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domenica 19 ottobre 2014

242) BASTA CON GLI ANGLICISMI

SEMPRE PIÙ PAROLE STRANIERE, IN PARTICOLARE INGLESI, INVADONO LA LINGUA ITALIANA: DA NOI LA MODA E IL GLOBALISMO PREVALGONO SULL’ORGOGLIO NAZIONALE. ALLORA SI ABOLISCA L’ITALIANO E SI ADOTTI L’INGLESE COME LINGUA UFFICIALE!


Negli ultimi tempi c’è stata una massiccia immissione di anglicismi nella nostra lingua. Purtroppo nessuno si preoccupa di tutelare e salvaguardare il nostro idioma nazionale, come avviene in altre nazioni: ad esempio in Francia ed in Spagna per ogni parola inglese che entra in uso comune trovano dei termini corrispondenti nelle loro lingue. L’unico popolo di rammolliti siamo noi. L’alto giorno la televisione reclamizzava l’incontro di calcio della nazionale italiana valevole per le qualificazioni al Campionato Europeo e dicevano: “european qualifiers”, anziché “qualificazione per l’Europeo”; con uno scatto d’ira ho cambiato canale. Restando in ambito calcistico Champions League e Confederation Cup sono facilmente traducibili, ma evidentemente non si vuole andare controtendenza e addirittura la Coppa Italia Tim (chiamata Tim per ragioni di sponsor) per essere più fichi sempre di più viene chiamata Tim Cup. Stanno tornando le parole team, coach o trainer, volley, basket, al posto di squadra, allenatore, pallavolo, pallacanestro. I titoli dei film (pellicole o lungometraggi in italiano) americani non li traducono più nella nostra lingua. Invece di dire “facciamo una spuntino durante una pausa” si dice  sempre di più: “mangiamo uno snack durante il break”. I saloni di esposizione divengono gli showroom, le sale conferenze o i centri congressi mutano in room conference o al massimo in sale meeting. Il Welfare sono gli affari sociali, il jobs act sono gli investimenti per il rilancio economico. Non parliamo poi della televisione, dove i termini più ricorrenti anglofoni sono: talk show (trasmissioni o dibattiti politici ed economici), reality show (varietà), fiction (film televisivi), talent show (ricerca dei talenti). Club e weekend fanno parte del comune lessico ed hanno definitivamente soppiantato le parole circolo e fine settimana. In futuro potrebbero fare la stessa fine le parole notizie e nuovo, visto che sempre più spesso si sostituiscono con news e con new.

Ai bambini che nascono, specie ai figli dei personaggi del mondo dello spettacolo, si danno sempre di più i nomi inglesi: sicuramente i genitori pensano che così facendo sono modaioli, più moderni e aperti, avendo dei figli coi nomi esotici. Recentemente a Rocca Massima hanno inaugurato quell’affare che permette di lanciarsi nel vuoto appeso ad un cavo d’acciaio e l’hanno chiamato “Flying in the Sky”: per poter attirare maggiore attenzione e per non essere considerati retrogradi e antiquati, non è convenuto scegliere un nome italiano, come ad esempio “Volo dell’Angelo”; ma questa è una tendenza comune del momento. Nelle scuole questo problema viene affrontato a seconda dei docenti, conservatori o progressisti, che si incontrano: in passato mi è capitato di sentire dei pareri differenti sull’uso dei termini esteri; ad esempio in ambito letterario i primi erano contro il termine flash back e a favore di analessi, mentre i secondi no. Lo tsunami è una specie di maremoto, un fenomeno tipico del sudest asiatico di cui si è sentito parlare per la prima volta dieci anni fa: da allora i maremoti che ci sono in ogni parte del mondo sono gli tsunami; addirittura si sente dire: “lo tsunami che nel 1908 distrusse Messina”, quando per un secolo si è detto: “il maremoto che nel 1908 devastò Messina”. Non solo le parole inglesi entrano nella nostra lingua anche le francesi: chef, clochard, chicane stanno per cuoco (o cuciniere), barbone, tornante (o variante).

Negli anni del Fascismo nessun vocabolo estero riusciva a penetrare nel nostro lessico, inventavano delle alternativa in italiano e qualcuno di quei nomi istituiti ancora si usa: sciacquone (wc), tramezzino (sandwich), mescita (bouvette), acquavite (whisky), malfattore (gangster), rinfresco o tavola fredda (buffet), cornetto (croissant), corriera (autobus), maglione (pullover), autorimessa (garage), autocarro e autoarticolato (camion e tir), termini sportivi, ecc. Altre parole non fanno più parte del nostro linguaggio, come: pallacorda (tennis), tuttochesivede (panorama), spirito d’avena (whisky), sciampagna (champagne), arzente (cognac), alcole (alcol), bevanda arlecchina (cocktail), giovanottiera (garconniere), cesare e cesarina (zar e zarina), giovane esploratore (boys scout), fioreggiare (avere un flirt), vitaiolo (playboy), disco su ghiaccio (hockey su ghiaggio), torpedone (pullman), Buonaria (Buenos Aires), Vosintone (Washington), Luigi Fortebraccio (Louis Amstrong) e molti altri ancora. I toponimi delle località dell’Alto Adige italianizzati in quel periodo ancora oggi sono in uso nell’odierno ambito del bilinguismo: Bressanone (Brixem), Vipiteno (Sterzing), Merano (Meran); in Val d’Aosta invece molti comuni sono tornati ai nomi originali francesi: Courmayeur al posto dell’italiano Cormagliore. I francesi non sono stati da meno nel francesizzare i cognomi italiani e i toponimi delle località del nizzardo. Oggi in ambito informatico ci sarebbero anche dei termini corrispondenti italiani in alternativa a quelli tradizionali, ad esempio: elaboratore elettronico o terminale (computer), cursore (mouse), elaborazione testi (word), foglio elettronico (excel), presentazioni (power point), base di dati (database), reti informatiche (internet) e via dicendo. Alcuni si mettono a ridere se si inventano delle parole italianissime in alternativa agli anglicismi; allora, dando retta a questi, conviene adottare sin da subito l’inglese come lingua ufficiale?

Purtroppo solo in Italia e dintorni è conosciuto l’italiano: questa è la ragione per cui non si sente il desiderio di tutelarlo. Qualche segnale di interesse dall’estero c’è: sempre più stranieri affascinati dalla nostra cultura decidono di apprendere il nostro idioma, così come quelle milioni di persone d’origine italiana sparse per il mondo ed anche i preti stranieri della Santa Romana Chiesa devono impararlo per forza, in previsione di una possibile carriera. La lingua italiana fa parte del concetto di nazione e di orgoglio patriottico (valori che ormai non esistono quasi più) per cui andrebbe salvaguardata e protetta dal soffocamento della terminologia estera. Il nostro linguaggio non è altro che un dialetto come molti altri (il fiorentino o il toscano dei grandi letterati) che ha fatto carriera, unificando linguisticamente l’Italia dalle Alpi alla Sicilia: l’uniformità linguistica avvenne in forma completa dopo la diffusione dei televisori e la scolarizzazione di massa.

1 commento:

  1. L’Italia ha perso tutto. Anche la lingua
    Cristiano Puglisi del 1 gennaio 2015 1 Commento

    Il jobs act è legge, approvato definitivamente dal Senato a inizio dicembre. Bene. O male, a seconda dei punti di vista. Sicuramente però qualcosa di intimamente negativo all’interno del decreto c’è: il nome. Sì, perché la vera rivoluzione di questo decreto è innanzitutto linguistica. La legge delega sul mercato del lavoro è forse il primo decreto votato dal Parlamento italiano con un titolo in una lingua straniera.
    E questo, se vogliamo, la dice lunga sullo stato di salute del nostro (ex) Bel Paese. Il Paese che ha dato i natali alle “tre corone” della letteratura, Dante, Petrarca e Boccaccio, ai grandi autori del rinascimento, ai Verga, ai D’Annunzio che scrive le leggi in una lingua straniera. Orrore? Disgusto? Bestemmia? Per noi forse. Per Matteo Renzi, padre di quella legge, sicuramente no.
    Eh sì, perché al “rottamatore” tutto si può imputare, ma non che non sappia comunicare. E lui quello sa farlo bene e sa quindi anche chi è il suo pubblico di riferimento, il suo elettorato reale e potenziale. Un pubblico per cui l’autore della Commedia non varrà mai quanto uno Steve Jobs e un libro di letteratura mai quanto un iPhone. E attenzione, qui non si sta generalizzando, non si sta dicendo che tutti gli italiani siano ignoranti. Anzi, è proprio quello il dramma. Non è nelle case popolari che circolano queste idee. No, questo è un mito che va sfatato. E’ tra i figli della borghesia colta delle grandi città che si diffonde il verbo anglofono. Il pensiero unico totalizzante del primato dell’inglese e della civiltà anglosassone sul resto del mondo.
    E’ un’idea che valica i semplici confini linguistici per andare a costituire un’intera weltanschaung, una visione del mondo, che vuole, oltre all’utilizzo della lingua dei dominatori, anche il primato del quantitativo sul qualitativo, dei file in excel sui file di word, della tecnica sugli ideali. Il sociologo Georg Ritzer parlava di “Mcdonaldizzazione” della società. Eccola, è arrivata. La frenesia per cui tutto debba essere misurato, quantificato, monetizzato, tipica della cultura di marca angloamericana. Una cultura nata dalla fusione dell’illuminismo laicista e scientista di fine ‘700 e dell’idea protestante e calvinista del lavoro.
    Di fronte a tutto questo “splendore” anglo-modernista, la lingua e la cultura italiana se ne vanno in soffitta, con buona pace dell’idealismo gentiliano. Un frutto, anche questo, dell’assenza di sovranità, che ha fatto sì che l’Italia sia divenuta in pochi anni un Paese culturalmente ed economicamente colonizzato e felice di esserlo. Un Paese orgoglioso di sedersi di fronte a Mtv sgranocchiando merendine (non diciamo snack per coerenza, ndr) fabbricate da qualche multinazionale, una nazione dove l’andarsene all’estero è divenuto motivo di vanto per i giovani e le loro borghesi famiglie. Un Paese totalmente dimentico del proprio glorioso passato e che ha perso tutto. Anche la lingua.

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