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sabato 30 settembre 2017

366) ARTICOLI INTERESSANTI SU RELIGIONE E PATRIA



Polonia: il rosario 'sui confini della Patria'
Appuntamento di preghiera e speranza fissato per il 7 ottobre

29/09/2017 08:57


Si svolgerà il prossimo 7 ottobre, in Polonia, la manifestazione religiosa “Rosario alle frontiere”, organizzata dai fedeli laici cristiani della Fondazione “Solo Dios Basta”. I cui responsabili hanno spiegato che quel giorno “una catena umana di persone si posizionerà lungo i confini della nazione e reciterà il rosario, per la Polonia e per il mondo intero”. All'iniziativa ha aderito anche la Conferenza episcopale locale: “Chiediamo a tutti i fedeli di partecipare. Preghiamo insieme: clero, persone consacrate e fedeli laici, adulti, giovani e bambini” si legge nella nota dei vescovi polacchi.

La giornata di preghiera (i dettagli sono illustrati nel sito www.rozaniecdogranic.pl) celebra anche il centenario delle apparizioni di Fatima nonché festa della Madonna del Rosario. Tale ricorrenza è stata introdotta dopo la grande battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, quando la flotta della Lega Santa sconfisse quella dell'Impero ottomano salvando l'Europa dall'islamizzazione. Una vittoria che secondo i cristiani oltre al valore dei combattenti è dipesa anche dall'intervento divino, invocato appunto attraverso la recita del rosario. “La preghiera potente del Rosario – si legge nel sito dell'associazione organizzatrice dell'evento - può influenzare il destino della Polonia, dell'Europa e anche del mondo intero”. Oggi come allora.




Una Carta senza amor patrio
Terza e ultima puntata del viaggio nella Costituzione



Di amor patrio non si accenna minimamente nella nostra Costituzione e si può capire la ragione storica contingente: venivamo da una guerra perduta e dall’ubriacatura fascista e nazionalista, da un patriottismo esibito e guerresco, ed eravamo diventati di fatto un paese a sovranità limitata.
Tutto questo impose la sordina all’amor patrio.
Infatti di patria si parla nella Costituzione solo all’art. 52 a proposito della difesa dei confini; un tema per certi versi oggi più urgente che nel passato e per altri superato dopo Schengen e nella società globale. Ma l’idea difensiva della patria non può esaurire l’amor patrio che non si esercita solo in caso di necessità estrema, ma anche in positivo come un legame d’affetto, di identità e di storia.
Sparisce l’amor patrio, la cultura dell’identità italiana e la mazziniana religione della patria; di sacro restano i confini, oggi impunemente violati, e la difesa in caso di pericolo. La nostra Costituzione è troppo recente per fondare l’amor patrio e troppo vecchia per essere immutabile col nuovo millennio e a 70 anni dalla nascita.
La Costituzione non è immodificabile nel nome di una visione teologica della Carta, che Ciampi definì la nostra Bibbia laica; ogni Carta è figlia del suo tempo e nella nostra carta c’è tutto il sapore del Novecento, delle sue ideologie, dei suoi conflitti, del suo linguaggio.
Oggi per esempio difficilmente si esordirebbe dicendo che la nostra è una repubblica “fondata sul lavoro”, considerando che un’affermazione del genere non riguarda più l’assoluta maggioranza degli italiani. È un’asserzione nobile e significativa ma non è universalmente rappresentativa, se si considera che il prolungamento dell’età media e dell’età giovanile, più i flussi migratori hanno reso il nostro paese abitato in maggioranza da cittadini che non lavorano più o non lavorano ancora.
Meglio sarebbe in linea di principio stabilire che la nostra è una repubblica fondata sul rispetto della persona e della comunità, mediante i diritti e i doveri di ciascuno e di tutti, e dunque la libertà, il lavoro e la dignità dei suoi cittadini.
E sarebbe opportuno esplicitare nella Costituzione l’amor patrio e fondare la nostra democrazia sul principio di responsabilità personale e comunitaria e sulla finalità del bene comune. Sul piano degli ordinamenti, alcune modifiche ci sono già state, come la modifica del titolo quinto della Costituzione riguardo l’assetto federale.
Non sarebbe affatto inconcepibile se la nostra democrazia si riconfigurasse da repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, come la Francia o gli Stati Uniti. Ipotesi che i padri costituenti non presero allora in considerazione perché uscivamo dall’esperienza di una dittatura e si temeva il risorgere di leadership forti, autoritarie; ma oggi il presidenzialismo sarebbe pienamente legittimo e sacrosanto.
Peraltro c’è una lunga e rispettabile storia di proposte in questo senso: da Pacciardi a Craxi passando per Almirante, e poi il gruppo democristiano di Europa ’70 e il gruppo di Milano guidato da Miglio. Certo, le modifiche della Costituzione vanno fatte con maggioranze qualificate e non semplici, risicate e occasionali, perché devono esprimere una volontà larga, profonda e duratura.
Ma altre modifiche potranno darsi se si considera che siamo oggi nell’Unione Europea, viviamo in una società globale, ci sono i flussi migratori, nuovi scenari e nuovi reati legati alle nuove tecnologie, alla bioetica e alle violazioni della privacy. Senza considerare gli sconfinamenti dei poteri istituzionali.
La Costituzione in Italia non ha né i meriti né le colpe che le vengono attribuite; è rimasta sulla carta, non ha dato frutti, non è stata causa di progressi né di sciagure. Le carte costituzionali, soprattutto nei paesi mediterranei come il nostro, sono cornici, ma nessun’opera d’arte è stata giudicata dalla cornice.
Sono norme, carte da visita, ideologiche e rituali, regolamenti astratti, dichiarazioni di principio e di intenzioni generiche; ma la vita è altrove, la realtà è un’altra cosa, il mondo va per la sua strada.
Il problema vero non è quel documento, utile per capire lo spirito di un’epoca, i valori e i compromessi di una stagione, ma non per rigenerare un paese e dare una prospettiva di vita e di sviluppo.
Il nodo è un altro: dove si è cacciata l’Italia, qual è e dov’è il suo tratto comune, la sua presente e concreta fisionomia, i suoi punti salienti che la distinguono dagli altri paesi e la accomunano al suo interno?
Insomma bisogna avere una visione “laica” e non teologica della Costituzione, considerarla figlia e non madre della storia, dettata dal proprio tempo, dalle sue esigenze e dalle forze prevalenti dell’epoca e non dettata da Dio a Mosè sul Monte Sinai.
Una Costituzione da rispettare, non da imbalsamare e adorare; quindi  modificarla nelle sue parti più deperibili è un modo per rispettarla sul serio, rendendola viva e aderente alla vita di una nazione e al suo avvenire.
E comunque l’anno che verrà prima di essere il 70° della Costituzione sarà il centenario della Vittoria, il 4 novembre 1918. Se fosse quella la priorità, e se meritasse di essere ripristinata almeno per il centenario come festa nazionale solenne?
In fondo è l’unica data condivisa che ricorda l’unità degli italiani.
Se il comune proposito è rifondare l’Italia, il pericolo prioritario da cui dobbiamo salvarla è lo sfascismo trasversale e molecolare che la sta distruggendo. Occorre allora rifondare l’Italia sulla resistenza allo sfascismo imperante e su una vera lotta di liberazione antisfascista.


3 commenti:

  1. Il miracolo
    Antonio Socci: "Il rosario di massa della Polonia contro l'islam. Chiudiamo i confini, ripartirà l'economia"
    9 Ottobre 2017

    Ieri, in Polonia, un milione di persone, assiepate lungo tutti i confini nazionali, hanno recitato insieme un immenso rosario popolare. L'iniziativa - ignorata dal Vaticano - è stata chiamata: «Rosario al confine». Nel Paese di Karol Wojtyla le frontiere sono sentite ancora come importanti: per difenderle sono morti tanti polacchi. Lì le parole «patria» e «identità nazionale» (e quindi interesse nazionale) non sono ritenute «bestemmie», come purtroppo sta accadendo da noi. Lì orientano le scelte dei governi.
    È stata una grande preghiera popolare sui confini spirituali, culturali e materiali della nazione. Il confine spirituale è quello della lotta contro il male per raccogliere l'invito alla conversione della Madonna di Fatima a cento anni da quelle apparizioni. L' iniziativa infatti si richiamava proprio al centenario di Fatima dove risuonò la profezia dell'irrompere del comunismo in Russia e poi della seconda guerra mondiale che stritolò la Polonia fra i due totalitarismi (nazista e comunista). Proprio alla Madonna di Fatima fu tanto legato il grande papa polacco che - insieme al suo popolo - ha avuto un ruolo enorme nel crollo incruento e pacifico del comunismo in tutto l'Est europeo.

    I CONFINI CRISTIANI - L'altro anniversario celebrato dal grande rosario polacco è quello del 7 ottobre 1571: la battaglia di Lepanto che fermò sul mare l'impero ottomano e l'invasione islamica dell'Europa. Fu papa san Pio V, che organizzò la coalizione degli Stati cristiani, a proclamare il 7 ottobre festa di Nostra Signora della Vittoria, poi intitolata alla Madonna del Rosario. È alla sua intercessione infatti che la Chiesa attribuisce la salvezza dell'Europa.
    Un secolo dopo i turchi ci riproveranno via terra e arriveranno fino a Vienna. In quella circostanza a sbaragliare le truppe musulmane, salvando l' Europa dall'islamizzazione, fu proprio il re polacco Giovanni III Sobieski. Perciò quei confini su cui ieri il popolo polacco ha voluto pregare definiscono l'identità culturale e cristiana della nazione. Sono anche confini materiali che proteggono l'integrità e la sovranità dello Stato polacco. Vale la pena di ricordare che la Polonia, nell'Unione Europea, è uno dei Paesi che più resiste alla de-sovranizzazione della tecnocrazia di Bruxelles. Come resiste all'ideologia migrazionista che vorrebbe riempire l'Europa di popolazioni musulmane.
    Proprio il fatto che in Polonia si dia il primato all'identità nazionale e all'interesse nazionale porta poi risultati positivi, dal momento che la Polonia - a differenza dell'Italia - ha oggi un'eccellente crescita del Pil del 3,9 per cento (noi ce la sogniamo), un rapporto debito pubblico/Pil fantastico, al 54,4 per cento (noi siamo al 132 per cento) e la disoccupazione è precipitata al livello minimo dal crollo del comunismo.
    Guarda caso infatti la Polonia non ha l'euro, ma ha tuttora la sua moneta nazionale, lo zloty, e questa sua prosperità ha uno stretto collegamento con la sua sovranità monetaria. La Polonia può così permettersi di fare politiche demografiche molto attive (per far risalire la natalità) e in questi giorni sta pure abbassando l'età pensionistica (60 anni per le donne e 65 per gli uomini). Dimostrando così che le dissennate politiche dell' Unione europea, che puntano alla demolizione degli Stati nazionali e dello Stato sociale, hanno un' alternativa vincente. La Polonia non sta ai diktat di Bruxelles.

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  2. Non a caso la sintonia del presidente americano Trump con la Polonia è emersa subito nel suo viaggio a Varsavia del 6 luglio 2017 dove tenne un discorso importante, che colpì molto i polacchi, in difesa del diritto alla vita e alla libertà, in difesa della civiltà occidentale: «La domanda fondamentale dei nostri tempi è se l'Occidente ha la volontà di sopravvivere. Abbiamo sufficiente fiducia nei nostri valori da difenderli a qualsiasi costo? Abbiamo abbastanza rispetto per i nostri cittadini da proteggere i nostri confini? Abbiamo il coraggio di preservare la nostra civiltà di fronte a chi vorrebbe sovvertirla e distruggerla? / La nostra battaglia per l'Occidente non comincia sui campi di battaglia, ma nelle nostre menti e nei nostri cuori, nelle nostre volontà e nelle nostre anime».
    Trump concluse: «La nostra libertà, la nostra civiltà e la nostra sopravvivenza dipendono da questi legami di storia, di cultura e di memoria. / Quindi, insieme, combattiamo tutti come i polacchi: per la famiglia, per la libertà, per la Patria, per Dio». Ma la Polonia non è un caso isolato. Ci sono altri Paesi che dimostrano come l' identità, il patriottismo, la difesa dell' interesse nazionale e dei valori della civiltà occidentale siano anche la leva che permette di evitare il declino, l'impoverimento e il crollo demografico. Giulio Meotti, nel suo splendido libro La fine dell' Europa. Nuove moschee e chiese abbandonate (Cantagalli) racconta il caso di Israele (non a caso anche Israele, come la Polonia, è malvisto in Europa).
    Dunque Meotti parla del «Miracolo di Israele» e ne descrive i record: «in trent'anni, il suo prodotto interno lordo è aumentato del 900%; la pressione fiscale è scesa dal 45 al 32%; gli aiuti americani erano il 10% del PIL, mentre oggi solo l'1%; le esportazioni sono aumentate dell'860%; trent'anni fa Israele non aveva fonti indipendenti di energia, mentre oggi il 38% proviene dalle proprie risorse; e se non c'era acqua desalinizzata trent'anni fa, oggi oltre il 40% dell'acqua consumata proviene da impianti di desalinizzazione».

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  3. A questo si aggiunga che «i tassi di mortalità in Israele sono i secondi più bassi dell'Ocse» e che - stando al Wall Street Journal, «Israele è il secondo paese più colto del mondo» (cosa che la dice lunga sulla qualità dell' istruzione. Va pure detto che «l' aspettativa di vita di 82 anni è la più alta in Asia occidentale. Con gli indicatori di salute tra i primi dieci paesi al mondo».
    Tutto questo in un Paese che fin dalla sua fondazione, settant'anni fa, è stato costretto a vivere in un clima di guerra, blindato, e che ha pagato non solo economicamente, ma anche in termini di vite umane un prezzo altissimo, rimanendo un Paese libero e democratico, un' eccezione in tutto il Medio Oriente. Ma la cosa che rende ancora più straordinario questo Paese di cultura occidentale e di frontiera con l'oriente, è il tasso di fertilità, in totale controtendenza rispetto all'Europa: è di 3,11 figli per donna nell'ultimo anno di cui sono resi noti i dati. «In meno di vent'anni» scrive Meotti «il numero annuo di nascite fra gli ebrei israeliani è salito del 65%, passando dalle 80.400 nascite del 1995 alle 132.000 del 2013 Un incredibile balzo in avanti, mentre il tasso di natalità fra gli arabi è molto diminuito».
    Cosa questa che fa crollare il teorema di alcuni decenni fa secondo cui «gli arabi fanno più figli degli ebrei e se non si crea uno stato palestinese indipendente, una bomba a orologeria demografica trasformerà Israele in un apartheid sullo stile dei sudafricani». Teorema sbagliato. Spiega Meotti che «tale prospettiva certamente sembrava reale quando il processo di pace di Oslo ha avuto inizio nel 1990 Yasser Arafat dichiarava orgoglioso che il ventre della donna palestinese è l' arma più potente del suo popolo».
    UN PAESE MODELLO Ma di lì a poco le cose si sono ribaltate. Israele è oggi un paese da prendere a modello per tantissime cose, come si è visto, ma anche perché dimostra che c'è una questione culturale e spirituale alla base della prosperità: l'identità nazionale, l'amore di ciascuno (spesso eroico) per il proprio popolo e la propria storia. È questo che fa miracoli, anche di prosperità. Durante la visita in Ungheria dell'estate 2017, nel colloquio con Viktor Orban, il premier israeliano Benjamin Netanyahu disse: «Penso che l'Europa debba scegliere se vuole vivere e prosperare o se vuole avvizzire e scomparire». E poi - menzionando il muro costruito per scongiurare attentati - aggiunse: «Proteggete i vostri confini».
    di Antonio Socci

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