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sabato 24 ottobre 2015

287) ALLE RADICI DELL'ITALIANITÀ

Meglio paesani che multiculturali

Bruno Giurato
(http://ilgiornaleoff.ilgiornale.it/2015/10/24/elogio-delle-culture-locali/)


Un’ enorme riserva di significati, concretezza, varietà e, ultimo ma non ultimo, profondità storica. Sono le culture regionali italiane. Misconosciute per secoli, ridotte al rango di sagra della pajata e macchietta scoreggiona, sono invece la vera vis abdita, la forza nascosta, dell’Italianità. Voghera, lode alla casalinga, è necessaria ad Arbasino non meno dei seminari con Kissinger. La Sicilia serve a Sciascia quanto l’illuminismo francese. La Puglia è necessaria a Carmelo Bene quanto, sommo per sommo, l’esser fiorentino è coessenziale all’Alighieri.

Dio “ci parlerà in dialetto”, secondo il grandissimo e misconosciuto scrittore Giuseppe Marotta da Napoli. E non solo Dio ma anche le etichette della Nutella. Bella e recentissima iniziativa: stampare sui vasetti frasi dialettali, da “anvedi” a “alùra”.  E anche la musica. L’italiano pieno di parole piane è magnifico per le arie d’opera e i ritornelli di Sanremo, quando servono flow e tronche, come per esempio nel rap, ci vuole il dialetto. 


Ma abbiamo voluto dedicare la pagina Off cartacea di questa settimana, con gli articoli di Davide Brullo, Angelo Crespi e di Simonetta Sciandivasci, alla cultura regionale e dialettale, perché questa è, anche, un fantastico veicolo di integrazione: gli studiosi di dialettologia confermano che gli immigrati quasi sempre imparano prima il dialetto del luogo in cui si trovano che l’Italiano.

Altro che la sciocchezza dello ius soli (non si diventa cittadini per nascita ma per cultura), ma soprattutto altro che multiculturalismo, l’atteggiamento istituzionale che deprime simboli, storia, e patrimoni dei paesi che ospitano mentre regala campo libero (e soldi pubblici) a esotismi, a volte non del tutto inoffensivi.

Si impara a diventare italiani del futuro dal “qui e ora” del paesino dove si arriva. E il contrario è una precisamente quella sorta di bovarsimo cognitivo, quella sagra dell’indifferenziato, che dell’identità di un territorio esprime solo una cosa: l’infelicità. 

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