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lunedì 8 dicembre 2014

249) LE ILLUSORIE SERIE TELEVISIVE

LA GENTE SI EMOZIONA, SI COMMUOVE, SOGNA, CON LE SERIE TELEVISIVE DELLA RAI (O DI MEDIASET), SPESSO DIMENTICANDOSI CHE È TUTTA FINZIONE E I PROTAGONISTI SONO DEGLI ATTORI CHE STUDIANO UN COPIONE SCRITTO DA UNO SCENEGGIATORE. LA VITA REALE È DIVERSA DAL CINEMA.



Ogni anno la Rai e Mediaset, le quali detengono quasi un duopolio delle reti televisivi in chiaro presenti in Italia, ci inondano di serie televisive, comunemente dette (anglicizzandole) fiction. Molto spesso gli ambienti che vanno per la maggiore riguardano gli ospedali e la polizia (o i carabinieri), anche gli ambienti religiosi iniziano ad essere gettonati: frequentemente le trame di questi sceneggiati si diramano tra operazioni e indagini, tutto condensato alle vite private (e amorose) dei protagonisti. Ci sono le persone, specialmente le donne adulte e anziane, che seguono questi film televisivi con particolare interesse. Una volta andavano di moda le soap-opera americane tipo Capitol, Quando si ama, Beautiful, Santa Barbara, Sentieri, col gentil sesso che si invaghiva degli attori protagonisti, oggi invece hanno preso il sopravvento queste miniserie. Si commentano le scene trasmesse con frasi tipo:”Hai visto quello cosa ha fatto? Se avesse fatto diversamente sarebbe andata così!”;Se ritornasse il marito e pescasse la moglie con l’amante!”; “Avrebbe potuto vivere se avesse agito diversamente”; “Che magnifico ricevimento con mille invitati!”; eccetera. Tutto si conclude quasi sempre, una volta superati gli intrighi, gli ostacoli, le macchinazioni, con il classico “e vissero felici e contenti”, spesso scappandoci anche la lacrimuccia per gli spettatori d’animo più tenero. Gli attori che recitano con molta intensità, fino a piangere perché lo prevede il copione, hanno appunto il compito di rendere partecipi gli spettatori fino a commuovere anch’essi. A dire la verità i finali sono molto spesso prevedibili e scontati, qualche volta questi sceneggiatori potrebbero inventarsi qualcosa di meglio per rendere le storie più simili al mondo reale, dove non sono sempre rose e fiori. Delle volte se uno ci pensa bene si rende conto delle assurdità trasmesse a ripetizione: ad esempio in Don Matteo, il prete che dà involontariamente una mano agli imbranati carabinieri a risolvere i casi, è impensabile che avvengano tutti quegli omicidi in dei tranquillissimi paesi umbri e sempre dove è presente quel prete; avrebbero potuto ambientarlo in una grande città, oppure in Sicilia, in Calabria, in Campania. Una delle serie poliziesche più azzeccate secondo me è L’Ispettore Derrick: ambientato in una metropoli come Monaco di Baviera, giova un ruolo determinante il fattore psicologico nel risolvere le indagini da parte dell’ispettore, il quale arriva riflettendo alle soluzioni più improbabili ma veritiere, riesce a capire se i testimoni mentono o dicono la verità, li persuade con metodi cordiali nel farli ravvedere o nel far loro provare rimorso.  


Guardando queste serie per la Tv si pensa solo alle storie narrate e quasi mai al dietro le quinte che non vediamo e che al teatro invece si vede: luci, telecamere, registi, truccatori, costumisti e chi più né ha più né metta. Il particolare delle volte è importante: il sottofondo musicale appropriato, oppure il dettaglio dell’inquadratura. Chissà quante volte i registi fermeranno gli attori mentre girano le scene per dire che non va bene perché bisogna arrabbiarsi, disperarsi, stupirsi maggiormente. I protagonisti non hanno neanche bisogno di studiare le battute, metteranno loro davanti una lavagna con tutte le frasi da dire; al teatro è diverso: bisogna studiare in anticipo, comprese le espressioni e i diversi stati d’animo. Gli attori hanno frequentato le scuole di recitazione e di dizione, sono preparati a tutto: al teatro, alla televisione, ai diversi stati d’animo, alla lingua italiana pulita, alle cadenze, agli accenti di molte zone d’Italia e stranieri (non sempre sono convincenti: basta vedere Celentano che interpreta Rugantino o altri film ambientati a Roma e non bisogna essere degli esperti per capire che il suo romanesco non è puro). Non conta solo il talento che fa la differenza nel fare carriera per un attore/per un’attrice, la fanno anche degli altri elementi che preferisco non elencare. La maggioranza della gente comune vede questi attori come sono nella finzione dei film, con altri nomi, con altre vite e non pensa che nella realtà non hanno nessuna caratteristica dei personaggi a cui prestano il loro corpo; essi si godranno la loro bella vita negli esclusivi salotti e circoli, commentando le loro recitazioni e il mondo del cinema, nell’attesa che un importante produttore televisivo o cinematografico li contatti al più presto. Nei lungometraggi storici o sulle narrazioni di vicende realmente accadute è diverso: uno si rende perfettamente conto della differenza tra attori e personaggi dei film; è difficile stabilire solo se gli avvenimenti siano andati effettivamente nella maniera ricostruita. In generale il messaggio lanciato dalle opere cinematografiche è conforme al pensare comune del momento, raramente gli sceneggiatori, i registi e i produttori, che non sempre condividono la morale espressa, vanno controcorrente. Difatti Edoardo De Filippo diceva che gli attori possono recitare bene sul palcoscenico ma nella vita reale si comportano male.

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