere perché trovati in possesso di armi mentre tentavano di sabotare dei tram. La rappresaglia, resa pubblica il 20 dicembre, fece terminare subito l'agitazione.