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domenica 10 febbraio 2013

174) I MARTIRI DI SERIE B

Gli italiani nelle fosse della memoria

In quasi 30mila vennero giustiziati dalle truppe titine

Per non dimenticare le vittime della pulizia etnica perpetrata dai partigiani comunisti, italiani e jugoslavi, tra il 1943 e il 1945 in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia. 
Ma c'è ancora chi nega questo massacro. La vergognosa nota dell'Anpi di Torino: "Quelli morti nelle foibe erano tutti criminali fascisti e si sono meritati quella fine!". E nessuno s'indigna

“Tito, Tito, maresciallo assassino, quanti fratelli hai infoibato? Quanti innocenti hai assassinato?”
Era questo il ritornello di una canzone della “Compagnia dell’anello”, che tanti ragazzi ha fatto commuovere. 
Ma non tutti la pensano così, non a tutti ha fatto lo stesso effetto. C’è chi, ancora oggi, ha il coraggio di schierarsi dalla parte dell’ex Presidente jugoslavo. Ma, cosa ancor più grave, contro quelle vittime innocenti che hanno perso la vita in maniera assurda. 
“In fondo se la sono meritata. Le vittime delle foibe sono solo dei criminali di guerra e non meritano il riconoscimento dello Stato italiano”. Questa è la nota vergognosa apparsa sul sito dell’Anpi (Associazione nazionale partigiani italiani) di Torino,  la scorsa settimana. E non basta. Non più tardi di due giorni fa, sempre nel capoluogo piemontese, è stata distrutta la targa che ricordava l’eccidio degli italiani trucidati in Istria e Dalmazia. 
Chiamatela provocazione, chiamatelo negazionismo, chiamatela pure “strategia” o “manovra” pre-elettorale. La cosa certa è che al peggio non c’è mai fine. Viene voglia di gridare allo scandalo. Gettare fango su quei martiri è un oltraggio troppo grande. Eppure, quella delle Foibe, non è una storiella inventata dai “fascisti” per giustificare le loro azioni. E non è nemmeno retorica. Ma una storia vera, purtroppo, una tragedia a causa della quale persero la vita migliaia di persone, con l’unica, vera, insensata colpa di essere italiani. Una vergogna probabilmente “inconfessabile”.
E a distanza di sette giorni, nessuna smentita, nessuna condanna, nessuna nota di scuse apparsa sui giornali. Siamo in democrazia d’altronde.  
Tutto questo alla vigilia della “Giornata del ricordo”, istituita nel 2004 per non dimenticare lo scempio delle foibe titine. 
E se qualcuno avesse osato fare dichiarazioni simile nel “Giorno della Memoria”? Cosa sarebbe successo? Tutte le prime pagine dei quotidiani avrebbero gridato allo scandalo.
Il problema, però, non è questo. La cosa che deve far riflettere è il tentativo  di far dimenticare, ogni volta che se ne ha l’occasione, le vittime di una follia. Non importa quale sia il “colore” o la “razza”. Si perde ogni volta, l’occasione per stare zitti, per far riposare in pace chi ha già sofferto. Questo è stato un salto all’indietro, l’ennesimo. Per tutti gli italiani e per il concetto di “recupero dell’identità nazionale”.
Addirittura, proprio per il 10 febbraio, a Torino, è stato organizzato “l’immancabile” presidio antifascista, con tanto di  mostra fotografica con immagini che giustificano le violenze di Tito.
Quando questo Paese avrà la capacità di rispettare i martiri, indipendentemente dal colore politico, e senza strumentalizzazioni, forse diventerà, finalmente, un popolo. Ma siamo ancora molto lontani da questo traguardo..
Dalla parte dell’Italia e delle innocenti vittime dei partigiani comunisti? No, meglio Tito, per alcuni. Vergogna. Vergogna. Vergogna!
“Han ballato sui loro corpi, han sputato sul loro nome, han nascosto le loro tombe, ma non li possono cancellare”

La memoria storica d’Italia è, da sempre, una memoria a metà. Come se qualche cosa che aleggia nell’aria impedisse di ricordare i fatti, o meglio, alcuni fatti, per quello che sono: una tragedia umana.
C’è un pezzo di storia di questo nostro Paese che i libri non sembrano voler raccontare, forse perché troppo scomoda. È il dramma, quasi sconosciuto, dei martiri delle foibe. Un vero e proprio sterminio perpetrato dai partigiani comunisti senza alcuna ragione. Una cieca violenza che si è riversata su uomini, donne, giovani e bambini, la cui unica colpa era quella di essere nati italiani.
Le stime ufficiali parlano di un numero di vittime compreso fra le 6.000 e le 7.000, cui vanno aggiunti le oltre 3.000 persone morte nei gulag, i campi di concentramento del Maresciallo Tito. Ma questo calcolo, è da considerarsi del tutto inattendibile. Sarebbero non meno di 30.000 le esecuzioni effettuate dai partigiani comunisti fra il ’43 ed il ’45. Eppure, fare un calcolo esatto è pressoché impossibile. Molte delle foibe sono, ancora oggi, irraggiungibili e di altrettante se ne scopre l’esistenza solamente ora, a distanza di quasi sessant’anni.
Le esecuzioni e gli infoibamenti: I tedeschi, dal giorno successivo all’armistizio, assumono il controllo della zona di Trieste e, poco dopo, anche di Pola e Fiume. Il resto della Venezia Giulia, rimane in balia dei partigiani italiani che occupano la regione con l’aiuto delle truppe titine. La situazione precipita il 13 settembre quando, unilateralmente, l’Istria viene dichiarata territorio croato.  È a questo punto che iniziano le assurde rappresaglie dei comunisti nei confronti della popolazione locale. I partigiani istituiscono improvvisati tribunali di guerra, utilizzati esclusivamente per emettere condanne a morte nei confronti di fantomatici oppositori politici. Ad essere giustiziati dovrebbero essere i gerarchi fascisti rimasti fedeli a Mussolini e alla RSI. In realtà, i “Comitati popolari di liberazione” a cui i tribunali facevano capo, dispongono l’uccisione di centinaia e centinaia di civili, la cui unica colpa era quella di essere italiani.  Lo scopo delle truppe titine era quello di eliminare chiunque potesse rappresentare un ostacolo per il nascente “Grande Stato comunista jugoslavo”. E, si sa, gli avversari più temibili sono sempre rappresentati dalla gente comune. 
Ma ciò che resta, ancora oggi, inspiegabile è l’efferatezza con la quale i partigiani comunisti perpetravano le esecuzioni. Le vittime , prima di essere uccise, subivano maltrattamenti indicibili. Gli uomini venivano torturati per giorni, le donne stuprate e seviziate senza alcuna pietà. Sfiniti dalle violenze, i condannati venivano trasportati su degli enormi furgoni, stipati come animali e portati nelle vicinanze delle foibe, delle profondissime gole di roccia, tipiche della zona della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia. Gli italiani erano legati insieme con il fil di ferro, in gruppi di due o tre. I partigiani, per non “sprecare” le pallottole giustiziavano con un colpo secco in testa solo una delle vittime che, cadendo nella foiba, si trascinava dietro anche chi era legato con lei.
In moltissimi, quindi, morirono per le fratture riportate nella caduta, di fame o di stenti in quelle che si trasformarono in pochissimo tempo in vere e proprie fosse comuni naturali.
Si stima che in appena un mese, fra il settembre e l’ottobre del ’43, vennero giustiziati e gettati nelle gole carsiche dai comunisti più di 600 italiani. Non solo. È impressionate ciò che è emerso dallo studio della Foiba di Basovizza, dove venivano portati i condannati a morte della zona di Trieste. In soli tre anni (dal 1943 al 1945) la profondità di quello che nasceva come un pozzo minerario, diminuì di quasi un terzo. Dopo la fine della guerra, vennero ritrovate un numero di salme che occupava più di 500 metri cubi di spessore. Sarebbero oltre 2000 i corpi estratti solamente a Bassovizza. Quasi tutti gettati nella foiba da vivi e deceduti in un’indicibile agonia dopo un volo di duecento metri.
La storia di Norma Cossetto: Se ne potrebbero raccontare centinaia di storie di italiani, civili, innocenti, trucidati e uccisi dal cieco odio comunista, eppure ce ne sono alcune che meglio spiegano l’insensatezza di quell’assurdo sterminio.
Aveva 23 anni, Norma Cossetto. Era bella. Una bella ragazza italiana. Viveva a Visignagno, un paesino dell’Istria, e studiava all’Università. Suo padre, membro del PNF, era un uomo molto conosciuto. In seguito all’armistizio dell’8 settembre, la famiglia Cossetto iniziò ad essere minacciata. Dopo appena due settimane, un partigiano comunista di nome Giorgio si presentò a casa di Norma per arrestarla. Un uomo che abitava nei pressi della vecchia caserma in cui la ragazza venne portata raccontò, solo molto tempo più tardi, di aver sentito le urla di Norma mentre veniva stuprata, ripetutamente, da un gruppo di partigiani, legata mani e piedi ad un tavolo. Il giorno dopo la Cossetto, insieme agli altri italiani arrestati venne obbligata ad arrivare a piedi presso la vicina foiba di Villa Surani, dove fu gettata, ancora viva non prima di essere nuovamente violentata. Quando il suo corpo venne ritrovato, i vigili del fuoco di Pola che estrassero la salma si trovarono difronte ad un corpo martoriato, che aveva subito l’ennesimo sfregio. Norma era caduta supina nella foiba, profonda oltre 136 metri, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri. Entrambi i seni riportavano i segni di alcune pugnalate. E non basta, i partigiani l’avevano spinta nel vuoto non prima di averle conficcato fra le gambe un pezzo di legno.
Dal 2004, il 10 febbraio è il “Giorno del ricordo”, dedicato alla memoria di chi, come Norma Cossetto, ha dovuto subire dai partigiani comunisti una vera e propria pulizia etnica.
Eppure c’è chi, a distanza di sessant’anni, ancora cerca di impedire che questa tragedia venga raccontata. Perché, si sa, la storia viene scritta dai vincitori e per le vittime innocenti di un eccidio vergognoso rischia di non esserci spazio. Ecco, la risposta più forte al negazionismo strisciante è continuare a ricordare. Perché la memoria è l’unica arma che si possa opporre al silenzio.
"Ora non sarà più consentito alla Storia di smarrire l’altra metà della Memoria. I nostri deportati, infoibati, fucilati, annegati o lasciati morire di stenti e malattie nei campi di concentramento jugoslavi, non sono più morti di serie B." Annamaria Muiesan, sopravvissuta al massacro delle truppe titine.
E dopo 60 anni l'odio comunista non è cessato

“Tito, Tito, maresciallo assassino, quanti fratelli hai infoibato? Quanti innocenti hai assassinato?
Era questo il ritornello di una canzone della “Compagnia dell’anello”, che tanti ragazzi ha fatto commuovere. Ma non tutti la pensano così, non a tutti ha fatto lo stesso effetto. C’è chi, ancora oggi, ha il coraggio di schierarsi dalla parte dell’ex Presidente jugoslavo. Ma, cosa ancor più grave, contro quelle vittime innocenti che hanno perso la vita in maniera assurda. “In fondo se la sono meritata. Le vittime delle foibe sono solo dei criminali di guerra e non meritano il riconoscimento dello Stato italiano”. Questa è la nota vergognosa apparsa sul sito dell’Anpi (Associazione nazionale partigiani italiani) di Torino,  la scorsa settimana. E non basta. Non più tardi di due giorni fa, sempre nel capoluogo piemontese, è stata distrutta la targa che ricordava l’eccidio degli italiani trucidati in Istria e Dalmazia. Chiamatela provocazione, chiamatelo negazionismo, chiamatela pure “strategia” o “manovra” pre-elettorale. La cosa certa è che al peggio non c’è mai fine. Viene voglia di gridare allo scandalo. Gettare fango su quei martiri è un oltraggio troppo grande. Eppure, quella delle Foibe, non è una storiella inventata dai “fascisti” per giustificare le loro azioni. E non è nemmeno retorica. Ma una storia vera, purtroppo, una tragedia a causa della quale persero la vita migliaia di persone, con l’unica, vera, insensata colpa di essere italiani. Una vergogna probabilmente “inconfessabile”.E a distanza di sette giorni, nessuna smentita, nessuna condanna, nessuna nota di scuse apparsa sui giornali. Siamo in democrazia d’altronde.  Tutto questo alla vigilia della “Giornata del ricordo”, istituita nel 2004 per non dimenticare lo scempio delle foibe titine. E se qualcuno avesse osato fare dichiarazioni simili nel “Giorno della Memoria”? Cosa sarebbe successo? Tutte le prime pagine dei quotidiani avrebbero gridato allo scandalo.Il problema, però, non è questo. La cosa che deve far riflettere è il tentativo  di far dimenticare, ogni volta che se ne ha l’occasione, le vittime di una follia. Non importa quale sia il “colore” o la “razza”. Si perde ogni volta, l’occasione per stare zitti, per far riposare in pace chi ha già sofferto. Questo è stato un salto all’indietro, l’ennesimo. Per tutti gli italiani e per il concetto di “recupero dell’identità nazionale”.Addirittura, proprio per il 10 febbraio, a Torino, è stato organizzato “l’immancabile” presidio antifascista, con tanto di  mostra fotografica con immagini che giustificano le violenze di Tito.Quando questo Paese avrà la capacità di rispettare i martiri, indipendentemente dal colore politico, e senza strumentalizzazioni, forse diventerà, finalmente, un popolo. Ma siamo ancora molto lontani da questo traguardo. Dalla parte dell’Italia e delle innocenti vittime dei partigiani comunisti? No, meglio Tito, per alcuni. Vergogna! Vergogna! Vergogna!
“Han ballato sui loro corpi, han sputato sul loro nome, han nascosto le loro tombe, ma non li possono cancellare”
Micol Paglia e Paolo Signorelli (Il Giornale d'Italia)

1 commento:

  1. Si è spenta a Bergamo Maria Pasquinelli. Un nome che ai più giovani dirà poco ma che oggi piangono in molti, tutti i profughi di Istria e Dalmazia e i triestini che conoscono bene la sua storia. Un nome che tutti gli italiani dovrebbero portare nel cuore per la sua dedizione alla causa nazionale, simbolo di tutta la sofferenza, l’amarezza, la rabbia degli esuli istriani, fiumani e dalmati. Maria Pasquinelli era un’insegnante di Pedagogia originaria della Toscana, già crocerossina in Cirenaica, poi rimpatriata per insegnare a Spalato. Il 10 febbraio del 1947, data infausta della firma del Trattato di Pace, uccise con tre colpi di pistola il comandante della guarnigione britannica di Pola, generale Robert W. De Winton, durante la cerimonia di passaggio dei poteri sul capoluogo istriano alle autorità jugoslave. Immediatamente fermata e condotta al comando, in tasca le venne trovato il seguente bigliettino-confessione: «Mi ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi i quali, alla Conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d’Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o con la più fredda consapevolezza, che è correità, al giogo jugoslavo, sinonimo per la nostra gente indomabilmente italiana, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio».

    Processata davanti alla Corte Militare Alleata di Trieste, la Pasquinelli si dichiarò colpevole e spiegò le ragioni che l’avevano indotta a compiere l’attentato. Il dibattito si svolse senza tumulti né colpi di scena. Il 10 aprile la Corte alleata pronunciava la sentenza di condanna a morte, All’invito della Corte rivolto alla Pasquinelli e al suo avvocato di appellarsi entro trenta giorni la Pasquinelli rispose: «Ringrazio la Corte per le cortesie usatemi, ma fin d’ora dichiaro che mai firmerò la domanda di grazia agli oppressori della mia terra». In numerose città italiane vi furono proteste e raccolte firme, per iniziativa soprattutto della mobilitazione dei giovani del Msi, richiedendo la commutazione della pena. Il 21 maggio 1947, la pena capitale fu infatti commutata in ergastolo e Maria fu trasferita nel penitenziario di Perugia. Nel 1965 tornò in libertà. I polesani dell’Unione degli Istriani furono gli ultimi ad incontrarla lo scorso marzo, quando in occasione del suo centesimo compleanno le regalarono un mazzo di fiori. La sua figura di fedele italiana venne presto dimenticata e il suo gesto venne liquidato come un rigurgito fascista. Ma i cittadini del nostro confine orientale, gli esuli hanno continuato a vedere in lei un esempio di «coerenza assoluta», come spiega il presidente dell’Unione istriani Massimiliano Lacota.

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