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martedì 1 novembre 2011

109) LIBIA: IL CORAGGIO NELLE STORIE DI OGGI E DI IERI

  • La fine del regime di Gheddafi


In Libia dopo sette mesi di guerra l’ultraquarantennale regime del Colonnello Gheddafi è stato abbattuto, lo stesso Colonnello, con alcuni membri della sua famiglia, sono stati linciati e giustiziati dai ribelli. Nel recente passato avevo espresso molte perplessità su quest’operazione militare della Nato, che ha consentito ai rivoltosi di vincere (e quando si sarebbero affermati senza gli aiuti esterni!), e continuo ad averne perché c’è un grosso rischio che le lotte tra le opposte fazioni ed etnie continuino ed i fanatici religiosi alla fine riusciranno a spuntarla, sempre se le nazioni occidentali lo consentiranno. Le suddette nazioni (Francia in testa) già iniziano a presentare il conto al nuovo Consiglio Nazionale provvisorio libico: ciò equivale ad un neocolonialismo, cioè allo sfruttamento di tutte le risorse naturale presenti in Libia, così col tempo l’Italia perderà il ruolo di nazione privilegiata nei rapporti commerciali. La Nato di tutto quello che sta succedendo in Siria però non si cura: evidentemente non ci sono risorse da sfruttare a proprio vantaggio. Il governo italiano aveva sottoscritto un accordo di amicizia col governo libico di Gheddafi: era un accordo vantaggioso per entrambe le parti, la partecipazione dell’Italia agli attacchi in Libia perciò è stata quasi un’infamia. Al Capo del Governo Italiano gli ha pianto il cuore quando ha dovuto cedere alle insistenze degli alleati internazionali e del Capo dello Stato. Non solo l’Italia con i suoi governi di destra aveva delle relazioni con Gheddafi, in passato le avevano avute anche i governi di sinistra e democristiani, fallendo nel trovare degli accordi commerciali e per chiudere le controversie coloniali; ma tutto il mondo, prima che lo scaricasse, invitava ovunque il Colonnello di Tripoli, ben sapendo che era stato la mente di alcuni atti di terrorismo internazionale e di sanguinose repressioni nel suo paese. All’inizio della rivolta se egli non avesse ordinato di sparare sui manifestanti, sarebbe stato costretto alla fuga, a cedere la mano e gli occidentali non gli avrebbero mosso guerra, un po' come è avvenuto in Tunisia e in Egitto. Un merito bisogna riconoscerlo: ha combattuto sino alla fine, evitando la fuga, ed è caduto sul campo; è stato sì nel corso della sua vita un assassino, ma allo stesso tempo un vero combattente. Le macabri immagini della sua esecuzione (una sorta di "Piazzale Loreto" Libico), teletrasmesse in tutto il mondo, hanno persino suscitato pietà e misericordia (per uno come lui). Bisogna elogiare anche i rivoltosi che, per il loro ideale e senza temere la morte, hanno combattuto contro un nemico molto superiore, lo avrebbero fatto anche senza la Nato, al loro grido di guerra: “Allah akbar!” (Dio è grande). Lo stesso Dio di Gheddafi, che il Colonnello ha pregato all’alba del suo ultimo giorno di vita. Il coraggio, quello dei libici, che non tutti i giovani occidentali avrebbero avuto, qualcuno però c’è che lo ha, tra i molti giovani d’oggi con orecchini, scritte e scarabocchi sulle braccia: i militari volontari dei reparti operativi. Alcuni di loro perdono la vita per le loro idee nelle missioni di pace all’estero. Oltre al soldato operativo, il carabiniere, il poliziotto e il finanziere sono dei mestieri che richiedono coraggio, perché non sempre tutto fila liscio.



  • Eroi e martiri d’Italia dimenticati
Rimanendo in tema di Libia e di coraggio, c’è una storia che non viene narrata nelle scuole di oggi; certamente sarebbe stata raccontata nelle scuole degli anni successivi all’Unità d’Italia. Di Cefalonia se ne parla tanto (giustamente), di Giarabub non se ne parla affatto (ingiustamente). Giarabub è una località libica al confine con l’Egitto, nel corso della Seconda guerra Mondiale, qualche tempo prima di El Alamein, si scontrarono italiani e britannici. In questi giorni che si ricordano tutti i defunti e per la ricorrenza delle forze armate del 4 novembre, ricordiamoci anche di loro, che sono stati dimenticati per tanto tempo.






N.B.: per chi volesse leggere l'articolo completo (da dove provengono le notizie che seguono e che ho tagliato per motivi di spazio):


La battaglia di Giarabub è un episodio della seconda guerra mondiale che le nuove generazioni, probabilmente, non hanno mai sentito nominare; ma che, in un Paese normale, dovrebbe essere conosciuto da tutti e insegnato nelle scuole; non per una becera forma di nazionalismo o di militarismo, ma semplicemente per rispetto della verità storica e per rispetto di quei soldati che caddero eroicamente nel compimento del proprio dovere, strappando parole di ammirazione allo stesso nemico. Situata nel deserto della Cirenaica, presso il confine con l'Egitto, a circa 200 km. dalla costa del Mare Mediterraneo, l'oasi di Giarabub costituiva un punto strategico di notevole importanza, difeso da poco più di 2.000 soldati fra Italiani e ascari libici, al comando del colonnello Salvatore Castagna. Dopo che, partendo da Sidi el Barrani, gli Inglesi ebbero lanciato l'offensiva che travolse le nostre difese e respinse il generale Graziani fino alla Tripolitania, la guarnigione di Giarabub, che disponeva solo di pochi pezzi d'artiglieria di piccolo calibro, si trovò isolata, a partire dal settembre del 1940. All'inizio di gennaio gli Inglesi gettarono centinaia di volantini dagli aerei, invitando il presidio alla resa; ma, non avendo ottenuto quanto sperato, iniziarono una serie di durissimi attacchi, che vennero tutti respinti, e che si protrassero fino al 21 marzo 1941, allorché, sopraffatti dal numero e a corto di armi e munizioni, gli ultimi difensori vennero neutralizzati, respingendo fino all'ultimo le offerte di resa. Il colonnello Castagna, ferito, venne fatto prigioniero; le perdite erano state alte da entrambe le parti, a testimonianza dell'accanimento con cui era stata condotta la battaglia, spesso con le bombe a mano e all'arma bianca.

A questo eroico episodio, riportato nel nostro bollettino di guerra numero 288 del 22 marzo 1941, il regista Goffredo Alessandrini decise di ispirarsi per girare un film destinato a ricordare il sacrificio di quei valorosi. Nacque così «Giarabub», che fu realizzato nel 1942, ma che gli Italiani ebbero l'occasione di vedere per poco; sopraggiunta la sconfitta, ragioni politiche consigliarono - a torto, crediamo - di non far circolare troppo questa imbarazzante pellicola, che esaltava la guerra voluta dal fascismo e presentava gli Alleati come i nemici e non come i liberatori, secondo la Vulgata resistenziale e democratica.
Eppure era un bel film, e Goffredo Alessandrini era stato un regista di tutto rispetto; e, quand'anche si vogliano prendere per buone le ragioni che suggerirono una larvata censura della pellicola dopo il 1945 (ma adesso, a sessantaquattro anni dalla fine del conflitto, ci domandiamo perché sia ancora tanto difficile vederla, almeno su qualche rete televisiva), resta il fatto che ragioni puramente artistiche consiglierebbero di non tenere nascosta un'opera che fa onore alla miglior tradizione del nostro cinema.
Alessandrini aveva chiamato a recitare un gruppo di attori di notevole bravura ed esperienza: Carlo Ninchi (nel ruolo del comandante Castagna), Mario Ferrari, Doris Duranti (nella parte di una prostituta che non si sa se sia un personaggio storico o di fantasia),  Carlo Romano, Annibale Bertone, Vittorio Duse, Carlo Duse, Emilio Cigoli, Erminio Spalla. C'è perfino un giovane Alberto Sordi che interpreta…il tenente Sordi. Un secondo personaggio femminile, una prostituta interpretata da Diana Torrieri, è stata poi soppresso in fase di montaggio, per ragioni che non risultano ben chiare (se queste ragioni erano di tipo morale, perché lasciare la Duranti, in un ruolo del tutto  analogo?).
Sono pagine eloquenti, ove non c'è posto per la retorica, perché questo è stato uno di quei casi in cui la realtà, la realtà della storia, supera la fantasia di scrittori, pittori o registi.
Se un episodio storico del genere avesse visto come protagonisti dei soldati americani, o inglesi, possiamo star certi che nessuno studente di quelle nazioni lo avrebbe ignorato, perché la cultura ufficiale ne avrebbe fatto uno di quegli episodi che scandiscono le pagine di gloria della propria storia nazionale. Il pubblico americano, ad esempio, continua a essere bersagliato da sempre nuove rielaborazioni - letterarie, cinematografiche e televisive - della battaglia di Alamo: forse perché fu uno dei pochissimi casi in cui gli Americani dovettero battersi in condizioni di chiara inferiorità, sia in fatto di uomini che di mezzi.
Ma in Italia, quanti ragazzi sanno che cos'è stata la battaglia di Giarabub?
E quanti appassionati della decima musa hanno potuto vedere e apprezzare, nel nostro ingrato Paese dalla memoria corta, il bel film di Goffredo Alessandrini?
È mai possibile che, al contrario, le nostre sale cinematografiche continuino incessantemente a essere inondate da film americani - quelli sì, scopertamente propagandistici, e raramente riusciti sul piano artistico - dedicati alla battaglia aeronavale di Midway, o al «proditorio» attacco di Pearl Harbour (che in realtà gli aggrediti conoscevano in anticipo, ma avevano bisogno del «casus belli») o allo sbarco in Normandia, o alla battaglia delle Ardenne, con i soliti soldati tedeschi e  giapponesi cattivissimi? E tuttavia, non vogliamo fare un discorso ideologico, ma artistico.
«Giarabub» è un bel film, e per questo merita di essere visto e conosciuto. E quanti non lo vorrebbero ricordare, quelli sì, sono mossi da un pregiudizio ideologico; un pregiudizio meschino, come se, a quasi settant'anni da quelle vicende storiche, non fosse ancora possibile confrontarvisi con animo rasserenato ed equanime.

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