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domenica 27 settembre 2020

453) RFERERENDUM E REGIONALI 2020


SCONTATA E PREVEDIBILE VITTORIA DEL SI AL REFERENDUM COSTITUZIONALE. ALLE REGIONALI IL CENTRODESTRA NON VA MALE MA NON RIESCE LA SPALLATA AL GOVERNO. CROLLO DEL M5S.

Com'era prevedibile al referendum costituzionale per la riduzione dei parlamentari il sì ha vinto nettamente con circa il 70%. Gli elettori non si sono lasciati rigirare dai vari dai vecchi dinosauri della politica, e da alcuni politici voltagabbana, che andando contro le direttive dei loro partiti, invitavano a votare no: la loro principale preoccupazione non era il taglio della democrazia, ma il vedersi ridurre le probabilità di mantenere le poltrone. Così, dalla prossima legislatura, il parlamento avrà 400 deputati e 200 senatori: un numero più che sufficiente, in linea con le altre nazioni, alcune delle quali più popolose della nostra. È stato un primo passo, il prossimo possibilmente dovrà essere superare il bicameralismo perfetto, cioè destinare le due camere a delle funzioni diverse. Già ci provarono due volte a riformare le funzioni della Camera e del Senato, nel 2006 e nel 2016, ed entrambe le riforme fallirono, sempre coi referendum. La modifica costituzionale del 2006 era senza dubbio migliore di quella del 2016. Se in futuro su questo tema ci sarà ampia convergenza tra i partiti, di maggioranza e di opposizione, lo scoglio referendario verrà superato agevolmente. Intanto bisognerà velocemente fare una legge elettorale attinente al nuovo numero dei parlamentari; velocemente perché, non si sa mai, potrebbero arrivare le elezioni anticipate.

Per ora il governo presieduto da Giuseppe Conte e composto da M5S e Pd tiene e non c’è stata quella spallata che tutti avevano previsto, con la schiacciante vittoria del centrodestra nelle sette regioni dove si sono tenute le elezioni per i rinnovi dei consigli regionali. Il risultato finale, escludendo i risultati della Val d’Aosta, dove la Lega comunque è risultato il primo partito, è stato di 3 a 3. Nella sinistra, che temeva un’ecatombe elettorale, si esulta, senza considerare che un’altra loro roccaforte (la regione delle Marche) è caduta. Essi sono riusciti a mantenere la Toscana, la Campania e la Puglia, dove i loro presidenti uscenti hanno staccato di molto gli avversari: motivo per cui considerano queste votazioni una grande vittoria. Ma non guardano alle sconfitte, oltre che nelle Marche, in Liguria e in Veneto: nella terra ligure è miseramente fallita l’alleanza tra sinistra e Cinque Stelle, mentre nel Veneto il governatore uscente è risultato rieletto con il 75% dei consensi, un vero record. In Toscana la partita è stata aperta, mentre in passato non c’era storia, in Campania e in Puglia è stato un errore insistere con dei nomi già ampiamente collaudati. Complessivamente ora il centrodestra, in attesa che si definisca la maggioranza valdostana, governa in 14 regioni su 20, mentre il centrosinistra cinque: non era mai accaduto prima. Cinque anni fa il centrodestra solamente tre regioni governava. Il Movimento Cinque Stelle, nonostante esulti per lo straordinario risultato del referendum, rivendicando la paternità della riforma, è tracollato: essendo ben lontano dai numeri con cui stravinse le ultime elezioni politiche, sarà costretto a stringere alleanze con la sinistra per non sparire politicamente in campo amministrativo, rinnegando la sua natura antipolitica, compresa l’antisinistra.

domenica 20 settembre 2020

452) ANNIVERSARIO DELLA PRESA DI ROMA

CENTOCINQUANT’ANNI FA, A SEGUITO DELLA BRECCIA DI PORTA PIA, ROMA DIVENNE CAPITALE DEL NUOVO STATO ITALIANO E FINÌ IL MILLENARIO POTERE TEMPORALE DEI PAPI.

Il neonato Regno d’Italia, all'inizio degli anni 1860, non sentiva realizzato appieno il processo di unificazione perché Roma ancora non era stata liberata e fatta capitale. La città eterna veniva vista come il cuore ideale della neonata nazione, sia per motivi storici, sia per motivi geografici: era ed è a metà distanza tra nord e sud. Il papa Pio IX, dopo aver perso Romagna, Marche e Umbria, nel 1870 governava soltanto 2/3 dell’odierna Regione Lazio ed era posto da oltre 20 anni sotto la protezione dell’Impero francese di Napoleone III, il quale  dopo aver sconfitto la Repubblica Romana (quando ancora non era imperatore ma Presidente della repubblica), aiutò i piemontesi nel processo di unificazione d’Italia, in cambio di Nizza e Savoia, ma non permetteva che Roma e il Lazio si unissero al neonato Regno d’Italia. Il Governo italiano non intendeva andare in rotta di collisione con Parigi per Roma, per questo fermò ed arrestò più volte Garibaldi, il quale con dei volontari al seguito, intendeva prendere a tutti i costi la città papalina. Il Re Vittorio Emanuele II si riteneva un fedele cattolico e intendeva proteggere il Papa Pio IX, e il clero in generale, dai molti anticlericali, dai massoni garibaldini e dagli esuli romani, bramosi di vendette, di ritorno a Roma; un po’ gli piangeva il cuore mettersi contro il Papa Pio IX, per realizzare il sogno suo e degli italiani di Roma capitale.

 

Per tranquillizzare la Francia la capitale fu trasferita da Torino a Firenze: il citato trasferimento faceva parte del trattato tra Italia e Francia del settembre 1864, in cui l’Italia si impegnava a non toccare lo Stato Pontificio. Nonostante ciò, il Generale Garibaldi nel 1867 riuscì a penetrare nello Stato della Chiesa, dopo che seppe che c’era stata un’insurrezione fallita ad opera dei Fratelli Cairoli, ma fu sconfitto dagli Zuavi francesi a Mentana che avevano i nuovi fucili a tiro rapido Chassepot. A Roma non mancavano rivoluzionari e cospiratori che, quando venivano scoperti venivano ghigliottinati: fu il caso di Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, ritenuti responsabili di un attentato mortale contro gli Zuavi pontifici, e di altri che avevano appoggiato Garibaldi a Mentana. Nel 1869 il Concilio Vaticano I proclamò l’infallibilità del Papa in materia di fede. Roma era allora una città sporca e ciabattona che contava 230.000 abitanti, di cui 50.000 erano disoccupati e 30.000 accattoni, con una Curia e un’aristocrazia sceiccali, e una borghesia di avvocati, notai e appaltatori che formavano il sottogoverno laico della Curia. Splendidi palazzi barocchi erano incastrati in ragnatele di tuguri.

Nel 1870 scoppiò la guerra tra Prussia a Francia e quest’ultima, che non era preparata al conflitto, chiese aiuto all’Italia, ma il Governo italiano pretendeva la cessione di Roma come prezzo dell’intervento e Napoleone III interruppe le trattative. Quando nel settembre 1870 l’Impero francese e Napoleone III decaddero, a seguito della loro sconfitta a Sedan nella guerra contro i prussiani, il presidio militare francese aveva abbandonato Roma, il Governo italiano sentiva mano libera e chiese al papa Pio IX l’avvio dei negoziati per l’annessione di Roma all'Italia, mantenendo il rispetto per la sua figura spirituale. Di fronte al rifiuto opposto dal Pontefice al conte Ponza di San Martino, che aveva tentato di indurlo ad accettare l’invasione e ad avviare trattative con l’Italia, il 12 settembre il generale Cadorna, con al seguito 50.000 soldati e anche cronisti, esuli, curiosi, entrò nel territorio pontificio, avanzò senza incontrare resistenza fino alle porte di Roma, dove giunse il 17 settembre. Dopo un ennesimo tentativo di mediazione compiuto dal ministro prussiano presso la Santa Sede, il conte Arnim, la mattina del 20 l’artiglieria italiana iniziò ad attaccare le mura della capitale pontificia. Aperta una breccia presso Porta Pia, alle ore 10 fanteria e bersaglieri entrarono in città, mentre l’esercito papale alzò bandiera bianca (era desiderio di Pio IX evitare spargimenti di sangue). Alle 14 il generale Cadorna e il generale Kanzler, comandante delle forze pontificie, firmarono la capitolazione. Edmondo De Amicis scrisse: “in Piazza del Quirinale arrivano di corsa i reggimenti, i bersaglieri, la cavalleria. Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta tra i soldati plaudendo”. Il Regio esercito italiano mantenne l’ordine in città, evitando le vendette e il linciaggio degli odiati soldati pontifici, caduti prigionieri e che non incutevano più terrore tra il popolo; solo pochi di essi, che si trovavano in giro da soli, furono uccisi.

Manifesto affisso a Cori il 20 settembre 1870

Il Governo italiano propose al Papa le “Leggi delle guarentigie”, per regolarne i rapporti, il Pontefice le rifiutò, lanciando scomuniche, e proclamandosi prigioniero dello Stato italiano. Il potere temporale dei papi terminava dopo oltre mille anni: da alcuni fu definito l’evento del secolo, anzi no, del millennio. Il 2 ottobre 1870, con un grande plebiscito (40.785 voti favorevoli e 46 contrari), Roma dichiarava la sua annessione all'Italia. Pochi mesi dopo a Firenze si riunì il nuovo parlamento, comprendente i rappresentanti di Roma e del Lazio. Il 2 luglio 1871 il Governo si trasferiva nella Città Eterna, che iniziava la sua nuova vita come Capitale dell’Italia! Le matasse della Questione italiana e della Questione romana, dopo svariati rompicapi italiani ed europei, venivano sbrogliate, anche se ci vorrà il 1929 per la regolarizzazione dei rapporti tra Regno d’Italia e Chiesa Cattolica con un trattato, che sancirà la nascita del minuscolo stato papale della Città del Vaticano.

Fontie parziale: http://www.storico.org/risorgimento_italiano/presa_roma.html